Monogramma sulla porta di Palazzo Vecchio

Del Monogramma di Cristo
posto sulla porta del Palazzo della Signoria
 
Le sette e i partiti si sono sempre rassomigliali tra loro; gli stessi elementi gli hanno composti, le medesime passioni gli hanno agitati. Esempio luminoso ne abbiamo dalle nostre istorie: e pare di assistere a fatti accaduti nei giorni nostri quando si solgano le carte che narrano le divisioni che agitarono Firenze nel 1527 dopo la cacciata del Cardinal Silvio Passerini, che pei due bastardi Medicei, Ippolito ed Alessandro, sedeva al governo della Repubblica. Tutti ì cittadini furono concordi, tranne i palesi partigiani dei Medici, finché si trattò di scuotere il giogo e di festeggiare il faustissimo evento, ma quando fu questione di ristabilire un governo, quando si conobbero le mire ostili del papa che agl’interessi della sua casa sagrificava i doveri pontificali, Firenze fa scissa in tre diverse fazioni. Era l’una quella che favoriva le parti dei Medici, nemica perciò del regime repubblicano, ansiosa di rovesciarlo e di instaurare il principato.
La componevano mercanti arricchiti colle usure, impinguati dai pubblici uflìcj nei quali aveano mal versato il denaro del pubblico, impuni dal rigor della legge all’ombra della famiglia potente a cui per vile interesse aveano venduto anima e onore. Stava contro di essi un partito quello dei libertini: questi avrebbero voluto una repubblica foggiata sulle più late forme democralicbe, con consiglio numerosissimo, ove figurasse in gran parte la plebe, modellandosi su ciò che si era fatto durante il governo dei Ciompi: avrebbero questi voluto ancora che i carichi dello Stato gravassero sullo scrigno soltanto dei facoltosi, e già fino dal 1498 aveano dato saggio del sistema da tenersi nel repartire la pubblica imposta, proponendola graduale, col nome appunto di decima scalata, proposizione avanzata, ma non vinta in Consiglio (1) il partito dei libertini era fatto numeroso da molli mercanti falliti, da magnati che non aveano vergognato di rinunziare al nome degli avi ed ascriversi alle arti per campare la vita nei pubblici impieghi; e tra i libertini erano non pochi generosi, illusi dai principi di libertà coi quali si orpellavano i capi della fazione, siccome pure alcuni seguaci delle severe massime di frate Girolamo Savonarola.
Di mezzo a questi era un terzo partito che dicevasi degli Ottimati. Era scopo di esso il mantenere lo Stato a repubblica, libero sì, ma frenato di leggi severe, precludendo la via a quei prìncipi democratici che aveano sino allora tenuto in sconvolgimento continuo il municipio Fiorentino, e restringere il sommo potere nelle mani soltanto di uomini usi ai pubblici affarì fin dalla infanzia, istituendo così una repubblica aristocratica. Capitanava questo partito Niccolò Capponi, uomo sommamente benemerito della repubblica; era con lui Niccolò Ridolfi Cardinale e Arcivescovo con il Clero secolare e con gran parte del regolare; seguivano la stessa bandiera le persone più doviziose delia città, quelle che più si facevano distinguere per talenti, e tutti infine i già componenti la famosa accademia degli Orti Orìcellarj; nella quale, parlando da prima di filosofia e di letteratura, erasi poi trasceso a trattar dei pubblici bisogni della patria e ad infiammar la gioventù che vi dava il suo nome nell’odio ai tiranni che volean render schiava Firenze, ad infuocarla dell’amore il più ardente per la libertà della patria.


 

Monogramma sopra la porta d'ingresso a Palazzo Vecchio

 
Da primo prevalse il partilo degli Ottimati, e il Capponi fu eletto a Gonfaloniere di giustizia. Ma in pari tempo erasi cominciato a conoscere il mal animo di papa Clemente verso Firenze, ed era nota la sua lega con Carlo V; tra i patti della quale era la soppressione della repubblica per farne un feudo di casa Medici. Il Gonfaloniere giudicò che più savio consiglio fosse il temporeggiare , introducendo a tal uopo trattative col papa per stornare le armi dell’imperatore dalla città, tentando di lusingarlo con onesti e per la repubblica onorevoli patti: convinto che ove si fosse potuto temporeggiare fino alla morte del pontefice, la repubblica sarebbe stata salvata; perchè non vi era più alcuno di casa Medici che ispirasse timori, essendo dei due bastardi contestata 1’origine Medicea, e Cosimo ancor fanciullo ed in troppo privata fortuna da poter neppure volger gli occhi a quel trono che gli preparavano gli eventi. L’opinione del Capponi era virilmente combattuta dai libertini, che di trattati col papa non volevano udire discorso, e pur troppo la loro opinione prevalse, e ne cadde in conseguenza la libertà fiorentina. Ma onore anche ad essi perchè lavarono generosamente col proprio sangue l’ errore di un meno che savio divisamente, e la eroica lotta che fu sostenuta dalla città contro gli eserciti collegati di un papa e di un potentissimo imperatore, è uno dei più gloriosi fatti della storia italiana; e se Firenze cadde dopo dieci mesi di assedio, cadde pel tradimento di Malatesta piuttosto che vinta dalla forza delle armi.
Nè io qui voglio tessere la istoria di quelle memorabili vicende, ma solo intendo di limitarmi a parlare di ciò che ha rapporto all’ oggetto del mio discorso; cioè alla iscrizione che leggesi sulla porta maggiore del palazzo della Signoria. I Libertini, accortisi che gli Ottimati non sarebbero stali lontani dall’ intavolare trattative col papa, si dettero ad ostare nei pubblici consigli a qualunque, loro proposizione, ed a mettere in campo misure atte a tenerli in freno; una delle quali fu la istituzione della milizia cittadina, sotto pretesto di difender la libertà, ma col più vero scopo di imporre colla violenza ai consigli le loro opinioni. 11 Capponi, pertanto , nel desiderio di mostrare quanto ardentemente ei pure amasse la libertà, e come aborrisse dal giogo di qualunque signore, si decise a proporre in Consiglio che Gesù Cristo si eleggesse re di Firenze. Ecco come il Varchi racconta un tal fatto(2):
"In questo medesimo tempo il Gonfaloniere, o persuaso dai frati di
S. Marco, co’ quali egli si tratteneva molto, o piuttosto per guadagnarsi la parte fratesca, la quale non era piccola nò di poca riputazione, andava molto in tutto quello che poteva le cose di fra Girolamo favorendo e secondando; intantochè egli fu parte biasimato e parte deriso da molti, e fra 1'altre cose ch’egli fece, avendo il nono giorno di febbraio nel maggior Consiglio poco meno che di parola a parola una di quelle prediche del frate recitata , nella quale prima tanti mali e poi tanti beni predice e promette alla città di Firenze; nell’ultimo si gettò ginocchioni in terra, e gridando ad alta voce misericordia, fece sì che tutto il Consiglio misericordia gridò. (3) Nè contento a questo, propose pure nel Consiglio maggiore, che si dovesse accettare Cristo Redentore per particolare re di Firenze, e venti furono che non lo vinsero; e pensando egli che niuno dovesse levarle mai, fece porre sopra la porta principale del palazzo queste proprie parole
 
T H Σ
Christo regi suo Domino dominantium
Deo Summo Opt: Max: liberatori.
Mariaeque Virgini Reginae dicavit. An. Sal. MDXXVI1.
S. P. Q. F.
 
Invano cercai tra i libri delle provvisioni, quella a ciò relativa: essa non esiste e forse anche non fu redatta.
Se ne ha per altro memoria nei libri dei Partiti, in quelli cioè nei quali stanno notate le proposizioni fatte nei Consigli della repubblica, ed il numero dei voti favorevoli o contrari che quelle conseguirono. È questo l'unico ricordo autentico che ce ne resti: e profitto della occasione per renderlo di pubblico diritto.
"In Dei nomine amen. Die 9 mensis Februarii 1527. Dominica Septuagesime in Consilio maiori numero 1002 congregato, haec acta fuerunt: videlicet. Magnificus Vexillifer Justiliae populi Fiorentini Nicolaus Capponus, post longam misericordiae acjustitiae Dei enumeratìonem. pluribus exemplis a nostra cintate sumptis aliisque populis in medium adductis , factaque benigna consiliariis exhortatione ad bene beateque viveaduni et summo Deo serviendum in timore eique cxultandum cum tremore, nonnullis etiam doctorum sententiis demum duas infra nolatas deliberationes per viam exquirendaepopuli voluntatis, de consensu etiam Dominorum, ad populum qui in diclo Consilio maiori supra mille centum numero convenerat per Dominum Silvestrum Aldobrandinum offìcialem Reformationum proponi jussit, videlicet: primo: utrum ipse populus, omnibus aliis posthabitis, cupiat in suum regem ac gubernatorem huius civilatis Dominum Deum optimum maximum accipere: secundo: eiusque Matrem Virginem immaculatam Mariam reginam appellare, eorumque nomina santissima ad fores publici palatii licteris ac signis aureis ad perpetuala rei memoriam inscribi facere (4)".

Tale proposta del Gonfaloniere fu vinta sì, ma non con unanime suffragio, imperocché la elezione di Gesù Cristo in re ottenne 18 voti contrari, quella di Maria Vergine in regina ne ebbe 24. Vari scrittori si sono confusi nel rintracciare la causa di questa non uniformità di consenso: chi ha creduto trovarvi una protesta della setta Medicea, quasi che in Firenze non riconoscesse altro prìncipe che papa Clemente: chi lo ha giudicato come fatto dei più accaniti tra i Libertini che sdegnarono il nome di re perfino nel Redentore: mentre altri han voluto vedere in questo dissenso una ragione politica, perchè una siffatta provvisione soggettava i Fiorentini alla giurisdizione del papa, come vicario visibile del sovrano che si erano scelto. Ma la causa più vera di questo dissenso sta nel modo col quale si componeva il Consiglio, perchè era il caso e la sorte che portavano a sedervi i cittadini, molti dei quali, rozzi ed ignari delle pubbliche faccende, retribuivano a capriccio il loro voto, ben spesso senza intenderne il valore, e quale fosse segno di affermativa quale di negativa: motivo pel quale non una si trova tra le riformagioni della nostra repubblica, anco colle cose del più grande ed evidente interesse, che sia stata vinta con unanimità di suffragio. È riprova che non dai Libertini procedesse il dissenso, il vedersi che dopo 4 mesi da quell’ epoca, mentre questo partito sedeva al potere e si appressavano i giorni calamitosi dell’assedio, allorché papa Clemente instava perchè i Fiorentini si decidessero ad averlo padrone o nemico: il Gonfaloniere Carducci tornò a proporre in Consiglio la elezione di Cristo in re di Firenze, forse perchè al decreto del 9 febbraio 1527 non era stato dato pienissimo adempimento. Questa volta fu anco assai maggiore il dissenso, perchè nel Consiglio degli LXXX, 63 voti furono i favorevoli e 26 i contrari, e nel Consiglio maggiore fu vinta la riformagione per 798 voti, abbenchè 196 se ne trovassero per il rigetto.

In questa provvisione del 26 giugno 1529, « volendo i magnifici et excelsi Signori con tutte le forze loro confirmare et stabilire questo presente libero et popular governo, et sappiendo esser verissima la sententia della sacra Scriptura la quale afferma la fatica et diligentia delli huomini nel governo et custodia della città esser tutta vana, se la divina bontà per sua infinita misericordia non la custodisce et defende, et ricordandosi del pretiotissimo dono della santissima libertà per divina opera concesso a questo devotissimo populo et da quanti a gravi pericoli sia stato per infino al presente giorno liberato, e sperando avere dalla sua Maestà a essere in futuro difesi da tutti e’ pericoli, sinistri et accidenti e' quali si veghono soprastare alla vostra città, se la sarà sopra l'angulare et immobile pietra Christo Iesu fondata: et ricordandosi essere admoniti dallo Spirito sancto per la bocca di Moisè dicente, se voi udirete la mia voce et observerete il mio pacto et obbedirete a’ mia comandamenti voi sarete el mio populo peculiare intra gli altri populi: desiderando godere tal promissione et tanto beneficio della certa et infallibile verità et testifichatione et segno evidentissimo della buona mente et divoto animo di tutto il populo fiorentino verso la sua Maestà, hanno decti excelsi Signori nello infrascripto modo, come meglio et efficacemente seppono et poterono, ordinato, deliberato et statuto: che per virtù della presente provvisione la ciptà Fiorentina con tutto il suo contado et dominio presente et futuro, et tutti i ciptadini et habitatori di quella s’ intenda per lo advenire in perpetuo essere, et sia per uno particolarissimo et specialissimo modo, sottoposta et subiecta allo universale monarcha et signore di tutte le cose, Christo Iesu, invocato et electo da questo devotissimo populo per suo unico et vero signore et re fino a dì VIII febbraio 1527, et al dolcissimo giogo della sua legge et sanctissimi precepti, et alla gloriosissima sempre vergine Maria dieta et invocata per sua unica et particulare regina, ai quali servire è il vero regnare e la certissima libertà; et così decti excelsi Signori, reprobando ogni diabolica servitù et humana tyrannide, in nome di tutto questo devotissimo populo, di nuovo li eleggono et confermono per sua specialissimi Signori, sottomettendosi lietamente con tutto il quore alla Divina Maestà, dichiarando decto populo fiorentino, oltre alla professione facta al sancto battesimo, di nuovo expressamente promettere di mantenere et observare inviolabilmente la santissima religione christiana, et con tutte le forze sua obedire amantissimi precepti di quella, et apresso mantenere et conservare con ogni studio et diligentia possibile il presente popular vivere et santissima libertà, come dono singularissimo della divina Maestà. Fu inoltre ordinato che intorno al monogramma di Gesù, da collocarsi sulla porta del palazzo, si ponesse la corona di spine «acciò per tale figura si comprehenda una constantissima volontà del popolo fiorentino di haver reprobata ogni altra servitù, et electo solamente servire a quello vero re immortale, il quale dalla cecità del populo judaico, anteponendogli li huomini mortali, fu già impiamente reprobato. E volendosi nel tempo stesso procurare una riforma nei costumi e porre un riparo alla depravazione che, coll’infiacchire degl’animi, spegneva qualunque sentimento generoso, si stabilirono severissime pene contro i bestemmiatori e gli omicidi, si proibì ogni privata vendetta, si dichiarò che s’intendesse spento tra i cittadini ogni privato rancore, affinchè tutti concordi potessero cooperare alla difesa della patria. Finalmente si ordinarono tre giorni solenni da festeggiarsi nel1’anno: cioè il 9 di novembre nel quale fu facto dallo omnipotente Iddio il principio di salute a questa repubblica (5), il sestodecimo dì del mese di maggio nel quale piacque al nostro re immortale restituirci alla Christiana libertà e liberarci dal durissimo giogo della tirannide: (6)» e finalmente il 9 di febbraio, nel quale Cristo redentore era stato eletto in sovrano della repubblica. Le feste dovevano consistere in sacre cerimonie, nella mostra e pompa generale dell’ordinanza, e nella distribuzione di elemosine in somma di 25 fiorini larghi di oro in oro per ciascuna delle 3 festività.

Non è certo se nel 1527 o nel 1529 fosse collocato sulla porta del palazzo il monogramma di Cristo. Io ritengo che vi fosse posto in seguito alla prima deliberazione, perchè non apparisce che sia stato mai contornato dalla corona di spine, conforme fu ordinato dalla riformagione del 17 maggi 1529. La quale opinione trova appoggio nell’asserto del cronista Giovanni Cambi, da cui sappiamo che a’ 10 giugno nel 1528 venne il clero di S. Maria del Fiore sulla piazza della Signoria dov’erasi fatto un altare dinanzi alla porta del palazzo, discosto in modo che potessero i cittadini girarvi d’ attorno, che scoprissi il nome di Gesù fatto re del popolo Fiorentino a sua lode ed onore ed a difesa della libertà (7)
Sulla medesima porta, narra lo stesso cronista, era già stata l’arme dei re di Francia, postavi dopo la cacciata dei Medici nel 1494. e lo stemma di Leone X, collocatovi allorquando questo fortunato concittadino fu eletto pontefice (8).
Altro grave dubbio poggia sull’ iscrizione. Notai di sopra quella che ci dà il Varchi: il Segni, storico egli pure contemporaneo, ce ne dà due del tutto diverse tra loro non meno che da quella del Varchi. Nel libro primo delle sue storie ne riporta una così concepita

 
Jesus Christus Rex Florentim Populi
S. P. DECRETO ELECTUS:

 
mentre nella vita di Niccolò Capponi ce ne dà un’altra, espressa

YHS XPS Rex populi Florentini S. P. Q. F. Declaratus
Anno . . . mense . . . die . . .
 
Quale di queste tre fu quella che la Signoria fece iscrivere sopra la porta del palagio? È ciò ben diffìcile a determinarsi , ed è ridicola l'asserzione del Rastrelli nella Firenze antica e moderna, che tentando di conciliarle tra loro, dice « La prima riportata dal Segni nella vita del Capponi è quella che istantaneamente fu segnata nell’atto di fare il decreto; 1’altra accennata dal Varchi fu senza alcun dubbio fatta porre dallo stesso gonfaloniere, scritta o in legno o in altra guisa; e finalmente quella esposta dal Segni nella istoria, è la vera iscrizione in pietra che fu collocata sulla porta del palazzo, e che tuttora esiste. Ma probabilmente il Rastrelli non si diè carico di riscontrare la controversa iscrizione, coperta, siccome lo era ai suoi tempi dallo stemma granducale; poiché, ove l’avesse realmente esaminata, avrebbe veduto che non sulla pietra ma sul marmo eli’ era scolpita.
Dopo di lui, tutti quanti han parlato del Palazzo Vecchio, han giurato sulle sue parole, e hanno asserita siccome esistente la iscrizione annotata dal Segni nelle sue storie.
Ma qual fu lo universale stupore, quando nel 1 846, remosso lo immenso stemma granducale, che goffamente deturpava la porta del palazzo, ne fu scorta una del tutto differente da quella che ci aveano tramandato gl’istorici! Io stesso, nella nota 38 al capitolo XVIII della seconda edizione del romanzo di Agostino Ademollo intitolato Manetta de’ Ricci pubblicato in tal anno, notai cotal fatto; cosicché di per sé stesso chiaro apparisce, quanto sieno destituite di fondamento le voci che asseriscono cotale iscrizione cangiata in occasione del restauro recentemente operato. La iscrizione posta in luogo dell’antica, porta scritto

 
Rex Regum et Dominus Dominantium.
 
Ma quando fu questa iscrizione sostituita all’antica, qual fu il principe che osò cotanto? Ciò si può molto difficilmente determinare perchè non ci restano documenti storici che ce ne accertino. Io però ritengo che questa sostituzione fosse operata nei primi anni del regno di Cosimo I; il quale forse sdegnò di dividere l’autorità su Firenze con Gesù Cristo, nel timore di qualche pretesa che potesse un giorno affacciarsi dai Papi come Vicari in terra del Redentore.
Ed una conferma della mia opinione io riscontro nelle parole usate dal Varchi, narrando come il Capponi, rifacesse apporre la iscrizione, «pensando egli che nessuno dovesse levarla mai:» dal che mi sembra di scorgere che quando il Varchi dettava le sue storie, circa la metà del secolo XVI, non più si leggesse una cotale iscrizione.


 

 
 
(1) lo storico Francesco Cuicciardini ci ha lasciata memoria dei discorsi che in favore o contro tale imposta progressiva furono recitati in Consiglio. Questo scritto del loro antenato fu reso di pubblica ragione nel 1840 dai conti Piero e Luigi Guicciardini.
(2) Storia Fiorentina, Lib. V. Ediz. del 1 833 , t. I. A 329.
(3) II cronista Giovanni Cambi riporta quasi per intero il discorso del Gonfaloniere Capponi. Vedi Delizie degli eruditi Toscani. T. XIII. Pag. 5.
(4) Arch. Centr. di Stato, Sezione della Repubblica: Libri di Consulte. N. 64, a car. 284 t.
(5) In detto giorno fu cacciato il cardinale Passerini coi pupilli Medici.
(6) Giorno in cui la casa Medici fu cacciata da Firenze la prima volta nel 1494.
(7) Delizie dogli Eruditi Toscani, T. XXIII. Pag. 35.
(8) Eravi allora un frontone acuminto, forse quello stesso olio vedesi tuttora, dipinto di azzurro oltremarino seminato di gigli d'oro, e così rimase anche quando vi fu posta nel mezzo 1’arme Medicea. I due leoni erano coperti di una lamina di metallo dorato.

Luigi Passerini, Curiosità storico artistiche fiorentine scritti di Luigi Passerini, Firenze, Stefano Jouhaud, 1866
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