Prestanze o accatto
Prestanze (1) o accatto si chiamarono in Firenze quelle somme che prendeva il Comune a mutuo dai cittadini , e così si dissero da un'antica parola Prestagium (tributo o imprestito). I Greci aveano anche conosciuto il mezzo di sovvenire per via d'imprestiti ai pubblici bisogni, e la storia ci dice che fu uno dei compensi che Senofonte propose agli Ateniesi per supplire all'indigenza delle comunità dell'Attica.
La Repubblica di Firenze, che fino al 1336 raramente avea avuto difetto di denaro, scossa allora da forti calamità pubbliche e da guerre dispendiose adottò quell'espediente come il migliore, non insopportabile ai cittadini nè dannoso all'industria. Esistono infatti nel nostro Archivio generale i vecchi registri di tali prestanze; ma non ho veduto che un solo avanti il 1353. la ragione sembra essere:
1.° la distruzione delle carte al momento della cacciata del duca d'Atene nel 1343;
2.° le conseguenze del disordine inerente alla terribile pestilenza del 1348 descrittaci dal Boccaccio.
Via delle Prestanze oggi Via de' Gondi.
Quel documento d'imprestito anteriore agli altri suddetti è del 1325, e consiste in un libro cartaceo non in troppo cattivo stato, ma di scrittura inferiore e di cattiva mano. Si legge nella prima pagina: «Al nome di Dio. Amen. Qui presso e innanzi saranno scritti tutti i denari che io Tane di Lapo della Bruna riceverò per Gherardo Lanfredini camarlingo per il comune di Firenze all'imposta di fiorini 50mila d'oro fatta per lo detto comune, e la quale debbono riscuotere le quattro compagnie Peruzzi, Bardi, Scali e Acciajoli; i quali denari si debbono pagare per uno presto fatto al detto comune per pagarsi al nostro signore il duca di Calabria di fiorini 33mila e terzo, di che ne fu assegnato ai Bardi il sesto di S. Piero Scheraggio; 25 marzo 1325. Montò la somma a lire 5510. 4. 10 a F. che ricevette Gualtieri de'Bardi».
Questo è press'a poco il tenore degli altri registri, ancora esistenti, delle antiche prestanze. È vero che il comune di Firenze si trovava anche prima del 1336 maggiormente esposto alle guerre, che per conto proprio o come alleato dovea combattere per l'accresciuta sua potenza: oltre di ciò, essendo il sistema dei Fiorentini diretto verso il traffico, essi si trovavano costretti a valersi spesso delle milizie forestiere, come anche forzati a procurare efficaci soccorsi ai loro alleati e pagare talvolta forti contribuzioni a potentati amici.
Però, nonostante il grande aumento di spese, il popolo fiorentino era diventato più ricco e più in agio, e perciò in grado di sopportare il peso dei forti imprestiti che abbisognavano al governo della Repubblica. Questo periodo di prosperità vien confermato dal nostro Villani in un articolo ammirabile per la fiducia e contentezza espansiva del suo cuore.
Si legge in quella storia (cap. 91, lib. xi): «Acciocché i nostri discendenti possano comprendere lo stato che avea il nostro comune di Firenze in questi tempi e come si fornì la spesa della guerra contro Mastino (2), la quale valeva più di 25mila fiorini d'oro al mese etc., senza le spese opportune che bisognavano al nostro comune, che le più volte senza quelli di Lombardia avea al soldo più di 1000 cavalieri, senza quelli che erano alla guardia delle terre e castella nostre, in breve narreremo del potere del nostro comune. Egli signoreggiava la città d'Arezzo e suo contado, Pistoja e suo contado, Colle di Val d'Elsa e la sua corte, e in ciascuna di queste terre avea fatto fare un castello e teneva 18 castella murate del distretto e contado di Lucca, e 46 castella forti e murate del nostro contado senza quelle dei propri cittadini, e più terre e ville in grandissima quantità".
Mastino II e Taddea da Carrara
Lo stesso cronista aggiunge al capitolo seguente, stesso libro: «Il comune di Firenze di sue rendite assise ha piccola entrata e reggevasi in questi tempi per gabelle...; ma quando bisognava, si reggeva per prestanze con guiderdoni sopra le gabelle etc.».
Questi imprestiti o pubbliche prestanze si ottenevano così. Il comune eleggeva diversi cittadini mercanti o delle maggiori compagnie bancarie, con piene balìe per trovar moneta e fornirgli il denaro che occorreva, assegnando loro altrettanto denaro sulle gabelle.
Le dette compagnie stabilivano i patti e fornivano le somme necessarie o tutte o in parte, distribuendo il resto fra i cittadini con certe condizioni e con discreto interesse. In altra guisa, volendo forzare i cittadini a prendere l'imprestito si bandiva pubblicamente la somma fissata, si distribuiva a ciascuna contrada la tangente respettiva e proporzionale alle ricchezze e al numero delle persone che vi eran comprese. Divisa così e assegnata a ciascuna la sua porzione dell' imprestito, appena era questo pagato venivano le somme rimesse ai camarlinghi, i quali rimborsavano i creditori alla scadenza col prodotto delle gabelle. Per maggior facilità, si accordava ancora ai contribuenti una quantità di sale a lire 6 di piccioli lo staio, e questi aveano la facoltà di rivenderlo ai prezzi soliti più alti e determinati.
È chiaro che con queste risorse e col denaro abbondantissimo in Firenze il governo guelfo potè far fronte a tutte le guerre e alle disgrazie che spesso si accumulavano a danno della Repubblica: e per prova abbiamo veduto quanto il Villani banchiere, magistrato, uomo saggio e di grande esperienza, si compiacesse nel dichiarare nella sua cronaca lo splendore delle condizioni materiali e morali dei Fiorentini in quei tempi.
(1) La targa sotto quella di via de' Gondi è l'unico ricordo rimasto. Il palazzo attuale risale al 1489 e sorge al posto di quello più antico, che si trovava in quella che un tempo era chiamata via delle Prestanze. All'epoca il palazzo era di proprietà della corporazione dei mercanti
(2) Mastino II della Scala (Verona, 1308 – Verona, 3 giugno 1351) ed era un membro della dinastia scaligera, una casa di Verona, fu perciò signore di Verona. La politica di conquista di Mastino II portò alla creazione di una Lega anti-veronese, composta di tutte le potenze locali del periodo (Firenze, Siena, Bologna, Perugia e Venezia).