Sandro Botticelli
Giuditta e Oloferne
di Jahn Rusconi, 1907
I primi frutti di queste ricerche e di questi studi appaiono in due piccoli quadretti, ora nella Galleria degli Uffizi e che rappresentano l'uno Oloferne morto nella sua tenda, l'altro il Ritorno di Giuditta. Questi quadretti ornarono un giorno lo studio di Bianca Cappello, cui furono offerti in dono da Rodolfo Sirigatti. Il Borghini, nel suo Riposo, così ricorda:
« Due quadretti insieme (nell'uno dei quali è dipinto Oloferne nel letto con la testa tronca e i suoi baroni che si meravigliano, e nell'atro Giuditta con la testa nel sacco) aveva, non ha molto, messer Rodolfo (Sirigatti) ed esso li donò alla serenissima signora Bianca Cappello de' Medici, granduchessa nostra: intendendo che S.A.... voleva adornare uno scrittoio di pitture e di statue antiche, giudicando degna quell'operetta del Botticelli di comparire con le altre ».
Le due piccole opere non sembrano contemporanee, anzi tra l'una e l'altra sembra essere una differenza di qualche anno. Ciò dipende sopratutto dalla diversità della rappresentazione, l'una calma e semplice, drammatica e agitata l'altra. Il genio del Botticelli aveva finora rifuggito dalle scene animate e piene di figure. Le sue visioni di bellezza e di grazia mal si accordavano coi tentativi drammatici dell'arte contemporanea. Il suo impeto lirico e la sua vena melodica, atti a cantare la più dolce preghiera alla Vergine, il più puro inno a Venere, non potevano costringersi e soffocarsi in un grido di passione incomposta.
II crudo realismo dell'Oloferne morto nella sua tenda, è in contrasto con tutta l'opera del maestro, pure esso ne rivela la mano in modo sicuro, e mostra anche, a parte l'eccesso del tentativo, i frutti che il Botticelli aveva raccolti nello studio dell'opera dei Pollaiuolo. Il corpo nudo di Oloferne già rivela un considerevole progresso nel disegno e nel modellato, mentre nel verismo delle figure dei guerrieri si può riconoscere lo studio paziente e amoroso di rendere la realtà e la vita della figura umana, la qualità magnifica per la quale il Botticelli poté poi popolare le sue maggiori composizioni di tante figure diverse e ricorrere talora, in modo così felice, a ritratti reali.
In questa opera giovanile il Botticelli fissa in modo energico le diverse espressioni dei suoi guerrieri. Il terrore, la pietà, il desiderio della vendetta gridano con diversa voce sotto la tenda del re morto. Questo primo tentativo di composizione animata è quasi l'aurora di un nuovo periodo dell'arte sua, quando, resosi interamente padrone della sua tecnica, egli poté avanzare arditamente per la sua via luminosa. Il realismo quasi brutale dei Pollaiuolo domina in questa rappresentazione, nel corpo di Oloferne e nell'espressione dei suoi guerrieri: l'arte più serena e calma di Sandro appare nel paesaggio chiaro e delicato che si stende lontano dalla tenda sollevata, nei costumi, nelle stoffe, nelle armature lucenti; tutto ciò rivela ancora una volta il suo amore per l'ornamentazione.
La grazia pura ed incontaminata dell'altro quadretto che gli fa riscontro, il Ritorno di Giuditta dal campo, tutto inteso secondo lo spirito del Botticelli, tutto avvivato dal suo sentimento e dalla sua poesia, richiama le prime e migliori sue opere, le manifestazioni più complete e più spontanee del suo genio. Giuditta avanza con passo breve ed affrettato, tenendo con una mano una spada e recando con l'altra un ramo di olivo, mentre la sua fida ancella la segue affannosa, recando sul capo, in un canestro, la testa del tiranno. Ai loro piedi, in fondo a una collina, presso una città dalle mura turrite, corrono soldati a piedi e a cavallo in una campagna chiara e variata che si stende fino ad un orizzonte lontano.
Giuditta avanza col suo ramo di olivo e la sua spada, con una espressione di tristezza amara, e volge indietro la testa con uno sguardo vago che non sembra guardare, tutta assorta ancora nella grande azione compiuta, che par riviva ora innanzi ai suoi occhi attoniti. Il suo volto, giovanile, davanti all'evidenza della rievocazione, assume un'espressione amara, di una grande, invincibile tristezza. La fanciulla graziosa non è l'eroina formidabile, la guerriera solenne e severa, ma, come nell'allegoria della Fortezza che ha tanti punti di contatto con questa delicata creazione, è una figlia del popolo, audace ed animosa, che ha compiuto la grande impresa con l'ardore del suo entusiasmo. Nessun grido incomposto turba la serenità della scena, così semplice e naturale, che assume una forza tragica meravigliosa. La calma risoluta e un po' amara di Giuditta, la trepidazione devota della fida ancella che la segue, formano un'unità magnifica di una indimenticabile espressione drammatica. Su queste due figure, che assommano nei loro volti tutto lo spirito, tutta l'anima loro, domina la testa recisa del re, lugubremente avvolta in un panno svolazzante, cupa, bruna, dalle labbra serrate nell'orrore della morte, dagli occhi chiusi in un sonno senza risveglio, e queste tre teste racchiudono in un breve spazio la grande tragedia. Il genio poetico del Botticelli ha rivestito delle più belle parole l'antica e tragica storia sacra, così che questo piccolo quadro è una delle opere più giustamente ammirate della gioventù del maestro.
A sinistra Ritorno di Giuditta a Betulia - a destra Scoperta del cadavere di Oloferne