Il Podestà



 

Tratto da Dottor Giulio Ferrario, Aggiunte all'Opera il Costume Antico e Moderno, Firenze, Per V. Batelli e Figli, 1837.
 

Le città italiane, sottraendosi dall'immediato dominio degli imperatori di Germania e costituendosi in repubblica, cercarono, per quanto lo permettevano le quasi scancellate rimembranze e le antiche tradizioni, cercarono, dico, di reggersi ad imitazione del governo dell'antica metropoli. L'amministrazione della giustizia ed il comando delle milizie vennero affidati a due o più consoli annui, eletti dal popolo.
Questi magistrati convocavano e presiedevano i consigli della repubblica. In ciascuna città ve n'erano due, oltre il consiglio generale ossia di tutto il popolo. L'uno d'essi era poco numeroso e più immediatamente destinato ad assecondare i consoli nelle loro più importanti funzioni e ad esercitare sopra i medesimi una attiva sorveglianza: aveva altresì l'incarico della amministrazione delle finanze e di tutte le esterne relazioni dello Stato. Chiamavasi questo il Consiglio di Credenza, cioè Consiglio Segreto. L'altro, composto di cento ed anche più membri, distinguevasi nelle diverse città coi nomi di Senato, di Gran Consiglio, di Consiglio speciale o di Consiglio del popolo. Proponevansi nel Senato i decreti e le ordinanze, che dovevamo poscia sottoporsi alla sanzione del popolo, la di cui assemblea generale, convocata al suono della campana maggiore del palazzo della comunità, tenevasi su la pubblica piazza. L'assemblea del popolo era sovrana ed i magistrati la consultavano nelle più importanti occasioni.
Le elezioni dei consoli, sempre accompagnate da disordini e guerre civili, disgustarono ben presto gli abitanti delle città libere di quella forma di governo: abolirono i consoli nel secolo decimoterzo circa, e confidarono la suprema autorità ad un solo magistrato, personaggio prudente, chiamato da una vicina città, amica od alleata, al quale commisero l'amministrazione della giustizia, sperando ben a ragione, che un estraneo libero da ogni legame d'affezione o di parentela nella città, che doveva governare, saprebbe conservare la più esatta imparzialità. Questo supremo magistrato ricevette il nome generico di Podestà.
La carica di podestà durava un anno e talvolta solamente sei mesi: prima di assumerne le funzioni doveva giurare di dimettersi dal suo posto appena spirato il tempo prescrittogli. Un nome illustre, una riputazione acquistata colla saggezza e colla prudenza e soprattutto un valore esperimentato, decidevano della scelta di un personaggio cui veniva confidato il mantenimento delle leggi ed il comando della milizia. Il podestà durante tutto il tempo del suo governo non poteva far venire nella città, che avevagli conferita quella carica, nè sua moglie, nè alcuno de' suoi parenti: e, per un eccesso di diffidenza di quei prudenti repubblicani, veniva al medesimo severamente proibita ogni intrinsichezza cogli abitanti.
Ho copiato questo costume di magistrato civile e militare da una pittura del Pinturicchio, nella chiesa d'Araceli a Roma: rappresenta essa un miracolo di S. Bernardino. Seguendo l'uso di quel tempo, il pittore introdusse molti ritratti nella composizione. La zimarra del po destà è di broccato d'oro foderata d'armellino. Il berretto è scarlatto: i guanti sono bianchi con un fiocchetto rosso. Il bastone, distintivo della carica di supremo magistrato, è d'ebano con pomi d'argento o d'avorio. La catena che porta al collo è d'oro. Il colletto dell'abito, chesta sotto la zimarra, è nero.
Il paggio porta una corta sopravvesta azzurra ricamata in oro. Il farsetto è color di viola. I calzoni scompartiti coi colori del suo pardrone, cioè: la parte sinistra è scarlatta e la destra color di lacca fino al ginocchio e bianca fino al piede. Internamente è bianca in alto e verde dal ginocchio fino al piede. Le scarpe sono rosse. Il cappello è scarlatto con una orlatura verde e d'oro, ed è sostenuto da un cordone rosso. Il fodero della spada è nero: l'impugnatura e gli ornamenti sono dorati.

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