La Cronica dell'Anonimo Romano.
Il libro ci suggerisce come è nata la definizione di Guelfo e Ghibellino:
[…] In questo tiempo fuoro fatte quelle maladette parte, Guelfi e Gebellini, li quali non erano stati ’nanti, anco erano stati Bianchi e Neri. Una sera, quanno la iente lassa opera, appriesso allo cenare nella citate de Fiorenza se appicciaro doi cani. L’uno abbe nome Guelfo, l’aitro Gebellino. Forte se stracciavano. A questo romore de doi cani la moita iovinaglia trasse. Parte favorava allo Guelfo, parte allo Gebellino. Quanno se fuoro li cani... […]. Se lo vuoi leggere in prosa, clicca qui.

Qualche notizia sull'autore e sulla Cronica.
L'identità dell'autore è incerta, motivo per cui ci si riferisce a lui con la dicitura "anonimo romano". La Cronica è composta da 28 capitoli, realizzata verso la metà del XIV secolo, e offre una dettagliata narrazione degli avvenimenti dell'epoca.
La cronaca, scritta nella metà del Trecento da un autore anonimo, costituisce un'importante espressione letteraria della Roma medievale. Appartenente alla classe nobiliare cittadina, l'autore, laureato in medicina a Bologna, era amareggiato per gli abusi delle grandi famiglie nobili, in particolare dei Colonna, e per la degenerazione del clero.
Conosciuta come "Vita di Cola di Rienzo" sin dalle stampe seicentesche, la cronaca è una testimonianza dei tempi in cui l'anonimo visse.

Nel prologo e nel primo capitolo, l'autore giustifica l'utilizzo del volgare come mezzo per assicurare una partecipazione più ampia, sottolineando la virtù consolatrice della poesia:
PROLOGO E PRIMO CAPITOLO: “DOVE SI DIMOSTRA LA RAGIONE PER CUI VENNE FATTA QUEST’OPERA”:
L'autore inizia il suo scritto esaminando il contesto storico in cui ha preso vita la pratica della scrittura. Egli sottolinea che in passato, la gente non aveva la capacità di scrivere e perciò utilizzava statue e iscrizioni per commemorare eventi significativi. Questo contesto storico è cruciale per comprendere il punto di partenza dell'autore e il cambiamento che la scrittura ha apportato nella conservazione delle storie e degli avvenimenti. Un punto culminante è rappresentato dal richiamo dell'autore a Tito Livio, un famoso storico romano. Questo riferimento è utilizzato per giustificare la scrittura delle storie, sottolineando l'importanza di preservare la memoria storica e dimostra un collegamento con le tradizioni storiche ben consolidate.

La veridicità storica dei fatti è supportata da una memoria imperfetta, incontri con testimoni e la suggestione di documenti misteriosi. La narrazione si concentra principalmente sugli eventi legati all'avventura di Cola di Rienzo, creando uno squilibrio nella struttura della cronaca. Questa particolare enfasi è stata causa di un isolamento delle parti chiave, considerate un'anticipazione della biografia umanistica. Dopo un periodo di quasi due secoli di oblio, la cronaca fu recuperata nel pieno del Cinquecento. Essa rientra in un contesto di consolidamento del potere papale a Roma dopo il ritorno da Avignone, della decadenza della potenza nobiliare e delle forze che avevano condannato il tribuno Cola di Rienzo nel suo sforzo di instaurare la concordia cittadina e la supremazia italiana, in modo simile alla Roma repubblicana. La prosa della cronaca, scritta in dialetto, sfugge a tutte le classificazioni della prosa d'arte italiana, mostrando un'eccezionale elasticità che rifiuta i canoni dell'epoca e ispira il "primitivismo" del duecentesco "Novellino".

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