Cavaliere Francese

Cavaliere Francese


 

Tratto da Cammillo Bonnard, Costumi nei secoli X III, XIV e XV tomo I, Milano, dalla Tipografia e Calcografia di Ranieri Fanfani, 1832.​

Un francese, Messer Amerigo di Narbona (italianizzazione di Aimeric V de Narbonne), comandava l'armata fiorentina alla battaglia di Campaldino, nella quale vennero pienamente sconfitti gli Aretini. Fra le persone più distinte, che perdettero la vita sul campo di battaglia fuvvi, dalla parte dei Fiorentini, Messer Guglielmo Berardo, balìo di Messer Amerigo di Narbona (*). Una città riconoscente innalzò un monumento alla memoria di uno straniero, che aveva versato per essa il suo sangue e la scultura che ne suoi progressi superava i timidi saggi del pittore Cimabue, sforzossi di tra smetterci l'effigie di quel cavalier francese. Questo monumento, sì interessante per l'epoca, appartenendo esso al decimoterzo secolo, presenta il più completo costume di un cavaliere: e lo stesso costume si conservò eguale per molti secoli posteriori: tale fu usato dai crociati ed era ancora il medesimo allorquando la scoperta di un nuovo mezzo di distruggersi rese il giaco di maglia un'arma di difesa presso che inutile.
Il giaco di maglia era una spezie di camicia simile alla corta sopravveste dei nostri carrettieri, formata di maglie di ferro concatenate insieme (chiamavasi giaco piastrino quello che era fatto di piastre di metallo). Vi si aggiungeva anche un cappuccio e dei calzoni di maglia simile a quella del giaco. Per evitare le contusioni cagionate dagli anelli di ferro avevasi gran cura nel guernirli internamente di cuscinetti. A malgrado però di tutte queste precauzioni era d'uopo di replicati bagni per dissipare le contusioni cagionate dal più piccolo urto.
Questa spezie di armatura resisteva altresì debolmente ad un colpo di lancia e di spada: e se non cedeva ai colpi di punta che riceveva, gli anelli ossiano le catenelle, di cui era composta, facevano dolorosissime ammaccature. Furono perciò nel decimoterzo secolo aggiunte delle piastre d'acciaio su alcune parti del corpo e così le armature diventarono a poco a poco sì forti e solide che resero l'quasi invulnerabile.
Il pugnale, che questo cavaliere porta al fianco destro chiamavasi misericordia. Quando un guerriero aveva atterrato il suo avversario minacciavalo di cacciargli quel pugnale nella visiera, se non chiedeva misericordia.
Ho confrontato questo costume con quello di Ottone di Grandson rappresentato sulla sua tomba nella cattedrale di Losanna e li trovai quasi affatto somiglianti. Ottone però non porta caschetto e la sua testa è difesa da una semplice cuffia di maglia guernita di un cerchio di ferro. I calzoni di maglia non hanno piastre sul davanti. Gli speroni sono della medesima forma di quelli di Guglielmo Berardo ed ho potuto osservare, che fu solamente verso il secolo decimoquarto che si incominciarono ad usare gli speroni colle stellette. Il sepolcro di Ottone di Grandson è ancora un monumento di scultura del decimo terzo secolo assai rimarcabile e che prova altresì quanto quell'arte superava la pittura ne suoi progressi.
Il monumento di Berardo fu innalzato nel chiostro dei Padri Serviti (chiesa della Santissima Annunziata) a Firenze dove vedesi ancora.

(*) Gio. Villani. Stor. lib. VII, cap. 131.

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