Le Ricordanze di Bartolomeo Masi
Calderaio fiorentino 1478 - 1526
L'umile autore scrive che stipite della sua gente fu Lapuccio bastiere, o fabbricatore di basti, padre di Cenni e di Giovanni; e che da Cenni del popolo di S. Pier Maggiore, matricolato pur esso all'Arte dei Legnaiuoli, nacque Tommaso, detto Maso, dal quale si dissero Masi i suoi discendenti. Maso condusse in moglie monna Agnese di cui tace il cognome, se pur lo ebbe, ed il nome del padre, e da loro fu generato Piero, poi matricolato anche esso all'Arte dei Legnaiuoli, il quale nell'ottobre del 1438 menò in moglie la Piera di Marco legnaiuolo, che aveva bottega presso lo Studio fiorentino (1), nella via di questo nome. Passarono quasi due anni senza che avesse figliuoli; e il buon Piero addolorato, ma pieno di fede, si votò di andare, se ne avesse avuti, a Santo Iacopo di Galizia: ed ebbe la grazia. Nel 1440 nacquegli un figliuolo che battezzò col nome di Tommaso e nel 1442 una figliuola cui diede il nome di Agnese. Mori Piero il 10 ottobre 1458, dopo che gli furono nati molti altri figliuoli, e fu sepolto nella chiesa di San Simone, avendo egli avuto dimora nella vicina via del Pepe, poi, come oggi, dei Pepi. Da Piero e dalla Piera, sua donna, era fra gli altri nato Bernardo. Dopo la morte del padre, Giusto di Antonio di Giusto ferravecchio compare di Bernardo « andò.... a trovare la donna del sopradetto Piero, cioè monna Piera, e si gli chiese el sopradetto Bernardino el quale aveva battezzato e volevalo per suo figliuolo, perché con'oscieva monna Piera sopradetta rimasta con figliuoli assai et in povertà; la sopradetta monna Piera non gniene volle conciedere perché, gli disse: voi avete de' figliuoli assai; ma io vel conciederò con questo, benché sia di poca età: che voi lo tegniate a bottega vostra, perché voi gì'insegniate qualche virtù di leggiere o di scrivere, e di quelle facciende che s'appartengono all'arte vostra».
Cosi il discendente di tanti onorati, ma poveri legnaiuoli s'avviò a farsi calderaio (2). Cresciuto negli anni e imparata l'arte, il dì 8 maggio 1472 Bernardo lasciò Giusto e andò a stare con Simone di Stagio che avea bottega nel Corso. Mentre egli era col detto Simone, e precisamente nel giorno 30 novembre 1477, in domenica, diede l'anello a monna Caterina di Agnolo di Vanni Giani, fornaio presso San Tommaso, e furono mezzani Cosimo sensale, Niccolò di Domenico pettinagnolo (3) e Lionello di Giusto tessitore, zio della Caterina. Dare l'anello non era allora, come oggi, atto che perfezionasse il matrimonio cristiano, ma segno di semplice promessa.
Al dì 2 decembre confessò la dote di 200 fiorini di suggello fra danari e donora, ossia corredo; e al dì 30 di marzo 1478, finalmente «menò la sopradetta monna Caterina, e consumò el matrimonio secondo le leggie canoniche, in casa di​ detto Landino suo zio e di ser Franciesco suo fratello. Al dì 8 di novembre MCCCCLVII el sopradetto Bernardo menò a stare in casa sua la sopradetta monna Caterina, cioè nella via de' Ferravecchi (4) in una casa posta nel popolo di santo Donato tra' Vecchietti, la quale teneva a pigione da Giovanni di Giuliano ritagliatore (5)». Tali cose Bartolomeo nostro ebbe a trarre, io credo, dalle Ricordanze di suo padre che egli stesso rammenta.
Il primo di d'aprile 1478 Bernardo condusse a pigione, da Giovanni di Giuliano intagliatore, una casa con una bottega nella via dei Ferravecchi, popolo di San Donato tra i Vecchietti per farvi il calderaio; e per averla, ebbe a pagare una benandata (6) di 6 fiorini larghi a Girolamo di Tedaldino Tedaldini, e la pigione di ben 15 fiorini larghi d'oro all'anno; promettere un'oca ad Ognissanti ed un buon paio di capponi a Carnevale, per mezzo di un contratto di cui fu rogato ser Bartolomeo di Giuliano da Ripa. Il 13 marzo 1495, Bernardo, che coll'arte sua di calderaio pare avesse già fatto masserizia, come al suo tempo dicevano, comprò da Filippo di Filippo Lippi dipintore (7) un pezzo di terra, nel popolo di San Michele Visdomini, nella strada che allora chiamavano via Ventura, quar​tiere di San Giovanni, gonfalone Vaio.
E qui giova notare che la via Ventura quella fu che dipoi venne chiamata della Crocetta ed oggi è compresa nella via Laura. Lorenzo dei Medici, detto il Magnifico, la fece aprire in un terreno dello Spedale degl'Innocenti che si estendeva fino alle mura presso la Porta a Pinti. Questo terreno Lorenzo lo aveva comprato, ma non mai pagato, coll'intendimento di costruirvi un grandioso palazzo che non fu a tempo a edificare. Alla sua morte, su quel terreno erano costruite varie case, ma dopo che Piero e i suoi fratelli, nel 1494, ebbero bando da Firenze, lo Spedale riprese il terreno rimasto libero e le case costruite dai Medici; appunto perché il prezzo del terreno non era stato pagato. Chiudendo la digressione, dico che il terreno da Filippino Lippi venduto a Bernardo Masi aveva una larghezza di dieci braccia circa ed una profondità di 28, e i confini erano questi: «a primo via; a secondo Giuliano di Nicolò legnaiuolo; a terzo monna Anna donna fu d'Antonio di Giovanni, vocato Toniaccio» già canovaio (8) di Lorenzo di Piero di Cosimo dei Medici; a quarto el sopradetto podere de' Nocienti».
Il giorno 22 del medesimo mese comprò ancora da monna Anna, moglie di Toniaccio canovaio, un altro pezzo di terreno, e su quello fabbricò una casa. Dopo essersi costruita la casa, volle anche preparare per se e per i suoi onorata sepoltura, e cosi​ il 6 di ottobre 1512 ne comprò una dai frati della SS. Annunziata, dei quali era creditore; e la scelse in quella chiesa sul lato destro entrando per la porta maggiore, direttamente in faccia al pilastro che divide la cappella dei Macinghi, oggi degli eredi Vettori, dalla cappella già dei Cresci poi di Fabrizio Colloredo, e la pagò 5 fiorini larghi d'oro, parte in contanti, o conti come Bartolomeo suole scrivere, e parte compensandoli col prezzo di merci dell'arte sua di calderaio a quei frati vendute e da loro non per anco pagate. In questa sepoltura, la cui lapide fu iniquamente tolta via e disfatta con tante altre nel 1788, quando i frati crederono abbellire la chiesa togliendone le antiche lapide per farvi il pavimento di marmo che al tempo di Bartolomeo era stato lastricato di pietre lavorate a sei faccie «che era una cosa bella a vedersi», egli vi aveva fatto scrivere «in grammatica ed in lettere nere», queste parole poco grammaticali invero : «S. Bernardi di Piero Masi calderaio et suorum» e dipoi vi fece incidere anche l'arme sua (9).
Bernardo sedette più volte negli uffici dell'Arte dei Chiavaiuoli (10); e il 22 dicembre 1512 fu tra gli squittinati (11) a tutti gli uffici publici per le Arti Minori. Da lui e dalla Caterina sua donna nacque Bartolomeo nostro il 18 decembre 1480, come egli stesso scrive nelle sue Ricordanze, ed è confermato dal registro dei battezzati in San Giovanni che si conserva nell'Archivio dell'Opera di Santa Maria del Fiore, nel quale si legge la seguente partita: « Lunedi a' di 18 di dicembre 1480 Bartolomeo et Romolo di Bernardo di Piero, popolo di San Donato, nacque a' di 18, hore 10». All'età di circa sette anni, il 28 luglio 1487, il padre lo fece matricolare all'Arte dei Chiavaiuoli e lo mandò a imparare l'abbaco nella scuola di Giovanni Del Sodo; e circa tre anni dopo, il 2 di novembre 1490 lo volle in bottega sua a tenere i conti d'entrata e d'uscita.
Durante la sua vita, che invero non fu lunga, Bartolomeo sedè ben quattro volte consigliere dell'Arte dei Chiavaiuoli, altrettante ne fu console ed anche una volta camarlingo. Egli ebbe a essere uomo pietoso, se è lecito argomentarlo dal fatto che volle essere iscritto fratello di molte compagnie religiose: la prima delle quali fu quella dei fanciulli di San Giovanni Evangelista presso S.Barnaba, della quale era fratello Giuliano di Lorenzo de' Medici, che nel carnevale del 1490 (s. f.) dette​ tre belle collezioni ai suoi compagni «con tante «confezione e cialdoncini e berlingozzi e trebiano che fu una cosa maravigliosa». Fra il 1501 e il 1502 entrò nella compagnia di San Benedetto Bianco che adunavasi nel chiostro di Santa Maria Novella; dipoi in quella di San Paolo a Santa Trinità ed in quella del Tempio; più tardi nell'altra, di stendardo, detta di Santa Margherita in Por San Piero; successivamente in quella, pure di stendardo, detta della Vergine e chiamata la Crocetta che adunavasi presso Santa Maria Nuova in via delle Pappe, oggi via Folco Portinari, e nell'altra di San Zanobi presso la canonica di Santa Maria del Fiore; finalmente nelle altre due dette della Vergine Maria a Monte Uliveto e di Santa Cecilia a Fiesole. Diede poi egli stesso vita ad un'altra compagnia chiamata dell'Aquilino, i cui fini sono dichiarati largamente nella ricordanza 168 e paiono, invero, tutt'altro che ispirati da pietosi intendimenti.
Nella sua giovinezza, preso Bartolomeo da un malore che a quel tempo chiamavano bolle e doglie franciose, fece voto, se fosse guarito, di recarsi pietosamente, a piedi, alla Madonna di Loreto; ed essendo infatti risanato e ingagliardito, fedelmente lo prosciolse. Nella ricordanza 133 narra con particolari curiosi quel suo viaggio; viaggio non breve perché, per tornare a Firenze, andò allegramente a Venezia con buona compagnia di donne onestamente​ gaie ed uomini briosi che aveva incontrato a Loreto.
E più altri dilettevoli viaggi fece, pure a piedi, che descrive; fra i quali uno per andare all'incoronazione di papa Leone X.
Deve credersi ch'ei molto si dilettasse di fare il compare dei figliuoli di parenti amici e conoscenti suoi: lo fanno supporre queste sue Ricordanze, nelle quali è narrato come egli tenesse a battesimo ben quaranta fanciulli e più.
Se egli avesse amore per la libertà fiorentina non è agevole intendere: certo però egli è ch'ei vide con piacere la cacciata di Piero dei Medici e dei fratelli. Del Savonarola e dei grandi avvenimenti che ne resero celebre la vita e pietosa la morte, molto non dice ; ma da quel poco che scrive agevolmente si comprende com'ei gli fosse devoto.
Racconta che Daniello di Landino di Vanni Giani, figliuolo di un fratello di monna Caterina sua madre, già priore di San Piero al Terreno di Valdarno di sopra, si vesti frate di San Marco, col nome di fra Bonifazio, quando governava quel convento fra Girolamo: e pare si compiaccia di scrivere questa ricordanza. Ha parole di biasimo per quei mali fiorentini che portarono, con la loro condotta,
all'infame sacco di Prato, di cui racconta dolorosamente le crudeltà e le infamie. Duolsi della cacciata del buon Pier Soderini, e scrive che egli renunzio al gonfalonerato «per la contradizione che si vedeva avere de' cattivi cittadini che volevano che la cosa andassi nel modo che l'è ita».
Del ritorno di Giuliano dei Medici a Firenze nel 1512 non pare contento; scrive che «non se ne rallegrò punto el popolo della sua tornata ». Nel narrare poi come i Medici, rientrati in Firenze, occupassero con astuzia traditrice il palazzo dei Signori, dice che «non ragunorno mai popolo con esso loro» ed osserva come nel parlamento, cui fu il popolo in quell'occasione chiamato, «tiensi che non vi fussi in sulla sopradetta piazza a udire o vedere el sopradetto parlamento, delle venticinque parti una del popolo di Firenze.... per la paura e gran sospetto ch'ogniuno aveva». Ma quando, creato papa Giovanni di Lorenzo (12), parve che i fiorentini perdessero tutti il cervello per la matta gioia di sentire fatto pontefice un loro concittadino, egli pure se ne rallegrò e scrisse parole che potrebbero farlo credere amico di quella casa.
Ciò non di meno, parlando della morte di Lorenzo di Piero di Lorenzo avvenuta il 4 maggio 1519, osserva che: «non mori delle ciento parti una con quella buona grazia di tutto el popolo di Firenze, come mori el duca Giuliano suo zio; e la causa mi penso che fussi che detto duca Lorenzo si dicieva per pubblica vocie eh' egli avea fantasia di farsi signore di Firenze a bacchetta». Pare, tuttavia che neppure a riguardo di Giuliano di Lorenzo il buon popolo fiorentino fosse, per la maggior parte, di questa sua benevola opinione: perché egli stesso osserva, come ho di sopra riferito, che non se ne rallegrò punto il popolo della sua tornata, e nella ricordanza della sua morte dice che non è incresciuto la morte sua in tutto Firenze» e aggiunge «ma non mi voglio vergogniare a dire che la morte sua ne sia incresciuta a tutto el mondo perché questo è la verità etc.». Ed infine nel dare la novella della morte dell' Alfonsina vedova di Piero di Lorenzo (7 febbraio 1519 s. f.) osserva che «è morta con non troppa buona grazia, perché non attendeva ad altro che a comulare danari.... che se il figliuolo era morto con poca grazia, costei mori con meno».
Quando Bartolomeo ebbe raggiunto i suoi trentacinque anni, sempre fedelmente occupato nel tenere i conti della bottega paterna, fu emancipato con Piero suo fratello; e fu loro da Bernardo donata una buona camera per uno, fornita di masserizie e valutata fiorini 25. Subito dopo, nel 12 aprile 1515, il padre fecegli ambedue compagni, o soci come oggi si direbbe, nel suo commercio di calderaio, conservando per se due terzi dei guadagni fin che i figliuoli rimanessero alle sue spese, ed una metà quando da per loro stessi vi provvedessero. Morto Bernardo il 18 luglio 1526, furono subito fatti i conti di quella ragione sociale e le divisioni dei beni ereditari: la bottega di calderaio rimase a Bartolomeo ed a Piero, i quali fecero accordo coi fratelli nominando arbitri che decidessero le vertenze fra loro sorte.
Ma nel giorno 30 dicembre 1526 cessano le Ricordanze di Bartolomeo con quella della morte di Giovanni delle Bande Nere (13), e rimangono oltre a cento carte bianche del codice, già numerate. Avrei creduto che egli pure morisse intorno a quel tempo, se le indagini fatte nel Libro dei morti dell'Arte dei Medici e Speziali non prima del mese di gennaio del 1530 (s. f.) mi avessero fatto trovare la seguente partita: «Bartolomeo di Bernardo chalderaio a' di 23 nella Nunziata» la quale è certamente quella del nostro Bartolomeo Masi combinando il nome, il nome del padre e l'arte sua. Cosi anche sappiamo che egli ebbe l'ultimo riposo nella paterna sepoltura della SS. Annunziata. Egli, dunque, fu presente e forse prese parte alla cacciata dei due bastardi nei quali si estinse quel fatale ramo Mediceo che avea voluto, a suo profitto, la rovina della libertà della patria: fu in Firenze durante il celebre assedio,​ e come ogni altro buon cittadino la difese: e se dei gloriosi avvenimenti cui assiste ed ai quali con tutta probabilità prese parte, negli ultimi quattro anni della sua non lunga vita, non scrisse le ricordanze, forse fu perché non volle serbare la trista memoria delle ultime sciagure della sua Firenze (14).
Le cose che potei fin qui narrare di Bartolomeo e della famiglia sua, per la massima parte spigolai nelle Ricordanze che pubblico. E venendo ora a parlare delle Ricordanze stesse, osservo prima di tutto, che il codice dal quale fu tratta la copia per
questa pubblicazione, appartiene ai Conti Minutoli di Lucca figliuoli della Contessa Carolina Masi, ultima, io credo, della sua famiglia, e che aveva pensato fosse quella del nostro Bartolomeo passata anticamente, come tante altre famiglie fiorentine, negli stati del Papa e quivi illustrata del titolo comitale.
Ma debbo dire, per onore del vero, che dopo attento esame dei documenti, in parte con somma cortesia fornitimi dai Conti Minutoli, ebbi a convincermi che la famiglia Masi dalla quale nacque la Contessa Carolina, benché d'origine fiorentina pur essa, non fu quella di Bartolomeo nostro. Della quale verità è facile persuadersi esaminando l'albero genealogico della famiglia Masi dalla quale nacque la Contessa Carolina, che ebbe quindici priori e due gonfalonieri, cioè Antonio di ser Tomaso nel 1443 e Duti di Antonio nel 1479. Basta osservare, senz'altro, che il nostro Bartolomeo, il quale ricorda anche i più umili ufici goduti dai suoi parenti, non avrebbe dimenticato di scrivere che durante la sua vita, cioè dal 1480 al 1530, la sua casa ben sei priori ebbe nelle persone di Cosimo che fu priore due volte, Lodovico, Lotto, Antonio e Duti: nomi tutti che neppur si riscontrano fra quelli della famiglia di Bartolomeo. Resta a vedersi per quale ragione il Codice, che è certamente originale e scritto da Bartolomeo nostro, sia passato in altra famiglia Masi: a me non è riuscito trovarne una qualsiasi, a meno che si abbia a credere che alcuno dei Conti Masi per amore dell'uguaglianza del nome lo acquistasse.
Il carattere è del secolo xv come esser doveva quello di Bartolomeo, che nacque ed imparò a scrivere alla fine di quel secolo. E scritto con la semplicità di chi vuole soltanto serbare per se e per i suoi la memoria dei fatti più importanti della vita sua. Egli fu uomo senza lettere; non aveva studiato grammatica; scriveva con una lingua schiettamente popolare fiorentina e senza veruna arte: né è questo, a parer mio, il suo minor pregio. Vero è che non sempre la buona sintassi è rispettata, ma non deve maravigliare quando si pensi essere un umile calderaio che scrive; e, d'altra parte, il lettore trova compenso gradito nella pretta e buona lingua fiorentina di Bartolomeo. Un altro Bartolomeo: Bartolomeo di Michele di Lapo​ del Corazza vinattiere (15), del quale pubblicai il diario nell'Archivio Storico, scrisse forse con arte maggiore, ma fra i due buoni popolani è grande somiglianza. Le Ricordanze di Bartolomeo Masi hanno ancora il merito di chiarire e dar nuovi particolari intorno a fatti già conosciuti. Per esempio, né il Landucci, né il Lapini, né verun altro contemporaneo che io conosca, non escluso il Cambi, descrissero cosi largamente le feste per l'esaltazione di Giovanni dei Medici al papato, per il suo teatrale arrivo in Firenze, per la nomina di Giulio all'arcivescovado fiorentino e poi al soglio pontifìcio.
Nella serie dei manoscritti vari del nostro Archivio di Stato è un codice segnato col N.° 88, scritto da Piero Masi che fu certamente il fratello di Bartolomeo, mostrandolo un alberello genealogico che è nel codice stesso. Questo codice può quasi dirsi una copia delle Ricordanze di Bartolomeo, talvolta fatta esattamente, tal altra riassumendole. Ma le Ricordanze di Piero cessano coll'anno 1513, benché egli vivesse molti anni ancora.
Tratto da Odoardo Corazzini, Ricordanze di Bartolomeo Masi calderaio fiorentino, dal 1478 al 1526, per la prima volta pubblicate da Gius. Odoardo Corazzini, Firenze, G. C. Sansoni, 1906​
(1) Via dello Studio
(2) Calderaio. Artigiano che costruisce caldaie o altri recipienti di rame.
(3) Pettignancolo. Artigiano produttore di manufatti in corno “osso”. “pectinum faber”, che fa e vende pettini.
(4) Via dei Ferrivecchi, l'attuale via degli Strozzi.
(5) Ritagliatore. Commerciante a ritaglio, al minuto, spec. di stoffe
(6) Benandata. Mancia che si dà al personale di servizio nel lasciare un albergo o una casa.
(7) Filippino celebre pittore nato nel 1457 morto nel 1504.
(8) Canovaio. Ufficiale preposto al magazzino per l'approvvigionamento di una città o di un esercito.
(9) Nel Cod. Palat. 731 della Bibl. Naz. di Firenze, del sec. XVII Armi che si trovano nelle Chiese, Cappelle, Chiostri etc. della città di Firenze e ne' contorni, a c. 237 t, tra le sepolture della SS. Annunziata, al lato destro, è notata quella di «Bernardo calderaio» che fu senza dubbio il padre del nostro Bartolomeo; e vi è aggiunta un'arme di cui la descrizione araldica è la seguente: Due leoni affrontati e controrampanti ad una montagna di sei cime, movente dal centro dello scudo; con un braccio destro uscente dalla sommità del monte ed impugnante una spada voltata all'ingiù.
(10) I Chiavaiuoli non si occupavano solo di chiavi e serrature, ma anche di ganci, chiodi, borchie, cardini per porte e finestre, chiavistelli, molle, ramaioli, pale da forno e treppiedi.
(11) Squittinare, (ant.) scrutinare
(12) Papa Leone X, in latino: Leo X, nato Giovanni di Lorenzo de' Medici (Firenze, 11 dicembre 1475 – Roma, 1º dicembre 1521), è stato il 217º papa della Chiesa cattolica dal 1513 alla sua morte
(13) Ludovico di Giovanni de' Medici, detto Giovanni delle Bande Nere o dalle Bande Nere[4] (Forlì, 6 aprile 1498 – Mantova, 30 novembre 1526), è stato un condottiero italiano del Rinascimento.
(14) L'assedio di Firenze del 1529-1530 fu l'atto finale della imposizione del predominio spagnolo in Italia per opera di Carlo V.
(15) Venditore al minuto e all'ingrosso di vini, vinaio; oste.
Il Sepolcro scomparso della famiglia Da Vinci dove era?
Le Ricordanze del calderaio fiorentino sono una preziosissima fonte storica.
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