Il grillo di Giovanni Prati
Son piccin cornuto e bruno
me ne sto fra l’erbe e i fior;
sotto un giunco o sotto un pruno
la mia casa è da signor.
Non è d’oro né d’argento,
ma rotonda e fonda ell’è:
terra è il tetto e il pavimento,
e vi albergo come un re.
Se il fanciul col suo fuscello
fuor mi trae dal mio manier (1),
in un picciolo castello (2)
io divento il suo piacer.
Canto all’alba e canto a sera
in quell’atrio (3) o al mio covil;
monachello in veste nera
rodo l’erbe e canto april.
So che il cantico di un grillo
è una gocciola nel mar,
ma son mesto s’io non trillo:
deh! lasciatemi cantar.
So che, al par dell’altra gente,
se il destin morir mi fa,
un fratello od un parente
sepoltura a me non dà.
Pur, negletta e fredda spoglia,
se nel prato io morirò,
là sull’orlo alla mia soglia
anche morto un re sarò.
Il re buono, il re piccino
fiori ed erbe avrà per vel,
ed avrà per baldacchino
sulla testa il roseo ciel.
Giovanni Prati (Comano Terme, 27 gennaio 1815 – Roma, 9 maggio 1884) è stato un poeta e politico italiano.​
(1) Castello, in senso scherzoso
(2) Nella gabbietta da grilli, in uso a Firenze e altrove
(3) All’ingresso del buco
Cosicché, queste due befanate che andarono a finir male, diventaron famose; e servirono di ammaestramento per l'avvenire.
La scaletta, sotto il tabernacolo, fu sostituita da un terrazzino.
La pulizia delle strade, finché poi non fu data in appalto, si faceva dai forzati, che con la catena al fianco, legati a coppia...
L'emozione soggettiva invade notazioni commerciali e tabelle monetarie e affianca alle "ragioni di bottega".