Messer Felice Brancacci

Messer Felice Brancacci
 

Messer Felice Brancacci era, molto stimato pel suo senno e per la sua esperienza nelle cose pubbliche, e più volte dal 1418 al ’33 sostenne uffici ed ambascerie importanti. La più degna di essere fra tali ambascerie ricordata è quella del 1422 al Soldano di Babilonia o d’Egitto: il Brancacci si recò ad Alessandria ed al Cairo coll’altro ambasciatore messer Carlo Federighi dottore in legge. I due, per l'istruzione loro data e deliberata dalla Repubblica il 14 giugno 1422, erano imcaricati di trattare col Soldano per assicurare, estendere e facilitare il traffico de’ mercanti fiorentini in quelle regioni.
Il Brancacci, e ne merita somma lode, in un suo diario, che modestamente intitolò qnadernuccio, tenne preciso e particolareggiato ricordo del viaggio e dimora in Oriente dal 30 giugno, giorno della partenza, fino al ritorno in patria. Il diario, che fu pubblicato nel 1881 dell'Archivio storico italiano dall’egregio Dante Catenacci, è un documento molto curioso e ricco di notizie, ed una vivace pittura di luoghi e di costumi. Il Brancacci aggiunse la nota diligente di tutte le speese fatte.

Gli ambasciatori portarono in dono al Soldano preziosi drappi, due forzieri «bene lavorati e gentilmente storiati » secondo l’uso di Firenze, ed altre cose: fecero pure doni durante il viaggio ed ai personaggi principali della corte del Soldano, per attestare la magnifìcenza e generosità del nostro Comune. Ed è perciò naturale che fossero bene accolti al Cairo dal Soldano, e che potessero senza difficoltà concludere con patti onorevoli per la Repubblica ed utili pel commercio fiorentino. Michele Amari pubblicò nel 1813 cinque documenti relativi all’ambasceria del Brancacci e del Federighi; e possono vedersi nel volnme dei «Diplomi arabi» dell’Archivio di Firenze editi dal dotto uomo.
Dalle portate al Catasto dell’anno 1127 (Quartiere S. Spirito, gonfalone Drago) apprendiamo che Felice Brancacci era mercatante e setaiuolo, e che possedeva parecchi beni, fra i quali terre e poderi nel popolo di San Cresci a Campi, dove oltre una casa da signore per uso di villa, aveva anche uno palagio in grande parte disfatto con orto. E qui voglio ricordare che da quel contado ebbe origine la famiglia Brancacci: canta infatti il Verino che dal paesello di Brozzi « deduxit soboles Brancaccia sedes ».

Altre notizie ci porge il già rammentato testamento del 1122. Case con corte, pozzo, ed orto possedè il Brancacci in Borgo San Frediano, e probabilmente quivi abitava perchè era di quel popolo. Una di queste case vendè poi nel maggio del 1123 a Iacopo del fu Cristotano pittore del popolo di S. Maria a Verzaia, ed un’altra nel successivo luglio a Bencivenni tessitore di drappi.
Che fosse uomo religioso e caritatevole ci assicura un suo annuo legato di grano e vino alle suore domenicane chiamate « le donne di frate Manfredi, di nuovo venute a Firenze delle parti di Lombardia », purché stassero nella città o nel suburbio: ciò mostra che il Brancacci le reputava degne di essere favorite e protette pel bene che potevano fare.

Messer Felice, già quarantacinquenne nel 1427, ebbe due mogli: Ginevra di Filippo Arrighi sposata il 26 novembre 1413, la quale portò la cospicua dote di 1500 fiorini d’oro e che nel ’27 vivea sempre, e Lena figliuola del celebre Palla Strozzi e vedova di Neri Acciaioli. Ebbe un tìglio, Michele, e di esso non trovo notizie, ed alcune figliuole, infatti, oltre una Gostanza rimasta nubile o morta presto. Maria fu sposata nel 1452 a Belfredello Strinati Alfieri, Agnoletta nel ’59 a Paolo Strozzi, Contessa nel ’71 a Baldassarre Buondelmonti. Ciò asseriscono gli spogli genealogici di Giovan Battista Dei. Queste poverette, ancorché nobilmente maritate e circondate dall'affetto delle loro nuove famiglie, debbono esser vissute nella mestizia col pensiero continuo del padre esule e sventurato.
E davvero Felice Brancacci meritava sorte migliore di quella che ebbe; le vicende politiche, non so con quanta sua colpa, gli furono duramente avverse. Nel gennaio del 1434 stile fiorentino dalla Balia, che aveva richiamato in patria Cosimo de’ Medici, fu condannato; ai 28 marzo 1435 confinato a Capodistria per dieci anni, con obbligo di dare mallevadoria(1) di fiorini 800 per l'osservanza; ed agli 8 luglio chiarito ribelle. Egli però, più che della malevolenza di Cosimo tornato in auge e gonfalonier di Giustizia, fu vittima degli avvenimenti. Due sue lettere a Cosimo stesso, finora sconosciute ed esistenti nel carteggio mediceo, una scritta da Siena e l'altra da Urbino in quella epoca, ci mostrano che il potente Medici non gli era stato tanto nemico e che il nostro, chiamandolo benefattore, ricordandosi suo fedele e partigiano, non peritandosi a raccontargli le sue molte miserie ed a rivelargli in segreto ciò che faceva e dove si refugiava, ne sperava sempre e con fiducia benigno soccorso.

Nel 1458 il Brancacci come complice della congiura di Girolamo Machiavelli (2) fu nuovamente inquisito e dichiarato ribelle, già vecchio non ebbe più speranza di rivedere Firenze, e la sua famiglia andò derelitta e dispersa.
Dopo le accennate condanne e la confisca dei beni il nome del Brancacci sparisce dai Catasti. Nel 1442 la moglie dell’esule, Lena Strozzi, vive sola, e nella dichiarazione agli Officiali del Catasto e della Gravezza non denunzia che i denari della propria dote depositati sul Monte. Ecco le sue precise parole: «Per me monna Lena donna di Felice Brancacci si dà la mia iscritta di quei danari ch’io one in sul Monte della mia dotta, di quella somma e quantità che sono e voi chiarirete essere, la gravezza che v’è su ». La infelice donna, adempiendo il suo dovere di cittadina, non volle aggiungere querimonie sulle proprie disgrazie, come molti solevano fare per commuovere gli Officiali: chiusa nel suo dolore, sdegnò umiliarsi. Essa aveva il sangue degli Strozzi e sentiva la sua dignità.
Miscellane, ​Paolo Carnesecchi, Tipografia Landi, Firenze, 1903.

(1) Colui che garantisce l'adempimento di una obbligazione assunta da un'altra.

(2) Niccolò Machiavelli il 29 nov. 1459 venne dichiarato ribelle e i suoi beni confiscati. Tradito, nell'estate del 1460 venne catturato in Lunigiana, colpevole di aver tramato contro lo Stato; fu imprigionato a Firenze e torturato; in seguito alla sua confessione vennero banditi altri cittadini e, sfruttando il successo ottenuto contro i cospiratori, a Firenze si riuscì a far rinnovare le elezioni a mano per altri cinque anni. Il M. morì in carcere a Firenze l'11 luglio 1460 e fu sepolto a S. Croce. (Fonte Treccani)


 


Felice Brancacci(?)



 

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