Chi era Federico Bobini? Parte seconda

Vita di Federico Bobini, parte seconda
detto Gnicche

- Gnicche ammazza un povero Contadino.
Il primo a cader vittima della ferocia e brutalità di questo assassino, fu un povero campagnolo di Sargiano, località che resta in un amena posizione dominante la città di Arezzo, conosciuta da quella gente là col nome di Val di Chiana.
— Poche centinaja di passi distante dalla Chiesuola parrocchiale, uscivano una domenica dopo vespro due fratelli contadini, che mentre se la
chiacchieravano tranquillamente con un’altro loro amico, udirono all’improvviso tuonare una voce minacciosa avanti a sé, che intimava loro con poco garbo, di più oltre procedere e andare innanzi.
Era nè più nè meno che Ghicche stesso in persona, alla cui apparizione uno di quei due giovinotti, impallidendo ad un tratto e fattosi piccin piccino dal timore, cercò alla meglio rannicchiarsi addosso il non meno spaurito fratello. Gnicche intanto armando il fucile alla spalla, e rivoltone la canna micidiale verso il gruppo gridò: — Ehi, chi non ci ha che vedere si scansi, altrimenti tiro a tutto il mucchio!
A questa intimazione quegli che discorrevano coi due fratelli, si affrettava subito a darsela a gambe, intanto che uno di quei contadini, stringendosi vieppiù al petto del fratello, con voce lacrimevole e commovente diceva:
— Per carità fratello non mi abbandonare! «Non vedi, chi è costui.... e Gnicche!
Ma il brigante, non curando le preghiere di quel povero contadino, fattosi più avanti, ordinò risoluto all’altro campagnolo di andarsene, e nel medesimo tempo sparò il suo fucile.
Non era quel misero appena distaccato dal fratello, che una palla l'aveva colpito al petto. — Allora Gnicche partendosi indifferentemente dal luogo del delitto, come se nulla fosse esclamò: — Impara birbante a far la spia !.... e in cosi dire se ne andò.
Se questo fatto ponesse in costernazione quella campagna, ognuno il pensi. Gnicche, il terribile e famigerato Capobanda, cominciava a spiegare tutta la sua ferocia e brutalità, cosa che finora egli si era risparmiato, essendo in principio apparso — come si disse — affatto contrario allo spargimento del sangue umano.
Il nome dell’ infelice ucciso era Cesare Fracassi!... Povero giovane!... 

- Gnicche ammazza un'altra Contadina credendola nanche questa una spia.
Nè questo orribile assassinio, bastò alla sua bramosia di vendetta e di odio contro quelli da esso creduti autori dell’ arresto fatto poche settimane
avanti.
Infatti una mattina del mese di Marzo 1870, quando appunto il giorno cominciava a spuntare sull’orizzonte, egli appiattato in una macchia stavasene rannicchiato fra le spine come in attesa di qualcuno.
Vicino alla strada dove trovavasi, esisteva una casupola da pigionali, dove una povera donna abitava, in qualità di operante o garzona di contadini.
La medesima che si preparava appunto in quell’ora mattutina ad andarsene pel suo lavoro, non aveva fatti un venti o trenta passi dalla casa, che già mezza morta dallo spavento si vide sorgere davanti la figura oscena e terribile del feroce Gnicche. — Ah ! ah ! finalmente tu pure ti ci ho colta! Ora posso davvero dire, che tu ci sei!... E in così dire saltandole addosso, rovescia in terra quella misera, che non aveva nemmeno fiato di gridare dalla paura.
Invano la povera vittima si dibatteva per le tremende strette di quel brigante; invano a mezza voce, perchè soffocata dalle sue unghie raccomandavasi che le lasciasse salva la vita.
Gnicche inferocito e invaso dalla sete insaziabile della vendetta, si levò di sotto la carniera un lungo coltello affilato come un rasoio, e scritto con una mano su di un pezzaccio di foglio alcune parole, l’uno e l’altro conficcò nel petto della infelice, trapassandole senza pietà nè misericordia il cuore!... Quindi lasciato quel foglio affisso con l’arme entro lo stomaco della palpitante vittima, accese tranquillamente un sigaro, e se ne andò fischierellando, avendo cura di raggiungere la vicina boscaglia, posta al di là di un fossato.
In quel pezzo di carta, cosa aveva mai potuto scrivere quell’ essere brutale e sanguinario?
Niente altro che queste lugubri parole: GIUSTIZIA DI GNICCHE Contro gli Spioni!
Ciò sarebbe, a quanto raccontasi da molti, avvenuto nel posto chiamato Creti, poco distante dalla città di Cortona!

- Gnicche si traveste da Guardia del Dazio Consumo .
Mentre tali enormità si consumavano, il Secondino, che era un certo Satti, invaso dal rimorso e dal dolore di aver favorito la fuga di un simile soggetto, aveva creduto ben fatto consegnarsi volontariamente alle Autorità, denunziando non solo sè stesso, ma ancora diversi altri malviventi che facevan parte della banda di Gnicche.
Il Ghiora e Gigetto, che avevano fino a quel momento seguito le pedate di Gnicche, insospettitisi che egli presto o tardi inciampasse nelle unghie della Polizia, o delle truppe che lo serravano per ogni parte, e che quella aveva spedite a perlustrare quelle campagne, trovatisi fra loro d’accordo, presero il largo lasciando che il Bobini da sè solo si arrisicasse in quelle imprese pericolose.
Parte col denaro, parte colle minaccie, e favorito dalle lusinghe di una presenza di spirito alquanto sveglia e risoluta, Gnicche trovava facilmente chi si prestava volentieri a favorire i suoi disegni, ed era giunto a tal punto col prestigio del suo nome, che malvolentieri si sarebbe la gente prestata a denunziarlo.
Le vendette consumate, il suo fare aggressivo, che non ammetteva repliche in contrario, e poi l’oro che usciva dalle sue tasche, avevano potuto incutere un maggior timore negli animi, tanto più se si riflette che bene spesso se la pigliava con i più grossi per favorire in parte i più deboli.
Un giorno fattosi da una tal guardia deln Dazio Consumo prestare il proprio uniforme, con quello si azzardò perfino a introdursi in Arezzo in una casa di mal affare, posta nella via del Colcotrone, ed ivi fra gli abbracciamenti e i baci di quelle spudorate femmine, passò tutta la notte.
Gnicche venne riconosciuto, ma nessuno si diede premura di riferirne alla Polizia. Questa sua arditezza, lo fece apparire presso gli occhi dei timidi, per un uomo molto coraggioso, tanto si mostrava incurante di ogni pericolo.

- Gnicche vuol rapire la Serva ad un Priore, ma non lo fa altrimenti.
Portatosi una sera Gnicche alla Badia del Piano, entrò subito in canonica, onde poter parlare al Priore in persona; il Prete non appena lo ebbe veduto, cadde subito in forte sospetto che quello forse il Bobini sicché principiando a tremare fortemente, tanto che le budella
gli tremavano in corpo, domandò al nuovo arrivato che cosa desiderasse. — Sor Priore, disse Gnicche levandosi il cappello, con aria di corbellatura. — Sor Priore i’son venuto da lei, perchè so che ha del denaro.... Mi darebbe dunque un migliaio di franchi che ne ho bisogno?
— Mille franchi!... Figliolo mio, come debbo fare? se non ho un centesimo. — Meno discorsi Prete! cambiando modi, e tuono di voce — Ho bisogno di mille franchi e li voglio!.... E se tu indugi, lo vedi questo coltello, t’ infilo la trippa come è vero Dio!... — Ma non è possibile... Forse tra qualche
giorno.... — Nemmeno un’ora di tempo.... — O mi dai mille franchi, o ti porto via la Serva. — No, no per amor del Cielo ! Quella poi nò.... Vediamo via.... siate buono e ragionevole.... — Non conosco ragioni, o la Serva o mille franchi; anzi ora ne voglio mille e cinquecento. — Santissima Vergine come debbo fare!..
Il buon Priore alzava gli occhi al Cielo, biascicando tra i denti un Paternostro ed un Ave, perchè il Signore lo liberasse da quel briccone. — Insomma si o no! chiese ancora lo Gnicche avvicinandosi verso la camera, ove la serva se ne stava chiotta chiotta e tremante dalla paura.— Fermo, fermo, la Serva non ve la dò. — Andiamo via.... tenete.... in qualche maniera vedrò di rimediare.... — Buona notte Prete, e parti colla somma.
Il Priore si riebbe, e Gnicche ridendoci sopra, se la svignò allegramente', riflettendo alla ingordigia del Prete, che piuttosto di cedere la Serva, aveva prescelto snocciolare i mille franchi!...

- Gnicche va in un Caffè e si trattiene a discorrere col Sindaco del Paese.
Intascato il danaro, che pensò .di fare il tristo soggetto?
Pensò di ritornare in Arezzo, per godersi e divertirsi tranquillamente con la somma avuta con tanta facilità da quel povera Priore.
I vizj e le cattive abitudini, che si erano fin da bambino fatte strada traverso il suo cuore, non l’abbandonavano un momento; ma anzi vieppiù gli riscaldavano la mente, sempre intenta ad immaginare nuovi delitti, nuove bricconate, tanto per saziare le brame viziose del suo animo depravato e corrotto.
Ora dunque accadde, che Gnicche non si peritò di andare nuovamente alla città, ed entrato or in uno dei Caffè più frequentati di Arezzo, dove pel solito solevano andare persone di rispetto, vi si pose a sedere tranquillamente.
Sia che il Caffettiere non lo riconoscesse, o fingesse ignorare la sua presenza per tema di qualche guajo, sia che veramente il Bobini si fosse abilmente travestito da non poter essere con tanta agevolezza riconosciuto, il fatto è, che ordinata una tazza di caffè, si pose a chiacchierare del più e del meno, con un signore ben vestito e piuttosto vecchiotto, che gli stava vicino.
Quell’individuo, di aspetto educato e civile non era (per quanto si dice) nient’altri, che il Sindaco stesso della città.
E siccome di ciarla in ciarla, si era caduti sul tema favorito del giorno, cioè dello Gnicche medesimo, cosi dopo aver dichiarato che costui non l'avrebbero potuto tanto facilmente acchiappare, egli saltò su con questa domanda improvvisa e strana ad un tempo:
— Mi conosce lei signor Sindaco? — Non ho questo piacere. — Ebbene, sappia che sono un Sindaco anch’io: non però quello Babbeo, che rappresentano al teatro.
Il Sindaco vero, a questa scappata si sarebbe morso le labbra, parendoli un poco ardita la frase, nonostante replicò : — Scusi, non la conosco. = O quale Comune rappresenta?
— Quella delle tasche altrui!... — Come?.... cioè.... si spieghi un po’ meglio? — O senta: Lei come Sindaco, non mette lebtasse a tutto? — Certo, il Governo lo 'esige e l'ordina ! — Dunque ancor io pongo le tasse; la differenza però sta che loro aggravano poveri e ricchi,ned io aggravo soltanto i signori. Vede, che se non altro, faccio le cose più giuste.... Cosi dicendo data una guardatacela attorno e messo mezzo franco nel vassojo, senza prender nemmeno il resto se n’ andò rapidamente.
— O che razza di uomo è costui ? domandòbil vero Sindaco al caffettiere?
— Quello? Non l’ha riconosciuto Signore ;
nientemeno è Gnicche.
— Gnicche?.... Vergine santa!.... e gli cadde la tazza del caffè in terra.
Intanto il tristo Bobini se l'era sgattalojata, facendola nuovamente in barba alle Guardie ed ai Carabinieri, che in gran numero partirono onde scoprire dove Gnicche albergava.

- Gnicche affronta la Diligenza che va in Casentino.
Stando a quello che si racconta in quelle parti sul conto di questo brigante, una talvolta avendo Gnicche avuto cognizione come nella Diligenza
che traversava giornalmente si sarebbero trovati varj sensali con moltissimi danari addosso, da sè solo, senza l’ajuto di alcuno, avrebbe pensato di porre in sgomento tutti quei passeggeri, derubandoli uno ad uno di quanto possedevano indosso.
Ecco il fatto: Mentre la Diligenza arriva su di un punto che la strada sale rapidameate, Gnicche, che già da qualche ora stavasene nascosto dietro un muro, esce fuori col fucile spianato, pronto a far fuoco, se il vetturino non avesse subito fermato i cavalli.
Non è a dirsi se a quel povero meschinello tremassero le budella in corpo: infatti lasciate le guide, non ebbe appena il tempo di far cenno ai Viaggiatori di quanto avveniva, che Gnicche profittato dello sgomento che tutti in quel momento provavano, e fingendo chiamare sette o otto dei compagni, fece si, che invitati ad uno alla volta i meschini, trattili in disparte, li spogliasse ben bene di ogni loro ricchezza.
Nè le donne stesse furono risparmiate, che anzi si permise a talune fare anche qualche oltraggio.
E non si facciano le meraviglie , se nessuno di quei passeggieri si azzardasse a difendersi contro quest’assassino.
Con la paura che aveva portato dovunque, il terrore che s’era impadronito di tutti, e più lo strattagemma di dire — Vojaltri che siete ai due lati della strada, attenti!... Al menimo atto di resistenza fate fuoco!., la cosa non poteva riuscire che bene.
Gnicche compiuta l’ardita aggressione, dopo essersi intascate le gioie e i danari rubati con si bella disinvoltura, per terminar la prodezza comandò al vetturino: — Ora tu, te ne puoi andare ! Guardati dal far parola di ciò, perchè quest’altra girata l’anderà peggio per te, e per chi capita!., e si diede alla fuga, saltando macchie e poderi con molta agilità.

- Litigio fra il Ghiora è Gnicche è motivo di una Ragazza.
Dalle notizie raccolte là verso Monte Sansavino, si è venuti a sapere che fra Gnicche e Ghiora, non sempre le cose passassero liscie, e che più di una volta, fra loro sorgessero dei letigi, ai quali pel solito il Bobini dava la consueta chiusa colla minaccia di morte.
Sebbene per animo sanguinario e crudele il Ghiora sopravanzasse Gnicche, pure siccome questi si sapeva fare stimare, tanto per la robustezza, quanto per gagliardia di animo, cosi il feroce Ghiora, che non si sarebbe mai peritato a menare le mani e lo stile quando si fosse trattato di esseri deboli ed inermi, faceva poi il pauroso e vigliacco dinanzi al suo Capobanda.
Ghiora dunque si vuole, che una tal volta, rimanesse innamorato cotto di una bella campagnola di quel Paese, e con essa più e più volte lo si sarebbe visto discorrere e passeggiare tranquillamente per quei poggi, quando Gnicche era a far la caccia a qualche Passeggiero.
Fosse che a questa campagnola andasse più a genio le maniere di Gnicche, fosse che effettivamente gli garbasse di più il suo viso, e fosse anche
l’attrattiva e la potenza dei regali che questo sovente gli faceva, fatto è, che questa donna cominciò adagio adagio a stringere domestichezza con lui, e tanto la relazione si sarebbe stretta, che una tal sera il Ghiora, già in parte insospettito sul contegno di costei, te la sorprendesse calda calda, in amoroso ed intimo colloquio con Gnicche.
Il Ghiora arrabbiato, voleva ucciderli entrambi ad un colpo; poi ammansito procurò fare il gradasso a parole soltanto, affibbiando ai due sorpresi le più vituperose parole del mondo.
Ma Gnicche che conosceva il suo pollo, invece di adontarsene che ti fa? Rise prima sul muso a Ghiora, poi ponendosi le mani sulla cintola dei pantaloni, ove ci stavano infilate due, pistole e un coltellaccio, con un dito sulla ghigna del Ghiora cosi gli disse: — Bada Ghiora, riga diritto, perchè questa Ragazza che qui non è più ciccia per tuoi denti. Ghiora pensa bene a quello che ti dico, se da qui innanzi tu la guardi appena con uno di quei tuoi occhi da falcacelo, non son più Gnicche se non ti pongo tre dita di lama in gola!... Dunque va’ pel tuo viaggio e lasciaci in pace!... Se poi non sei persuaso di quanto ti dico; non hai che a dirmelo... E credi a me, che l’anima tua la mando all'inferno come vero il Sacramento!....  E in cosi dire tirando fuori la bocca nera di una pistola, avrebbe fatto cenno di rivoltarla contro il Ghiora. Ghiora mordendosi un dito per la rabbia, e minacciando di un gesto la donna mezza tramortita, andossene via di là, facendo giuramento di vendicarsi di quell’oltraggio.

- Assalto della Forza armata contro la banda di Gnicche.
Dopo pochi giorni che avvenne il litigio già detto, Ghiora, Gnicche e Gigetto, mentre se ne stavano appiattati in una Capanna posta a livello di una vallata che guarda la strada provinciale che mena a Cortona, alcune Guardie di polizia, che da molto tempo giravano in quei pressi per snidare dal covo gli assassini, fidatisi ciecamente delle indicazioni loro date da un contadino, si diedero a frugare per quelle macchie, tanto che una mattina si sarebbero trovati appunto vicino alla capanna sopra indicata. I Carabinieri che per il solito hanno 1’ odorato sottile, e l’occhio fino, non avevano appena appena fatto alto per riposarsi un pò, che già il loro Capoposto fatto cenno agli altri se ne stessero zitti e cheti, cominciò ad osservare in sospetto attorno, per il che udito del rumore entro quella capanna si appostò tosto colla carabina, pronto a far fuoco al menomo atto di presenza di qualche facciaccia brusca.
Il Ghiora che appunto stavasene là dentro con Gigetto, mentre che Gnicche fra un sorgo di grano faceva i suoi bisogni, non appena scorse il viso del Carabiniere che guardava in alto, spiccato un lancio si gettò dalla finestra, e giù a scappavia in quella vallata, traversando i campi a tutta corsa. — Fuoco! fuoco! compagni! giù; tirate! tirate a quei Briganti ! gridava il Capoposto agli altri camerati che eran seco.
Gigetto intanto profittando della confusione, lesto lesto se la svignava di dietro alla casetta, facendola in barba alla truppa, che faceva fuoco dall’altra parte. Sfuggito dunque anch’ esso al pericolo, restava Gnicche soltanto, che al rumore ed ai tonfi si era in un battibaleno riaggiustati i
pantaloni. Fu dunque egli che subito diede nell'occhio ad uno di quei Carabinieri, il quale volendo distrarre il Capoposto dalla idea di correr dietro a Gigetto, stava giusto tirandolo per la giubba, onde si voltasse indietro... — Punff... e un tonfo terribile fece lasciar di bòtto la presa ai malcauto, e Gnicche ridendo del bel colpo tirato, spiccando un salto se la svignò alla bella libera.
Il Capoposto e gli altri appena ebbero tempo di vederli, che subito sparirono, e temendo un nuovo attacco, si disposero tosto in accanita difesa. Però vani restarono i loro tentativi, giacché per quanto frugassero e corressero qua e là, nulla poterono rinvenire riguardo a questi tre malandrini.
Uno dei Carabinieri restò ferito, fu condotto per il momento nella casupola, dove penetratala la forza, trovarono che su di una pancaccia sudicia v’erano ancora gli avanzi della colazione di quei briganti.

- I Carabinieri vanno in traccia di Gnicche e ne scoprono il covo.
Ma era ormai giunto il tempo e l'ora che tanti misfatti, dovessero ottenere la dovuta e meritata punizione: già la stampa di tutta l’Italia parlava degli atroci delitti commessi da questo brigante; già Truppa e Agenti di polizia, s’erano bastantemente indispettiti e stancati, per non esser riusciti, con tanti disagi e fatiche a sorprendere il fiero Assassino; quando tre bravi Carabinieri, fra’quali uno allievo della linea, e il Capoposto di essi, si accinsero da sè soli, a iniziare e condurre a buon fine la più bell’opera meritoria, che fosse dato rendere ad un Paese.
Concertotisi dunque fra loro, e scevri da ogni idea d’interesse — in quanto riguardava la forte taglia posta sul capo di Gnicche, come premio dovuto a chi lo avesse condotto in Arezzo vivo o morto — i tre arditi, quanto bravi soldati si posero in modo onde scuoprire il covo del Bobini e de’ suoi Compagni. A forza di cautele e precauzioni e tenuto conto delle ciarle che quà e là si facevano, in breve i tre detti Carabinieri, poterono giungere al desiderato fine di sapere da qual parte lo Gnicche si facesse più di sovente vedere. Batter la campagna, frugare per ogni dove,
marciare notte e giorno, consumando ore ed ore intere pazientemente in luoghi nascosti, onde ghermire il terribile assassino fu loro giornaliera premura ; in ciò ajutati attivamente dallo zelantissimo ed operoso Regio Procuratore d’Arezzo, signor Cav. Trombetta.
In forza d’informazioni minutissime, attinte dalla bocca di varj Contadini e terrazzani, il Capoposto dei reali Carabinieri, riusci a venire in cognizione che il temuto ladrone tanto avidamente ricercato, era solito rifugiarsi a passar la notte presso una famiglia di campagnoli, nelle vicinanze di Tegoleto, in luogo detto la Badia del Pino.
I manutengoli di questo feroce malandrino, erano certi Casucci, famigliola composta di tre persone, cioè marito, moglie ed una figlia piuttosto geniale.
Questa volta la spia aveva lavorato bene, ed il Capoposto con i suoi due uomini, gongolavano di gioja, malgrado che l’uno e gli altri riflettessero
quanto vera di rischio in essi, a compiere l’arresto di un uomo cosi forte e brutale, e che inoltre lo si diceva accompagnato nuovamente da sei o sette manigoldi, veri avanzi di galera, capaci di uccidere e farsi ammazzare come se niente fosse.
Ma ormai l’impegno era preso, ed anzi invece di scemar loro il coraggio, i tre Carabinieri, vieppiù si rinforzarono di arditezza e buona volontà, per condurre la cosa con buon esito ed onorato valore.

- Gnicche viene arrestato all’ improvviso dal Capoposto dei Carabinieri, fa resistenza alla forza, e dalla rabbia porta via un dito della mano sinistra a Capoposto medesimo.
Non era ancora finito di suonare l'un'ora di notte del 15 Marzo 1871, quando i tre bravi Carabinieri, che come si è detto, si erano messi in testa di arrestare Gnicche, si avvicinarono guardinghi e cautelati alla casa del contadino Alessandro Casucci.
Il Capoposto entrato che fu in cucina, e visto che il Casucci, era assiduo a friggere molte padellate di fegato, si fece a domandargli: — Ditemi Sandro, o che cosa ne fate di tanto fegato? — Io, niente! e pareva che rispondendo cosi, si fosse messo in sospetto. — Poi soggiunse: Questo fegato me lo mangio con la mia famiglia. — Badate che non v'abbia a fare indigestione! rispose il Capoposto e se n’andò dan'dogli la buona notte.
— Buona notte anche a lei se Dio vuole! brontolò fra’ denti il Casucci, persuaso però nel fondo del cuore, che il Carabiniere non si fosse accorto di nulla. Non appena quel bravo Capoposto usci, ed affrettatosi ad andare incontro ai suoi compagni, in tal modo rivolse loro la parola.
— Ragazzi? nella casa del Casucci e’ fanno un gran cuocere di fegato... Ne avete fegato vojaltri? — Se ne abbiamo !... Ci sentiamo anco capaci di mangiarcelo crudo! .. — Allora và bene così. E il Capoposto collocati dietro un pagliajo i suoi due compagni, sene tornò fischierellando entro la casa.
Sandro in quel momento appunto se ne andava. — Fermo là! — Ove vai adesso?... Bada che se non rispondi subito ti brucio! E il Capoposto accompagnava la minaccia, con l'atto di appuntare il revolver sul petto dello spaurito contadino. — l’ torno, torno indietro, la un si dubiti!... I’ me ne andavo a riscontrar la me’ donna. — Ah la tua donna eh? e con uno spinton0.
il contadino fu ricacciato in casa, colla minaccia che se moveva un dito, o faceva una parola di più, sarebbe stato morto. Mentre questo avveniva, la Domenica, e Palmira Casucci, una moglie e l'altra figlia di quel manutengolo di ladri, s’avvicinavano chiacchierando fra loro alla casa, e già stavano per entrare, quando di nuovo il Carabiniere fattosi innanzi ordinò: — Tacete vojaltre e siate buone, se non volete che vi accada del male. In casa dunque e silenzio!... al resto ci penso io!
La madre però, che era una furbona matricolata, invece di spaventarsi di questa improvvisa presenza del Capoposto, trovata non so quale scusa, chiese ed ottenne di andare a fare certe sue faccende li dietro il pagliaio, nel medesimo luogo dove appunto stavano appiattati gli altri due Carabinieri.
Appena quella donna si fu chinata per fare i propri bisogni, nello sfòrzo; gli venne un nodo di tosse.— Gnicche credendo che la tosse fosse una chiamata, si avvicinò alla casa fischiando l’aria popolare : — O tu misuri, o tu posi lo stajo! — Non appena però il bravo Carabiniere se lo vide vicino, che riconoscerlo, corrergli addosso e rovesciarlo sul terreno, fu pel Capoposto un istante solo. Invano l’assassino si dibatteva furiosamente fra le strette di quel Carabiniere; invano cercava svincolarsi dalle sue mani, onde poter gridare: — A me, a me, soccorso comp..... Inutili sforzi! la parola compagni gli restò in gola, giacché mentre il Carabiniere gli poneva una mano sul viso, il brigante riesci ad afferrarli coi denti un dito, mordendoglielo con quanta forza avea colle ganasce. — Assassino birbante ! gridava dal dolore e dalla rabbia il Carabiniere che gli stava sopra, minacciandolo colla lama della sua sciabola: — Lascia il dito, se no ti taglio la gola!
Ma Gnicche non lo lasciò, fino a tanto che stringendo con tutta la sua forza i denti, il dito si distaccò dalia mano, il quale gli rimase in bocca,
lo sputò in terra pieno di sangue, e cosi quel bravo Carabiniere, rimase con la mano mutilata e sanguinolenta che era un'orrore a vedersi!
Gli altri due Carabinieri intanto che avevano fino allora fatto la guardia, se per caso altri suoi compagni sopravvenissero, corsero in ajuto del loro Capoposto, e tanto si adoperarono che in breve tempo ebbero messe a questo birbante manette ed i ferri.
— Va' innanzi: gridò allora il Capoposto al Bobini, e voialtri costà, accennando le donne e il Casucci, seguiteci. In cosi dire si avviavano tutti per la discesa del poggetto, dove in fondo scorreva un burrone di acqua, traversato a un certo punto da una pietra, che veniva dalla gente di quei posti battezzato col nome di Pollicino.

- Gnicche tenta scappare, e nella fuga trova la morte.
La comitiva aveva appena fatto un centinaio di passi, quando il Bobini giovine e robusto come era, diè come una forte stretta ai polsi di ferro che lo tenevano avvinghiato, e quindi fatto un salto straordinario, prese a correre di fuga precipitosa.
I Carabinieri, che erano ornai stanchi e trafelati dalle lunghe fatiche e sofferenze, nel vedersi a quel modo sfuggire la preda tanto bramata da tutti, che ti fanno?
Corsero dietro al malandrino, e non appena lo ebbero raggiunto di circa una diecina di passi, che uno sparo di arme da fuoco balenò per l’aria.
Era un colpo di revolver scaricato alla dì pozione dell’assassino, dallo stesso Capoposto, che teneva l’altra mano tuttora insanguinata avvolta entro le pieghe di un fazzoletto. Gnicche dando un grand'urlo, barcollò un momento, volle rialzarsi, poi precipitò ferito in un fianco da una palla, fin entro quel burrone, che dovean traversare per condursi al vicino Paese.
Sopraggiuntili addosso i Carabinieri, è voce comune che spirando, il Bobini nominasse più volte sua madre, quella povera meschina che nella sua condiscendenza e bontà aveva forse contribuito a render malvagio un uomo, destinato a ben’altra carriera, che non a quella tristissima dell’assassino da strada.
Quello che sembra vero ed accertato si é, che chiesto innanzi di spirare chi lo avesse mirato così diritto, il Capoposto esclamasse: — Sono stato io! — Bravo ! ti lascio dunque il mio fucile, ed il revolver che mi avete preso. Se vado in Paradiso ti raccomanderò a Dio! — Il Carabiniere rispose — Sarà una raccomandazione debole, perchè S. Pietro non ti vorrà ricevere. Gnicche spirò, e venna tosto condotto al Ponticino, e di là alla Badia, dove venne pubblicamente esposto, alla vista del Popolo. La gioja, la contentezza, la sodisfazione, che fu provata da tutti per la sua morte, si manifestò in mille maniere, sebbene siasi suscitato forte il dubbio che molti personaggi, di vagliai sieno gravenente compromessi. Le rivelazioni che
egli non ha fatte, potrebbero in seguito raccoglier i per mezzo degli altri Briganti che restano ancora impuniti, ma che sono in traccia di essere tra breve scoperti. Chi sa che non pochi che ora tremano soltanto di paura, non debbano maggiormente spaventarsi della punizione che in ogni caso non può tardare a colpirli!
Intanto i tre componenti la famiglia Casucci, arrestati e tradotti al Tribunale di Arezzo, tre o quattro giorni dopo la morte di Gnicche vennero come manutengoli condannati ciascuno alla pena di tre anni di casa di forza, con gran sodisfazione e compiacimento di tutti gli onesti cittadini.
Ora la forza pubblica è in cerca del Ghiotta, di Gigetto e suoi compagni, mentre ai tre bravi e valorosi Carabinieri, oltre la somma destinata loro in regalo dalla città di Arezzo, è stato dal Re accordata la medaglia d'oro al Capoposto, ed agli altri quella d’argento al valore militare. Inoltre dal Governo hanno ottenuto un avanzamento, e dal Consiglio Comunale di Arezzo, ognuno un orologio d’oro con catena lunga, detto alla remontuair, e nella cassa di essi inciso appositamente il nome e cognome, ed un iscrizione di elogio e incoraggiamento a nome del Municipio e del Popolo.
Cosi i bravi Carabinieri, si sono acquistati le simpatie di tutti buoni cittadini, che valgon più di una croce, mentre Federigo Bobini detto Gnicche, lascia nel mondo il marchio dell’infamia, che sarà scritto nel suo Epitaffio a caratteri di fuoco.

 AVVERTIMENTO.
È poiché siam giunti al termine di questo
Libretto, è necessario avvertire il Popolo con
queste poche parole.
Genitori, e voi tutti, cui sta a cuore il progresso
e l’incivilimento umano, pensate e riflettete
seriamente, quanto può l’ignoranza, l’abbandono
e l’ineducazione di un individuo.
Le buone Leggi, fanno i buoni Cittadini.
L’educazione rende onesti, saggi e laboriosi gli Uomini.
Il buon esempio poi, e la severa punizione
dei birbanti, fa si, che da tutti deve esser desiderato
il miglioramento futuro della Società.
Federigo Bobini, detto Gnìcche, sia di esempio
a tutti per l’avvenire.
FINE.

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