Passeggiata su Lungarno Corsini

Passeggiata su Lungarno Corsini



 

— Oh chi vedo! Il signor Bissi a Firenze?
— Mi sono noiato della mia solitudine e sono venuto a passare qualche giorno qua anche per gustar meglio quello che vi ho veduto alla sfuggita quando vi fui l’altra volta.
— Ne ho piacere davvero.
— È un’ora che sono sul ponte a Santa Trinità ad ammirare senza saziarmene la sfuggita dei ridenti fabbricati del nuovo Lungarno e dell’effetto della biforcazione delle vie sui lati alla fabbrica che signoreggia quel largo e che ha per fondo quel bel folto di piante, che se bene mi ricordo devono appartenere alla passeggiata delle cascine.
— Appunto. Ma già che vedo che Ella ha rocchio artistico, torni in questo stesso punto di sera e sono certo che la curva grandiosa che spinge le mura del fiume fino al ponte di ferro, alla luce dei cento candelabri del gas Le farà un effetto fantastico, un gradito piacere a vederla.
— Vi tornerò. Ma voi Franceschini avete fretta?
— Non tanto.
— Allora se non vi dispiace facciamo due passi insieme, giacche io godo più nello scambiare le idee che nel leggere la Guida.
— Dunque se Ella lo gradisce avviamoci passo passo per la via che tanto Le ha dilettato la vista. Vede là quel palazzetto che ha sulla porta una iscrizione in lettere d’oro? E la dimora dove si spense la sdegnosa anima del grande Astigiano (1), e quella iscrizione che ne ricorda sì efficacemente le virtù, che oggi possiamo leggere impunemente, dal non più mite Governo toscano dopo il 48 era stata fatta togliere; nè vi fu ricollocata che dopo il 27 aprile 1859 (Lungarno Corsini) (Fig. 1)


 


Fig. 1
 
Il palazzo che segue, fatto edificare nel secolo XV dalla famiglia Gianfigliazzi, dal giorno che venne in possesso del belga Barone d’Hoogworst (una ventina d’anni fa) non si riconosce più, tanto è variato in peggio, Le basti che mentre oggi si presenta di quattro piani abitabili si poteva dire allora costituito da uno solo, giacché come tutti i nobili fabbricati nostri, il terreno rischiarato solo da piccole finestre poste a grande altezza non serviva che da magazzino, il primo piano non aveva il goffissimo terrazzo presente, (2) e dove vede l’ultimo piano era una vaghissima terrazza con ricche ed eleganti colonne (fig. 2).
 
 

 
Fig. 2

— Doveva essere una bella fabbrica.
— Era stupenda.
— Vede diversità di sentire dei secoli? Gli antichi fabbricavano abitazioni che stessero a rappresentare la condizione di chi le faceva costruire nè la casa dividevano inai con al¬ cuno, giacche avrebbero creduto facendo ciò di abbassarsi, e facevano bene. Oggi invece la suntuosità si fa consistere nell’arricchire le sale di ogni esotica galanteria per non dire sciocchezza senza che vi si veda mai un oggetto d’arte paesano (2) e poi per riconquistare il denaro malamente sprecato ci si abbassa ad affittare ogni buco della casa e se alcuni palazzi restano ancora intatti, non è, creda, per la buona volontà dei padroni, ma per la impossibilità che vi è di ridurli.
— Peccato, e disgraziatamente è cosi che un paese poco a poco perde il gusto del bello e denatura quelle caratteristiche che lo rendevano pregiato.
— Guardi quello stemma a sinistra sotto la cornice del secondo piano, è attribuito a Donatello e può esserlo perchè è toccato con spirito e grazia squisiti e la forma dello scudo è propria del tempo nel quale egli ha operato.
— Lo stemma è bello davvero. (fig. 3)


 


Fig. 3

Ora guardi dall’altra parte dell' Arno. Vede quella fabbrica al centro, rimbiancata di fresco? Appartiene oggi a un ramo della famiglia dello storico Guicciardini; è una birbonata eh? ebbene a renderla più brutta ed ora anche un po’ ridicola si è aggiunto sopra quello stanzone coperto, in sostituzione di una terrazza a pilastri aperta in più lati: non Le pare che il goffo palazzo con quella variante abbia preso l’aspetto di una abitazione rurale?
— Mi pare davvero.
— Ora porti l’occhio sulla stessa linea un poco più a destra. Vede quella casa scura di soli due piani? Appartenne un tempo alla famiglia Corboli che la fece edificare e più tardi adornare con superbi graffiti dalla mano squisita di Bernardino Poccetti ; è inutile che ella passi l'Arno per loro, giacché il tempo e la trascuratezza umana ci hanno tolto il piacere di più lungamente goderli (fig. 4).

 



Fig. 4

— Peccato.
— Il palazzo che segue dalla nostra parte oltre la piccola via è dei Principi Corsini che lo fecero edificare verso la metà del secolo XVII da Gherardo Silvani abbattendo una grandiosa casa dei Machiavelli che qui si trovava e certo casino che il Principe Leopoldo De’Medici aveva fatto inalzare per darvi specialmente trattenimenti teatrali. Il Silvani è stato il più barocco dei nostri architetti, ma pure se guarda le finestre del primo piano vedrà che non mancava nè di genio nè di grandiosità; ed il terrazzo come vede, data l’epoca, è buono: quello che qui è insopportabile è il cornicione che non so intendere come non si abbia il coraggio di abbattere facendone studiare uno più conveniente.
— Avete ragione, il cornicione è brutto davvero, ma sbaglio o l'insieme della fabbrica è nano?
— No, non sbaglia, oggi lo è in effetto, ma di questo non è ad accagionarne il Silvani, ma l’Arno che con i suoi scherzi di cattivo genere ha forzato il Comune a rialzare di parecchio il piano stradale tagliandogli i piedi.
È ancora dei Principi Corsini questo Palazzo ?
Sì, ma la famiglia del principe attuale abita altrove. Qui merita di essere veduta la galleria che questa famiglia gelosamente vi conserva, ricca dei più bei nomi dell'arte: una delle poche, se non l’unica, rimasta intatta fra le tante private di che si poteva ancora pochi anni fa vantare Firenze.
— Godrò di vederla.
— Ora le dirò due parole sul ponte che ci sta in faccia e la lascio.
— Come mi lasciate adesso?
— Non posso a meno. Se ama che insieme arriviamo fino alla Barriera, bisognerà rimettere il resto della passeggiata a stasera.
— Sta bene, vi tengo in parola.
— Dunque dia un’occhiata al ponte; che le ne pare ?
— Non saprei; non vorrei dire delle corbellerie.
Ella non direbbe corbellerie, dica piuttosto che teme, biasimando l’opera anche con tutta discretezza, di offendere il mio amor proprio di fiorentino; ma creda che se Ella la pensasse così sarebbe fuori del vero, perchè io quando mi trovo davanti ad un’opera d’arte non guardo nè a chi l’ha fatta, nè dove si trova nè a chi rabbia o biasimata o lodata, la giudico col mio povero critierio e tiro via. Dunque se Ella non sa vincere la sua repugnanza a criticare le cose degli altri, le ripeterò io a voce poche parole di quanto scrissi in proposito nel 1870. (4) Dissi dunque che con le potenti arcate e le pigne non meno robuste e severe della opera dei Frati Domenicani Sisto e Ristoro male potevano armonizzare i leggieri trafori delle spallette che in aggetto vi si innestavano; dissi che contro ogni regola elementare le linee ascendenti delle medesime non procedevano con una sola curva fino al centro di tutta l’opera e che avendo formato di ciascuna arcata un ponte la solidità apparente del solidissimo ponte era svanita. Ma che occorre che io Le ripeta quello che dissi di più, quando chi era alla testa della Amministrazione municipale vide tutto il contrario e si implorò per l’architetto di sì stupendo lavoro una ricompensa cavalleresca?
— Ora che me li avete fatti osservare, trovo anche io i difetti notati e mi dispiace che i fiorentini che hanno nome di aver tanto buon gusto possano avere applaudito a un lavoro con tante corbellerie.
— I fiorentini d’oggi applaudiscono sempre; dunque a stasera.
— Addio Franceschini.



(1) Il conte Vittorio Amedeo Alfieri (Asti, 16 gennaio 1749 – Firenze, 8 ottobre 1803) è stato un drammaturgo, poeta, scrittore e autore teatrale italiano.
(2) Dove è oggi il terrazzo era fino al secolo presente un bellissimo graffito a putti e festoni.
(3) Si intenda dell'arte moderna che fra noi non è alimentata che dagli stranieri.
(4) Oggi serve all'uso della principessa vedova.


 
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