La Chiesa di S. Michele Arcangelo

La Chiesa di S. Michele Arcangelo a Passignano
Situato nel territorio delle colline del Chianti, in località Passignano, nel comune di Tavarnelle Val di Pesa

La chiesa abbaziale, a pianta a croce latina, è stata quasi interamente ricostruita dalla seconda meta del XVI secolo e internamente affrescata dal Passignano e da Alessandro Allori.
L'abbazia di San Michele Arcangelo a Passignano è un monastero della Congregazione Vallombrosana situato nel territorio delle colline del Chianti, in località Passignano, nel comune di Tavarnelle Val di Pesa. Il monastero adottò la regola vallombrosana già nel XI secolo per opera di Giovanni Gualberto, che qui morì nel 1073. Più volte distrutto e ricostruito, oggi appare più come un castello che come una comunità monastica.

 

Tratto da Germano Fornaciai, La Badia di Passignano, Firenze, Tip. e Liberia Domenicana via Ricasoli 61 - 63, 1903
 

Prima della soppressione del 1866 il popolo andava alla Chiesa per la via che gira attorno al muraglione dell'orto, fatto costruire l'anno 1562 dall'Abate Costantino da S. Salvi, la quale via fa capo al vecchissimo Olmo, che tutt'ora si vede. Poi dal portone del Monastero un altro tratto di strada, fatta fare e lastricare dall'Abate D. Gregorio Bigazzi da Reggello, lo guidava fino alla Chiesa.
Ora vi si accede per un ampio viale fiancheggiato da alti e cupi cipressi e sorretto da un muraglione con spagliera formato da grosse bozze di pietra, fatto costruire dal Conte Michele Dzieduszycki, padre dell'attuale proprietario.


 


In cima al viale ci si presenta dinanzi uno spazioso piazzale quadrato chiuso a destra dalla casa di agenzia e da un tratto di muro merlato con una elegante torretta in fondo, a sinistra dalla Canonica e dalla facciata della Chiesa, e di fronte dal muro merIato del castello e dall'alta torre, a piè della quale è l'entrata signorile della Villa.
La facciata è semplicissima, a pietre quadrate, e sul culmine di essa, nel luogo della croce, è un'antichissima statua in marmo bianco d'ignoto artista del secolo XII, la quale rappresenta S. Michele Arcangelo in piedi, che opprime il drago, tenendo in mano un'asta con banderuola e croce.
Nella lunetta della porta il Prof. Simi dipinse una Madonna col Bambino Gesù in grembo, e ai lati due angeli che reggono un vaso con entro un giglio.
Sull'area della Chiesa attuale fu già l'antico Oratorio di S. Michele, costruito intorno al 400 da San Zanobi Vescovo di Firenze, come generalmente si ritiene, e poi, circa il 900, restaurato da Sichelmo di Cambiate.
Nulla possiamo dire della sua forma e delle su e dimensioni, perchè gli antichi non ci hanno tramandato alcuna memoria. I restauri e le nuove costruzioni fatte in diverse epoche debbono averlo così trasformato, da non rimanerci di esso che poche tracce.
Le notizie certe intorno alla Chiesa di Passignano cominciano dal 1297, nella quale epoca l'Abate D. Ruggiero Buondelmonti, oltre la riedificazione del Monastero, fece anche dei lavori alla Chiesa, tra i quali il soffitto a cavalletti, come si rileva dalla seguente iscrizione posta sulla trave prossima alla porta:
 

A. D. MCCLXXXVI1 tempore Dui Ruggerìi Abbatis
Nicolaus Monachus fecit hoc opus.

Un altra iscrizione posta sull'ultima trave, ci assicura che il detto soffitto a cavalietti fu restaurato e ornato ad arabeschi nel 1542 al tempo dell' Abate D. Niccola Unghero. Finalmente, dopo soli cinquanta seianni da quel restauro, sparì sotto la volta attuale, e la Chiesa subì una nuova e generale trasformazione.
All'attuale forma architettonica fu dunque ridotta, su disegno del Passignano, che ne diresse anche i lavori, tra il 1598 e il 1600, come apparisce da più documenti e dalle due date poste una sull'arco della cappella maggiore e l'altra sull'arco di faccia. Occupava allora il seggio abbaziale un tal D. Marco Lavacchi da Pelago, che nel Catalogo degli Abati di Passignano vien lodato per aver dato alla Chiesa una forma migliore.
 


Il nostro secolo, che è tornato al culto delle cose antiche, e che tanto ammira l'amabile semplicità dello stile e delle opere del quattrocento, contesterebbe a quell'Abate che la forma data da lui alla nostra Chiesa sia migliore di quella che aveva prima, e invece di fargliene un merito, gliene farebbe un addebito.
Ma del resto non è colpa dell'Abate D. Marco se la Chiesa di Passignano subì la sorte di tante altre; sibbene del gusto del tempo, gusto che un uomo d'ingegno, Giorgio Vasari, ma superbo ed invido della gloria degli artisti passati, seppe imprimere a tutta un'epoca, l'epoca Vasariana, la quale deturpò le opere di quei sommi e seppellì sotto intonachi di dura calce e di bianco pitture ed affreschi, che ora, per essere ridonati alla luce, richiedono ingenti somme. Ed anche la Chiesa di Passignano fu alterata nelle sue linee architettoniche, fu imbarocchita, come suol dirsi, da quel secolo di decadenza dell'arte, il qual imbarocchimento se può piacere con le sue esuberanti decorazioni ai profani dell' arte, apparisce una stonatura agli occhi degl'intendenti di essa.
Ma veniamo a una più particolareggiata descrizione. La Chiesa ha la forma di una croce latina e misura nel suo asse longitudinale metri 24 su 5,50 di larghezza, e metri 13,50 per 5 nella crociata. Sopra il bussolone, che fu fatto nel 1835, trovasi la Cantoria, alla quale si accede dalla Canonica e dalla porta presso la Sagrestia, passando per le stanze dei parati.
L'Organo, bello ed armonioso, opera d'Onofrio, entro una cassa finamente intagliata e lumeggiata a oro, venne riordinato e ampliato da Michelangelo Paoli di Campi nel 1853, ed ebbe la sua collocazione in fondo di Chiesa sopra la porta nel 1859, trovandosi avanti nello spazio tra il coro e l'Altare di S. Cristina a destra di chi entra.
Passato appena l'uscio del bussolone, sempre a destra, colpisce il nostro sguardo il bel Fonte Battesimale, eretto nel 1900 a cura dell'attuale Parroco D. Germano Fornaciai. È il detto Fonte di forma semiottagona, di stile rinascimento, scolpito in marmo bianco di Carrara; su di una ricca base attica poggiano le faccie formellate e racchiudenti, quella di centro lo stemma della Congregazione, consistente in una gruccia sorretta da una mano, la destra lo stemma gentilizio del Conte Maurizio Dzieduszycki, e la sinistra lo stemma della Badia di Passignano, che è la sicla P intrecciata con un pastorale. Completa il Fonte una ricchissima cimasa intagliata e decorata con festoni di fiori e frutta. Fa scolpito, su disegno del chiaro Prof. Cav. Giuseppe Castellucci, Architetto dell'Opera del Duomo di Firenze, dal valente scultore Sig. Arturo Ciabattini di Carrara, nipote dell'ultimo Abate di Passignano D. Ilario Ciabattini, morto il dì 22 Febbraio 1899, quando appunto si metteva al posto il Fonte.
Trovasi esso entro una nicchia lavorata dal muratore Francesco Bramanti, popolano di Badia, e decorata dal pittore Vanni fiorentino a spese del Conte Maurizio Dzieduszycki. Il quadro che vi si vede, raffigurante il battesimo di Gesù Cristo nel fiume Giordano, è del Prof. P. Turrini di Firenze.

 

Interno della chiesa abbaziale


Il Fonte è racchiuso da una ricca cancellata eseguita in ferro battuto, anch'essa su disegno del prelodato Castellucci, dal fabbro Eodolfo Mattioli di San Casciano in Valdipesa. È decorato a rosette con pilastrini ricchi d'ornati in armonia col carattere del Fonte medesimo.
Completa la decorazione del nuovo Battistero un antico tabernacolino in pietra serena, posto al disopra del Fonte pel deposito degli Olì santi, il quale avanti trovavasi in luogo appartato e troppo esposto alle intemperie.
Vicino al Fonte battesimale vedesi una piccola porta a muro, che introduce nell'antico Capitolo dei Monaci, il quale prima del 1866 aveva l'entratura dal Monastero. Vi si leggono alcune epigrafi di Monaci illustri, tra i quali meritano d'esser ricordati i due fratelli D. Ottaviano e D. Ferdinando Mattei, pistoiesi.
D. Ottaviano filosofo, teologo, scienze che insegnò agli alunni vallombrosani, fatto da Gregorio XVI consultore dell'indice, poi eletto Abate e Generale dell'Ordine, fu anche per molti anni, dopo la soppressione di Napoleone, Curato di Passignano, dove morì il 30 Agosto del 1850.
D. Ferdinando, meno dotto del suo fratello, ma più pratico di lui negli affari temporali, nell'amministrazione più esperto, fu la mente ed il cuore che rianimò nello spirito e rialzò nelle finanze la Congregazione, dopo l'infausta soppressione napoleonica: specialmente il Monastero di Vallombrosa, ridotto una spelonca, deve ringraziar lui se in poco tempo riacquistò l'antico splendore. Anche la Chiesa di Passignano va debitrice a D. Ferdinando del bel pavimento di marmo, ad ambrogette bianche e nere, cominciato nel 1848 e terminato nel 1852. Dopo aver retto la Congregazione 8 anni di seguito, morì compianto e benedetto da tutti il 22 Giugno 1853.
Risalite le scalette del Capitolo e tornati in Chiesa, seguitiamo sempre dalla parte destra, e poco dopo incontreremo l'altare di S. Cristina, fatto di materiale, tirato a pietra.
Il suo quadro, di scarso pregio e d' ignoto autore, rappresenta la Santa trascinata al martirio con una corda al collo, e steso morto ai suoi piedi l'empio Urbano, suo padre, che si era fatto carnefice di sua figlia.
L'altare di fronte della parete sinistra, intitolato alla Madonna del Rosario, è in tutto eguale al primo. Il suo quadro, d'ignoto autore, è molto simile al quadro della Madonna di Pompei, cioè vi si vede la Madonna, assisa sopra una tribuna, che sorregge il Bambino Gesù ritto in piedi alla sua destra; e in basso inginocchiati S. Domenico a sinistra del riguardante, cui il Bambino Gesù porge un rosario, e S. Caterina da Siena, a destra, che riceve anch'essa un rosario dalla Madonna.
Ed ora passiamo a visitare il Coro. Trovasi esso, giusta l'antico costume, dinanzi l'Altar Maggiore, ed occupa la metà della nave della Chiesa. Fino ad ora se n'è attribuito il disegno a Domenico Oresti, ma il tante volte citato Catalogo degli Abati di Passignano smentisce recisamente questa asserzione, assegnando l'epoca precisa in cui fu fatto, anteriore al Passignano, nonché il nome dell' Abate che lo fece fare. Ecco le sue parole: — 1549. D. Nicolaus Hungarus. Anno dicto ad Ecclesiae decorem et commodum psallentium fieri fecit Chorum curri duabus tabulis a posteriori parte. Conferma queste notizie un'antica memoria scoperta dentro il busto del prelodato Abate D. Miccola, il quale busto fu rinvenuto sotto il Coro, quando nel 1851 fu fatto l'impiantito di marmo.
Gl'intagli furono eseguiti da un tal Michele Confetto converso Vallombrosano, assai abile in questo genere di lavori, coadiuvato, secondo la sua ccennata memoria, da un tale Ermini di Lucolena.
GÌ'intagli se non sono molto fini, hanno però una massa decorativa assai elegante e perfettamente in armonia col carattere del tempo.
Dal lato verso la porta è chiuso da due pareti di legno adorne d'intagli dello stesso carattere, con porta nel centro, per separare lo spazio destinato ai Monaci da quello del popolo.
Appoggiate a queste due pareti, su rispettivo altarino, rivolti verso la porta della Chiesa, si ammirano due pregevoli dipinti su tavola di m. 1,36 di altezza, per 1,47 di larghezza con cornice di noce intagliata e filettata a oro.
Giorgio Vasari nelle Vite dei più eccellenti pittori ecc. ricorda come i fratelli David e Domenico Ghirlandaio lavorarono molto per la Badia di Passignano; e in una nota alla medesima opera vengono attribuite a loro anche le due suddette tavole.

 

 


Ma il Catalogo degli Abati di Passignano, come abbiam ovisto, le fa di un'epoca posteriore, dicendo che l'Abate D. Niccola Unghero fece il Coro cum duabus tabulis a parte posteriori, il che sarebbe conforme al giudizio dato da molti competenti nell'arte, i quali, avendole ben considerate, hanno affermato che non possono essere dei fratelli Ghirlandaio, ma d'ignoto artista del secolo XVI.
La tavola dell'altarino a destra di chi entra porta le tre figure in piedi, poco minori del vero, degli Arcangeli Michele, nel mezzo colla spada nella destra e la bilancia nella sinistra e sotto i piedi il drago; Gabriele con un giglio in mano, e Raffaele, in atto di difendere Tobiolo, che si ritrae spaventato alla vista del drago.
Nella tavola dell'altarino a sinistra è rappresentato il Presepio, col Bambino Gesù coricato sopra un fascio di paglia, e innanzi a lui la Vergine Madre inginocchiata, con ai lati due Angeli, in atto di adorazione, secondo quelle parole: Quem gemiti adoravit.
Dietro al Bambino è la figura austera e cogitabonda di S. Giuseppe, il quale, semicoricato, appoggia il fianco sinistro al basto dell'asinello. In uno sfondo incantevole vedesi Betlem e per la via alcuni giovani pastori recanti doni al nato Messia.
Il pittore ebbe la bizzarria di dipingere sul basto uno stemma, che non si sa di chi sia, consistente in uno scudo con archipenzolo caricato di cinque palle dorate ed accostate da tre stelle, due nel capo e una in basso dello scudo.
Il detto stemma trovasi anche nell'altra tavola in un rettangolo, su cui Gabriele appoggia il piede sinistro; il che dimostra che le due tavole sono dello stesso autore e della stessa epoca, contrariamente a ciò che hanno detto alcuni, i quali le hanno fatte di epoche diverse. Furono restaurate nel 1850 dal Prof. Marini, il quale diede loro una intonatura troppo vivace e troppo moderna, che fa ai cozzi col carattere dell'epoca, alla quale appartengono.
Nel centro della crociata s'innalza l'elegante cupola, basata su quattro archi in pietra a sesto tondo, cioè sull'arco del braccio longitudinale, su quello della cappella maggiore, e sopra gli altri due dei transetti della crociata. Fu costruita anch'essa nel 1600.
Nelle quattro facciate sopra gli archi vedonsi rappresentate:— la tentazione di Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre e l'Annunziazione di Maria Vergine; la cattura di Gesù Cristo nell'Orto degli Ulivi; e la Resurrezione di Lui. Vi sono inoltre alcuni angioli e due medaglioni di stucco con l'effìgie dei due Papi Vallombrosani S. Gregorio VII e Pasquale II. Altri angioli ed altri medaglioni simili, recanti l'effigie di Santi e Sante dell'Ordine, notansi nel Coro e nelle pareti della Chiesa sotto il Coro, detta comunemente la Chiesa di sotto. Un'iscrizione prossimam alla porta, a destra per chi entra, accenna che queste decorazioni, nonché le dorature a tutti i pietrami e le numerose iscrizioni bibliche, che si leggono qua e là per tutta la Chiesa, specie sui frontoni degli archi, furono aggiunte nel 1708 a spese del Monastero. Poveri denari, come vennero male impiegati!
Un'altra iscrizione dalla parte opposta c'indica il giorno della dedicazione della Chiesa, ma non ci dice in qual anno e da chi fu consacrata. In luogo delle 12 croci, si vedono, entro nicchie, le figure grandi al vero degli Apostoli, e sopra di essi, in piccoli quadri, è dipinto a chiaroscuro il loro rispettivo martirio.
Anche questi affreschi appartengono all' epoca suddetta 1708, e se n'è fatta parola, non per segnalarli all'attenzione del pubblico, quasiché abbiano un qualche pregio artistico, ma tanto per dire che ci sono. E meglio sarebbe se non ci fossero, o che si fosse dato loro di bianco nella riquadratura eseguita alla Chiesa nel 1859, come fu fatto ai quattro novissimi, che erano ai lati degli altari di S. Cristina e della Madonna del Rosario.
Ora ci resta da visitare le tre Cappelle, che sono al disopra della crociata, occupanti tutta la sua lunghezza, le quali per le opere pregevoli, che posseggono, meritano che se ne parli a parte ed ampiamente.
 

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