L'ultimo dei medici
Il quadro del Richter, esposto all'interno di Palazzo Pitti, raffigura Giangastone, ultimo granduca della famiglia Medici nelle opulenti vesti granducali. Sullo sfondo si scorge una cupa Firenze dal cielo plumbeo, presagio della fine del dominio del casato dei Medici sulla città. Le cronache a lui coeve e la storiografia novecentesca non ne hanno mai fornito un ritratto lusinghiero. Sia il suo contemporaneo Gualtiero che il famoso studioso Acton ce lo hanno descritto come un uomo obeso, bizzoso e dalla lasciva condotta, dedita alla ricerca dei piaceri della carne e della gola. Il suo primo consigliere, il bel Giuliano Dami, era solito procacciare per il granduca decine di ragazzi di borgata dal fisico svelto e tonico, i quali dovevano allietare i capricciosi occhi granducali e non solo...
Settimanalmente, i chiassosi "ruspanti" invadevano la corte di Palazzo Pitti e il granduca dava loro come ricompensa alcuni ruspi, monete dell'epoca, grazie alle quali si deve il terrigno soprannome dato a questi giovani.
Tali servigi erano tutt'altro che tenuti segreti, anzi per i ruspanti era motivo di onore e vanto il "menare l'usignolo del granduca", per dodici ruspi.
Probabilmente, certa storiografia ha indugiato troppo nel raccontare questo personaggio dal foro della serratura; ma fortunatamente nell'ultimo periodo tale controverso regnante è in corso di rivalutazione.
Gian Gastone de' Medici, di Franz Ferdinand Richter (1737)
Giangastone fu il terzogenito di Cosimo III, e per questo motivo non ricevette un'educazione finalizzata alla gestione della cosa pubblica. Egli passò i suoi anni giovanili ritirato nel periferico giardino del cavaliere, all'interno di Boboli, dove ricevette un'erudita ed eclettica educazione, lontano dagli affetti genitoriali. Cosimo III, suo padre, lo costrinse a sposare una nobile vedova del nord Europa, Anna Maria Francesca di Lauenburg, e Giangastone a malincuore dovette partire per raggiungerla nelle desolate lande della Boemia. L'ambiente ostile e la tempra teutonica della consorte misero a dura prova il gentile e sensibile carattere dell'ultimo uomo di casa Medici, che per distrarsi dalla depressione iniziò a frequentare la vita mondana di Praga, cadendo nel gioco d'azzardo e nell'alcol. Prima la morte del fratello Ferdinando (1713), poi quella del padre (1723), chiamarono Giangastone a dover assolvere al difficile ruolo di governo dello Stato toscano.
L'ultimo granduca Medici, nonostante i suoi vizi privati e la sua latente depressione, si dimostrò un buon sovrano: si pensi che durante il suo regno non fu mai applicata la pena di morte, in coerenza con la sua mentalità aperta e sensibile, inoltre attuò una politica laica che ridusse i privilegi della classe ecclesiastica, infine nel 1737, anno della sua morte, ordinò la traslazione delle spoglie di Galieo Galiei all'interno della Basilica di Santa Croce. Lo scienziato, macchiato dalle accuse del Sant'Uffizio, era sepolto in via punitiva nella cappella Medici o del Noviziato all'esterno della chiesa stessa. Con questo gesto, Giangastone riabilitò in modo definitivo la memoria di Galilei, dimostrando a sua volta l'altezza delle proprie idee.