Il bel San Giovanni

Tratto da Nardini Despotti Mospignotti, Aristide, Il Duomo di San Giovanni, oggi Battistero di Firenze, Tip. di S. Landi, Firenze, 1902
Sulle origini del Duomo di San Giovanni non vi è ipotesi che i dotti passati e presenti non abbiano mandata al palio. Vi è chi lo volle opera dei Romani e tempio antico di Marte; chi ravvisò in esso un monumento dell’epoca cristiana primitiva; chi dell’età longobardica e carolingia; chi dei tempi posteriori di poco al Mille, e c’è stato perfino taluno che, inspirandosi forse alla non troppo autorevole autorità del Vasari, o alla non bene interpetrata dizione di qualche vecchio cronista, ha tolto a sostenere che la sua incrostazione marmorea discende al tempo ed all'opera di Arnolfo di Cambio, famoso. Di queste ipotesi, come ognun vede, ce n’è per tutti i gusti ; ed esse investono siffattamente la cronologia dai tempi di Augusto a quelli di Dante, che bisogna pur convenire che una di esse deve essere senza dubbio la vera; a meno che qualche spirito bizzarro (fiorentino o no) non saltasse fuori a sostenere, che l’architettura del San Giovanni è roba del così detto Risorgimento e del secolo di Lorenzo il Magnifico; ipotesi d’altronde che, per quanto avventi, non sarebbe gran fatto più strana di molte fra quelle che furono pocanzi enunciate. Se dunque in una di cotesta ipotesi sta certamente il vero, noi adesso le andremo di mano in mano esaminando e discutendo una ad una, per scoprire in quale di esse cotesto vero è riposto.
Furono di questa opinione tutti gli antichi scrittori fiorentini: il Malespini, il Villani, il Boccaccio, Marchionne di Coppo Stefani, il Pucci, il Sacchetti, i due Palmieri, l’Aretino, il Poliziano, e vollero corroborarla più tardi il Baldinucci e il Borghini, non però con molta fortuna.
Che ai tempi del paganesimo Marte avesse culto in Firenze questa è cosa possibile e probabile. Non altrettanto probabile però è che egli fosse il dio tutelare, il padrone della città, come lo chiama Dante, seguendo l'opinione volgare. Il culto di Marte fra gli antichi non era anzi il più diffuso. Pausania infatti non cita alcun tempio di Marte nella Grecia; e se in Italia, e in Roma specialmente, questo nume era più venerato, tuttavia non ricordo che fra noi siano state città che l’avessero scelto a tutelare e patrono. Anzi, se si dà retta a Vitruvio, i templi di Marte dovevano farsi fuori del recinto delle mura, per tener lontane le discordie intestine e per vegliare alla salvezza delle mura medesime. Ma la tradizione popolare del patronato di Marte in Firenze bisognerebbe ritenerla addirittura una "fake", se come credo, non avesse altro fondamento che quella statua, quella vista che rimaneva ancora di lui sul passo d’Arno, cioè ai piedi del ponte Vecchio, e che fu travolta insieme al ponte dalla famosa piena del fiume avvenuta nel 1333. Basti dire che cotesta statua, a quanto afferma il Villani, era equestre, epperciò non poteva rappresentare il Dio Marte; non essendo mai stato costume di rappresentare Marte a cavallo, e non avendoci l'antichità tramandata statua alcuna di Marte a quel modo.
Io non so in verità quali buone ragioni possano avere avvalorato siffatta credenza. Probabilmente essa è nata da quel vezzo che spingeva i Fiorentini del medio évo a novellare
Dei Troiani, di Fiesole e di Roma.
Però se cotesta opinione non è corroborata da serii argomenti, anche le ragioni che si accamparono per oppugnarla, veramente, non sono serissime; imperocché esse, oltreché si aggirano soltanto nel cerchio estetico, e perciò mirano alla decorazione architettonica del monumento, e ciò non basta, anche per questo lato sono difettive, fondandosi in principal modo sul pregiudizio dei precetti vitruviani e sull’altro dell’ottimità permanente dell’arte romana; quasi che gli antichi edilìzi per fas o per nefas dovessero tutti acconciarsi alle regole di Vitruvio, e non ci pensano nemmeno, e quasiché l'architettura romana da Augusto a Costantino procedesse sempre eccellente e immutata, ed è tutt’altro che vero. Argomenti più validi a quella confutazione sarebbero i capitelli e le basi delle colonne interne della chiesa, di varia forma e misura, e i loro fusti tutti monoliti e di antica provenienza; e certa lastra marmorea con epigrafe latina del tempo imperiale, posta in opera capovolta; cose tutte che disdicono a una fattura dell’ epoca romana e che accennerebbero invece a una costruzione intrapresa posteriormente alla caduta dell’ impero, o almeno del paganesimo, con materiali tolti da fabbriche più antiche. Ma
i sostenitori dell’opinione opposta potrebbero schermirsi allegando, che se coteste cose disdicono ai tempi romano-pagani, non sono però punto strane ed insolite in quelli romano-cristiani; e potrebbero aggiungere inoltre che esse investono principalmente la suppellettile decorativa, la quale potrebbe essere stata modificata in età più tarda senza pregiudizio della origine essenzialmente romana del monumento. E perciò, alcune delle obiezioni accennate possano avere qualche valore, più che a esse e più che alle considerazioni d’indole estetica, io credo che in questa confutazione noi dobbiamo mirare alla costituzione essenziale dell’ edilizio, siccome quella che non dà presa a simili schermi.
