Alesso Baldovinetti
erroneamente citato talvolta come Alessio
(Firenze, 14 ottobre 1425 – Firenze, 29 agosto 1499)
Alesso Baldovinetti fu, come artista, disgraziato nella vita e nella storia: nella vita perchè, convinto della insufficienza delle pratiche di dipingere del suo tempo, consumò lunghi anni nella ricerca di nuovi processi che ottennero 1’unico effetto di produrre la rapida rovina dei suoi dipinti; nella storia perchè solo ai giorni nostri la critica è riuscita a rivendicare a lui almeno gran parte dei lavori che la tradizione, complice principale il Vasari, aveva falsamente attribuito ad altri. Il Pesellino, i Pollaiolo, Filippo Lippi e perfino Piero della Francesca erano stati arricchiti a sue spese, e questo ci porta a considerare in primo luogo l’importanza in cui furono tenute fino dai secoli scorsi le pitture di Alesso, sì da essere credute opera dei più grandi artisti, e in secondo luogo questo ci palesa subito un carattere dell’arte di lui, arte sommamente ineguale ed eclettica.
Per quale altro artista infatti si sarebbe potuto discutere se abbia avuto come maestro l’Angelico o Andrea del Castagno, pittori così diversi, così opposti fra loro? Quale altro artista seppe con la stessa facilità imitare Domenico Veneziano nella candida umiltà dei suoi santi, gli Umbri nell’ampiezza del paesaggio, Paolo Uccello nella riproduzione esatta, talvolta esagerata, del vero? Chè se un rimprovero noi dobbiamo rivolgere al Baldovinetti, è appunto questo continuo accostarsi ora ad uno, ora ad un altro maestro, quest’ammirazione verso i pittori più celebrati che lo portava ad imitarne la maniera e toglieva all’arte sua due pregi importantissimi, l’unità e la personalità.
L’artista deve essere, se non proprio un eroe come vogliono alcuni, un carattere forte che pur valendosi dei progressi dei predecessori e contemporanei sappia sempre mantenere la sua indipendenza e sappia trovare in sè stesso i mezzi e le idee del proprio perfezionamento. Alesso Baldovinetti, nel quale avremo modo di osservare tante buone qualità di vero artista, non fu purtroppo un carattere forte: anche dalle scarse notizie della sua vita giunte fino a noi ci apparisce persona umile e religiosa, senza nessuno scatto di fierezza, senza nessun sentimento di ribellione a quelli che riconosceva suoi superiori; nato illegittimo in una famiglia che aveva dato alla Repubblica fiorentina consoli, ambasciatori e gonfalonieri, egli se ne stette sempre modestamente in disparte, non volle niente per sè dell’eredità paterna, prese in affìtto una bottega al Canto dei Gori, presso la chiesa di S. Lorenzo, e come più tardi lo scolaro suo Ghirlandajo accettò quivi qualunque lavoro, anche il più umile, che avesse una qualche attinenza con l’arte da lui esercitata: ora vi capitava Giuliano da Maiano (il fratello di Benedetto) per farsi disegnare qualche figura da eseguire in intarsio; ora Giovanni di Andrea, pittore di vetri, si faceva da lui fare il cartone per qualche finestra, ora lo stesso Andrea del Castagno (tutte queste notizie si ricavano dai suoi Ricordi) gli mandava a terminare i suoi lavori di minore importanza. Eppure questa bontà, questa modestia sincera formano nello stesso tempo uno dei suoi pregi principali, il pregio per il quale le sue pitture, anche se non sono tali da destare in noi grande ammirazione, c’ispirano sempre viva simpatia per la cura paziente, per l’arte dimessa ma sentita con cui sono eseguite.
Ritroviamo in lui qualcosa del pittore del buon tempo antico, del timido pittore trecentista che non ebbe mai il coraggio di allontanarsi dalla maniera del sommo maestro, Giotto: «Voi che con animo gentile sete amadori di questa virtù (la pittura) principalmente all’arte venite, adornatevi prima di queste vestimenta, cioè : amore, timore, ubbidienza e perseveranza»; le qualità che il teorico dell’arte giottesca desiderava nel lettore si trovarono tutte riunite, un secolo più tardi, nel Baldovinetti.
Non ci dobbiamo quindi aspettare da Alesso il pròfondo sentimento religioso dell’Angelico, l’appassionato lirismo di Fra Filippo, la fantasia leggiadra del Botticelli, ma una rappresentazione tranquilla ed esatta del vero studiato con coscienza di artista e con precisione di scienziato, una dolcezza di espressione, un raccoglimento devoto nel quale, se non ritroviamo l’eroismo del santo, ritroviamo sempre la calma fidente dell’ uomo buono e pio. Alesso non sa adornare i suoi racconti coi peregrini fiori della rettorica e narra ciò che vede, ciò che sente, con linguaggio rozzo ma sincero; egli non sa vedere con la sua fantasia più di quanto vede con i suoi occhi, e lungi dal crearsi un tipo ideale per i personaggi divini che deve rappresentare ci offre una serie di ritratti del più esatto, del più accurato verismo.
Londi Emilio, Alesso Baldovinetti, pittore fiorentino, Firenze, Alfani e Venturi, 1907
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