Un poema goliardico toscano

Un poema goliardico toscano
Il "Processo di Sculacciabuchi" è un poema goliardico che risale alla fine del XIX secolo, presumibilmente originario della Toscana. Sebbene l'autore resti anonimo, l'opera è stata attribuita a Giovanni Rosadi, all'epoca studente a Bologna, successivamente avvocato penalista e parlamentare. Questo breve poema offre una parodia umoristica e scanzonata del dialogo tra il Giudice, il Cancelliere, l'Avvocato, i testimoni e l'Imputato nel corso del processo a un presunto prete pedofilo, Don Sculacciabuchi di San Rocco, accusato di aver compiuto atti osceni su un inconsapevole fanciullo.
Il poemetto si svolge all'interno dell'immaginario "Tribunale Babilonese" e presenta una serie di personaggi irriverenti che contribuiscono a creare un'atmosfera umoristica:
Don Sculacciabuchi: l'imputato
Buchirotti: il Presidente della giuria
Finocchietti: il Giudice
Bucalossi: un altro Giudice
Seghetti: il Pubblico Ministero
Favoni: il Cancelliere
On. Inculatti: l'Avvocato Difensore
(Manca il nome dell’avvocato di parte civile, A.P.C.; si propone: Avv. GUSTAVO DANDOLO)
Questo singolare componimento si contraddistingue per il suo tono satirico e la sua rappresentazione caricaturale, utilizzando nomi ironici che riflettono in modo scherzoso i ruoli degli attori coinvolti nel processo immaginario.
Il "Processo di Sculacciabuchi" affronta tematiche sensibili come la giustizia, la parodia dei ruoli giuridici e la critica sociale, tutto condito da un umorismo irriverente e provocatorio.
 

Processo di Sculacciabuchi e Ifigonia, Edizioni Homerus, Roma 1971
 

Udienza Prima
Avvocato Difensore
Mi permetto di chiedere umilmente,
vista la serietà della vertenza
se concede l’esimio Presidente
di leggere il verbale dell’udienza.

Presidente
La cosa è troppo giusta e naturale;
Cancelliere, ci legga il suo verbale.

Cancelliere
L’anno milleottocentonovantasei
del giorno ventisette di quel mese
che i ciuchi vanno in culo e portan sei,
l’egregio Tribunal Babilonese,
con l’avvocato Rumme in presidenza,
messa la mano al culo, apre l’udienza.
Si discute la causa penale
contro Sculacciabuchi da San Rocco,
imputato di aver, con magistrale
arte, attirato un giovanetto sciocco,
e avergli messo in culo dieci dita
di grossa fava lucida e forbita.

Presidente
Ordino che sia prima interrogato
sopra l’atto di accusa il delinquente.
Si faccia alzare in piedi l’imputato;
Lei sieda pur. Dunque, si sente
la grossa fava un poco indolenzita
dopo aver fatto in culo quella gita?

Sculacciabuchi fa le sue querele
per l’infamante accusa, ma confessa
d’averlo stropicciato fra le mele
del giovinetto, avanti di dir messa.
Manca all’appello, solamente un teste,
il medico dichiara che ha la peste.

La prima testimone Sparacazzi
depone, che passando da un giardino
dove di giorno giocano i ragazzi,
vide tra l’erba un uomo che, supino,
stringeva fra le mani come un pazzo
quel coso che le donne chiaman cazzo.

Dice quindi, con giro di parole,
che la fava che vide era sì grossa
da somigliare quasi a un girasole.
La teste è conturbata e sì commossa
che confessa all’egregio Tribunale
che scappò a casa e fecesi un ditale.

Presidente
Tiriamo via con queste confessioni
che non si fanno davanti ai magistrati.
Dica piuttosto: Vide i due coglioni
fuor dei calzoni, oppure rannicchiati?

Testimone
Non so.

Presidente
Capisco, in quell’agitazione
non guardò troppo attenta alle persone.
Poscia, il secondo teste Ezio Pompini,
figlio di Gaudenzio da Poppiana,
e d’Ida Seghi, vedova Casini
di professione celebre puttana,
vien chiamato in udienza, e con far lento
fa, cavando la fava, giuramento.

Il giorno trenta del mese passato
mentre stava sbucciando un bel limone
che il teste confessa aver rubato
nel giardin del Casino in Via Limone,
scorgeva tra le piante di un boschetto
un cazzo, un culo, un prete ed un bimbetto.

Data però la miopia cadente
il teste non sa dire di chi fosse
il culo o il cazzo; solo fa presente
che tutti i movimenti e quelle scosse
che sono proprie ad uno ch’è sul gusto,
è riuscito a vedere in modo giusto.

Il terzo testimone Cacaspini,
figlio del Cardinale Buconero
e d’una tenitrice di Casini,
giura sull’ano suo d’essere sincero:
chè il lamento che udì quella serata
gli parve d’un che ponza una cacata.

Presidente
Vada pur. Ci son più testimoni?

Usciere
Nessuno più, o illustre Presidente.

Presidente
Meno mal. Già ne ho pieni i coglioni
di questa gente che non ne sa niente.
Per avere un criterio più compito
udrem la relazione del perito.

Perito
Io cito a questo egregio tribunale
quanto risulta da severa inchiesta
ch’io feci già nell’orifizio anale
del giovinetto Febo Succhiacresta;
e sul cazzo robusto e prepotente
dello Sculacciabuchi don Clemente.

Comincio col citare i connotati
relativi, può dirsi, al vero attore
e già da un testimone confermati
in presenza del Giudice Istruttore.
Misura della fava all’accusato:
superficie un decimetro quadrato.

Volume in metri cubi addirittura.
Perimetro centimetri diciotto,
e dalle palle sino alla costura
è lungo ben centimetri ventotto.
Segno particolare, all’occasione,
è il grosso neo ch’è in cima al cornicione.

Presidente
Son giuste e sagge queste osservazioni.
Vediamo un po’: l’egregio reverendo
ha avuto scolo, o alcune ulcerazioni?

Imputato
Ma no…

Presidente
Creda, me ne intendo…

Avvocato Difensore
Se ne intende? Non certo di sua scienza,
ché non fu buono a farne l’esperienza.

Presidente
Ma cosa dice questo farfallotto?
Da giovane ho chiavato come un mulo;
certo, ora che sono un po’ anzianotto…

Avvocato Difensore
Oh, lo sappiamo; ora lo piglia in culo.

Presidente.
Basta così e parli ora il Perito.

Perito
Ecco, Signor, posson toccar col dito
Quanto accertai nell’ano strapazzato
della parte che ben può dirsi lesa.
Con tale violenza fu sfondato
che lo stomaco ormai non ha difesa
nei giravolti che fa l’intestino,
che pare molto simile a un catino.

È un condotto slabbrato che dall’ano
va diritto all’insù fino al palato,
di cui si scorge il rosso melograno
occhieggiando dal culo frantumato.
Darebbe, direi quasi, l’impressione
di guardar nel traforo del Sempione.

Presidente
Elogiando le esatte osservazioni
del più dotto dei nostri specialisti
passiamo ad ascoltare le concioni
che faranno gli illustri penalisti
che difendono l’una e l’altra parte
con gran preparazione e vera arte.

Terminata in tal modo l’escussione
dei testimoni tutti, il Presidente
dà la parola al Minister Cazzone,
pregando di far presto, ch’è impaziente
d’andar con la Primetta sulle mura
a farsi una chiavata di premura.
L’udienza vien rimessa alla mattina;
l’imputato ritorna in carbonaia,
il Presidente va da Primettina,
il Cancelliere dalla Giornalista;
e i giudici del Regio Ministero
vanno a farsi una sega al Battistero [].

Udienza Seconda

Avvocato di Parte Civile
Domando di parlar.

Presidente
Favelli pure.

Avvocato di Parte Civile
La famiglia del bimbo rinculato
ritenendosi offesa nell’onore,
non intende ragioni, Dio sagrato,
chiedendo quindi che gli sia pagata
mille lire ogni crespa rovinata.

Presidente
Come se non bastasse il lavorio
che s’è già fatto intorno alla questione,
e degli altri avvocati il buggerio,
mancava la civil costituzione!
Parli, dunque, si sbrighi, e badi all’ano,
ché l’imputato non le sta lontano.

Avvocato di Parte Civile
Fin qui le risultanze del processo
ci portano a una sola conclusione:
quest’aula dove siam non è che un cesso
ove a deporre vengono persone...

Presidente
Avvocato, non faccia il puritano!

Avvocato di Parte Civile
Se crede parlo con la fava in mano.

Presidente
La fava, ecco, facciamoci capire,
se la rivoghi in culo, mondo cane!

Avvocato di Parte Civile
Allora lei mi lasci proseguire
se non vuole che dica cose strane;
perché qui non ci son certo a casaccio,
né son venuto a farci il bischeraccio.

Insisto nel volere dimostrare
l’influenza che avrebbe quest’ambiente
sui giudici... (Pres.) Non può continuare!

Avvocato di Parte Civile
Mi lasci proseguire, Presidente...

Presidente
Avvocato, fa troppe digressioni...

Avvocato di Parte Civile
E invece Lei mi ha rotto già i coglioni.

Dunque come dicevo, in quest’ambiente
dove regnar dovrebbe castità,
checché ne dica il sommo Presidente,
c’è solamente un puzzo: baccalà.
Data dunque quest’aria che ci spira
par d’essere in casin da mezza lira.

Fatta questa mia breve digressione
entro tosto nel culo al mio cliente
facendo questa mia interrogazione:
è stretto o largo?

Presidente
Mondo e poi serpente,
questa è di nuovo conio: l’avvocato
va già nel culo al suo raccomandato.

Avvocato di Parte Civile
Senta, se mi fa un’altra interruzione
smetto immediatamente di parlare.
Che son venuto a fare, qui, il coglione,
oppure la giustizia a illuminare?

Presidente
Allora non divaghi ogni momento...

Avvocato di Parte Civile
Sono nel culo, e quindi in argomento.

Orbene, il mio discorso proseguendo,
dirò che al mio cliente disgraziato,
dal qui presente poco reverendo,
fu tutto il tafanario rovinato;
e vedendolo voi, meravigliati,
direste: c’è passato il ciuco di Bati.

E come il ciuco ormai tradizionale
il pingue prete ha grossa la cappella;
ed egli, miei signor del Tribunale
di culi fece più di una padella;
e fra quei suoi delitti c’è l’orrendo
consumato sul bimbo che difendo.

Fra le natiche rosa e rotondette
di questi, penetrando con furore,
il cazzo di quel prete vi fe’ un sette,
e la punta sfiorogli il paracuore,
riducendo a quel povero figliolo,
come si dice, il cul come un paiolo.

Per cui, o miei signori della legge,
dal deretano del cliente mio
escono spaventevoli scorregge
che sembrano il castigo del buon Dio;
e m’affermò poc’anzi sua cugina
che quando caca ottura la latrina.

Ma c’è di più, illustri miei signori.
Trovandosi ier l’altro il mio cliente
con altri suoi compagni a cacar fuori,
fece uno stronzolone si imponente
che certo lo potrei paragonare a
quel che gli elefanti soglion fare.

Pensate che la piccola canaglia
ha issato tosto su quel colonnino
non il tradizional fuscel di paglia
con sull’estrema punta un fogliolino,
ma addirittura un grosso e bel bastone
con in cima un giornale: la Nazione.

Un’altra volta, essendosi purgato,
fece nella latrina della scuola
uno squaqquarellio sì prolungato
da renderla...

Presidente
Le tolgo la parola!
Ma scusi, parla qui a dei magistrati
o a dei bottinai matricolati?

Avvocato di Parte Civile
Già, ma intanto la mamma del bambino
è costretta ad adottare un espediente.
Chè quando il bimbo ha roba nel pancino
che vuole uscir precipitosamente
a letto se lo corica bocconi
e chiama il bottinaio degli stalloni.

E questi arriva con il carro botte,
mette nel culo al bimbo un gran canale,
poi ti gira il manubrio, e buona notte:
passa il liquame, e com’è naturale
viene svuotato il povero bambino
come se fosse un misero bottino.

Or mi domando: perché quella iena
invece di sciupare un ragazzino
non andò in culo all’ottimo Scatena
che ha il culo largo al pari di un catino?
Perché non si recò dalla Carlotta
che alloggerebbe un treno nella potta?

Perché quel prete lurido inumano
quel suo furor frenetico asinino
se volea delle nuove sensazioni
non andò dalla celebre Scoiano
a farsi leccheggiar fava e coglioni?
Sfogato avrebbe con un bel pompino.

O nelle carni della prima donna
che avesse chiappe turgide e pastose,
laggiù, per la santissima Madonna,
poteva smammolarsi in mille pose:
a potta indietro, oppure a buo punzone,
ch’è sempre la più bella posizione.

Insomma, se volea farsi leccare
dalla punta dei piè fino ai capelli,
dovevasi al postribolo recare
in cerca di espertissimi budelli.
Se volea scoscio lungo e topa fine
poteva andare dalle chellerine...

Avvocato Difensore
Ecco, se mi permette l’avvocato,
vorrei fare una breve osservazione:
Lei qui difende il suo raccomandato
o di ruffianeria ci dà lezione?
E dato che ci dà tanti indirizzi
manca solo che il cazzo mi si rizzi.

Avvocato di Parte Civile
Per quello, eccellentissimo collega,
c’è la sua distintissima signora,
la quale mi ha già fatto qualche sega;
e posso assicurar che lo lavora
con una grazia tutt’affatto nuova,
come se avesse in mano un frullauova.

Ma ritorniamo al triste delinquente.
Egli volle provare il buco stretto,
ed afferrato un povero innocente
disse: Vieni, all’occhiello un fior ti metto.
E il fiore, son d’un teste le parole,
non era una gaggia, ma un girasole.

E notare, illustrissimi signori,
che anziché la retorica figura
essere esagerata nei colori,
è invece resa tenue addirittura,
in quanto a me risulta da un’inchiesta
che la fava del prete ha barba e cresta.

L’egregio difensor muove le spalle
in senso di diniego: non ci crede?
Si faccia un po’ sfiorare dalle palle
del prete il proprio culo, e se ne avvede

Avvocato Difensore
O se la faccia accarezzare lei...

Avvocato di Parte Civile
Io le vado nel culo e porto sei!

Presidente
Ma signori; porchissima miseria,
se seguitiamo così, proprio davvero,
si va a finire in una cosa seria.
Qui, lo sapete, solo il Ministero
lo prende in culo; fuori di qui miei cari,
rinculatevi pure, e siete pari.

Avvocato di Parte Civile
Come dicevo, da una scrupolosa
inchiesta fatta con ciascuna ganza
dell’imputato, stabilii una cosa:
ce l’hanno tutte come questa stanza.
E del lor culo, e della loro fia
è rimasta una sola galleria.

Dunque, egregi signor del Tribunale,
riscontrata la grave infermità
che un cazzo immane soprannaturale
producesse al mio cliente, si vedrà
all’accusato animalesco prete
la pena che voi giusti applicherete.

Chiedo che la Giustizia sia inclemente.
Spero che il vecchio ed irrisorio motto
non vorrete applicare al mio cliente:
"restar senza quattrini e il culo rotto"
O l’altro detto ritirare in ballo
che fa: "fuor del mio culo è sempre fallo".

Ma io son certo che pronuncerete
una sentenza qual ci vuol severa;
altrimenti, vuol dir, m’obbligherete
a portar le mutande di lamiera,
perchè non vo’, trovandomi a girare,
sentirmelo nel culo rivogare.

Presidente
Uditi dunque i pochi testimoni
dell’efferato stupro consumato
da un prete che va in cul fino ai coglioni
ad un giovane saggio e consumato
uditi i lagni della parte lesa,
io lascio la parola alla difesa.

Avvocato Difensore
Aula solenne, nel mirarti freme
di sacrosanta reverenza il petto.
Incliti membri qui raccolti insieme,
il vostro nobil venerando aspetto
tanta tema m’infonde, e tal ribrezzo,
che fin l’uccello mi rientra in mezzo.

Perché s’io vesto di meschini motti,
quanto di verità la lingua espone,
avviene perché son fra tanti dotti
sul grande tema della mia questione,
che il dizionario chiama Sodomia
e il dialetto volgar culetteria.

E se di questa sensazion carnale
pronunciar non saprò retto giudizio,
pensi benignamente il Tribunale
che in materia di culo son novizio;
infatti fino a qui mi son difeso,
e grazie al cielo non ce l’ho mai preso.

A te, devoto, mi rivolgo intanto
celeste gerarchia dei culattieri
che siedi a destra del finocchio santo;
e a te, San Lino, primo fra i primieri,
ché per merito tuo gli angeli invano
giran pel cielo col lucchetto all’ano;

E a San Luigi leverei il pensiero,
giustamente dei buchi almo patrono,
se dal suo posto, da non molto invero,
levato non l’avesse Pio Nono
che gli ha sostituito Santa Ghita
sverginata, puttana e sodomita.

O San Gaudenzio, eccelso porporato,
del culo venerato estimatore,
dopo aver santamente rinculato
la curia, il vescovado e il suo priore,
l’hai rivogato poscia fra le mele
perfino dell’Arcangel Gabriele!

E tu, Fra Cazzo, insigne bacchettone,
che mescolando il cazzo alla morale
rinculato ti sei con devozione
tutti gli abati della Cattedrale,
e se ti regge l’osso della schiena
vai in culo alla Diocesi di Siena.

Ed ora a Sant’Ermete alzo preghiera,
dei santi inculatori, principe eletto
che rinculava da mattina a sera
il Santo Padre imbastardito a letto;
e poscia in suo suffragio s’è fottute
fin le galline delle sue tenute.

Né te tralascio, illustre Papa Sisto,
che di preti di frati e di eminenze
sui culi pretendesti apporre un visto
con le tue mascoline pertinenze;
per dimostrare i sensi tuoi guerrieri
lo rivogavi in culo ai granatieri.

Né te, Giove lascivo, del cosciale
e della sega protettor famoso,
nella campagna dell’amor carnale
tanto costante e tanto vigoroso,
che nel lasciare questa valle d’Eva
sbrodasti in mano al prete che ti ungeva.

Ed ora voi sommessamente imploro
Geni d’Arcadia, porci e poi fottuti,
Anacreonti dall’uccello d’oro
fra l’arpa e il culo alle virtù cresciuti,
che sfacciati belate inni al pudore,
rossa la fava dell’altrui candore.

Farete grazia all’orator novizio,
ch’è pavido davanti a tal sapienza;
e se il vostro favor sarà propizio
mostrerò con la storia e con la scienza
che il metterlo nel culo in conclusione
l’organo aiuta della digestione.

Era quell’ora in cui l’afa opprimente
fa nell’ombra cercar dolce ristoro;
l’ora in cui acuto ogni desir si sente
e che tramuta ogni mortale in toro;
lora in cui l’uomo, per segrete vie,
ha più tendenza a far le porcherie.

Nell’ombra di un dolcissimo boschetto
prete Sculacciabuchi da Firenze
stava sdraiato con un giovinetto
già caro a lui per lunghe contingenze;
e tra l’indice e il medio dolcemente
il ganascino gli stringea sovente.

Non vi dirò con vividi colori
la soave beltà di quell’adone
per tema di destarvi, o miei signori,
qualor non sia già tardi, l’erezione;
e con un dubbio non del tutto strano
mi porto al culo la sinistra mano.

Per farla corta vi dirò soltanto
che quella birba ammazzerebbe un morto;
e se trovato se lo fosse accanto
Lazzaro, non appena fu risorto,
rinculato l’avrebbe addirittura
a buo punzone nella sepoltura.

Lo stesso Adamo, in onta alla lezione
pei nepoti e per lui così fatale,
se comparir vedesse da Plutone
uno squarcio di culo a questi uguale
si giocherebbe con la stessa sorte
l’Eden con le sue fiche vive o morte.

Dunque il tenore dell’accusa in atti
dice che questo prete in conclusione
dalle carezze addivenisse ai fatti,
e con l’uccello fuori del calzone
cominciasse a saltare a manca e a dritta
come giovin soriano a coda ritta.

L’accusa qui lasciva ci ripete
i morsi i baci e le carezze impure;
dice fra l’altro che l’avido prete
strofinando l’uccello alle costure
del tenero garzone, l’appellava:
"o cocco della mia paterna fava".

E dice che alla fin, rotto ogni freno,
qual d’api in alvear maligne vespe,
ardisse dilatargli in un baleno
le tenerelle trentacinque crespe
versando in culo al giovinetto vago
non brodo, ma gomitoli di spago.

E, questo l’episodio, tale e quale
ch’oggi l’accusa appella Sodomia!
Episodio innocente e naturale
che a raccontarlo in una frateria
c’è da vedere, come i cani all’osso,
i frati tutti al provinciale addosso.

Questo il fatto; e adesso miei signori,
col buon senso alla mano e la ragione,
in primis domando a lor signori
se Sodomia la cronaca in questione
chiamar si possa; e ammesso il postulato
che il metterlo nel culo sia peccato,

Dieci dita di muscolo virile
abboccato col visto del priore,
formano in ogni società civile
un nodo indissolubile d’amore,
ebben nel libro della Creazione
di questo visto non vi sia menzione.

Ora, se due persone incivilite
s’incontrano in campagna o per le vie
e fra un discorso e l’altro incalorite
fanno, per così dir, le porcherie,
com’è che c’entri l’arbitro del fisco
questo, signori miei, non lo capisco.

Mi si dirà: nel caso qui presente
non si tratta di copula usuale
celebrata da sesso differente,
bensì di confusione sessuale;
specie di nozze all’uso pecorino
fra cittadino maschio e cittadino.

Ed a qualcun può fare meraviglia
ripensando alla carica meschina
che il culo rappresenta anche in famiglia
dove gli han destinato la latrina
e nella scienza che nei suoi misteri
gli consacrò la canna dei clisteri.

Né cambiare si può la sua natura,
ché il destin gli riserba l’orinale;
ed anzi può stupire addirittura
che l’uom confonda lo spirituale
con gli escrementi e faccia dell’amore
una partita di cattivo odore.

Però di questa grave congettura
il Creatore non se n’è occupato;
e vi sfido a trovar nella Scrittura
un passo dove il culo sia citato.
Sarà per pudicizia, ma per me
c’è una ragione logica, e cioè:

che il cazzo non ha occhi già si sa,
onde non c’è ragione sufficiente
di farne un caso di moralità
se un cieco sbaglia l’uscio d’un ambiente;
per ascriverlo a colpa bisognava
che avesse avuto gli occhi anche la fava.

E molto più nel sesso femminino
dove questi due buchi spalancati
all’uno l’altro stan così vicino
che chissà quanti mai si son sbagliati,
e quanti mai mariti in capo all’anno
sono andati nel culo e non lo sanno.

Valga l’esempio di David il santo,
che fornicando all’uso pecorino
glielo recapitò nell’uscio accanto;
ma se ne avvide sol quando, al mattino,
nel fare la sua solita abluzione
ci trovò in cima un seme di popone.

Quindi secondo me questo sfintere
in questo campo colpe non ce n’ha;
però, prima di emettere un parere
esaminiamo con serenità
le prove e i documenti di ragione,
dall’accusa portati in discussione.

Dice una testimone non sospetta
di aver visto in quell’ora l’accusato
a pancia all’aria sulla molle erbetta
col cazzo dalle braghe spenzolato,
di cui la fava, son le sue parole,
la superficie avea d’un girasole.

L’accusa alza la voce ai quattro venti
e fa di quel deposto il suo timone;
ma siamo giusti, giudici sapienti,
che cosa prova questa affermazione?
Per me, se si vuol essere imparziali,
prova due sole cose, ed ecco quali:

che il mio cliente, Dio lo benedica,
possiede un cazzo da museo romano;
e che allora, sognando qualche fica,
se lo teneva frascheggiando in mano;
refrigerio, per legge, competente
ad ogni cittadino indipendente.

Piuttosto, e qui tocca la morale,
ha dichiarato quella donnicciola
(ripeto il suo discorso tale e quale),
dopo aver visto sulla verde aiola
balenar quel gran cazzo porporino,
che andò di corsa a farsi un ditalino?

Un altro testimone smemorato
racconta di aver visto due compari
l’uno sopra dell’altro accavallato
precisamente come due somari;
ma non dice peraltro il sempliciotto
quale stesse di sopra e qual di sotto.

Nel dubbio qual dei due fosse l’attore
potrebbe il mio cliente, e con ragione,
prendere il posto dell’accusatore;
tanto più, sia detto in confessione,
che un perito dell’arte gli ha trovata
la madrevite al culo un po’ spanata.

Un terzo testimone, un giovinetto
che si dà l’arie da scandalizzato,
racconta che passando da un boschetto
udì un certo respiro affaticato
uscir di mezzo a quelle verdi fronde
come di gente stitica che ponde.

Ecco, dice l’accusa, ecco tal quale
la prova del flagrante atto funesto;
ma qui faccio osservare al Tribunale
che chi riceve un cazzo come questo
fra le fragili crespe deretane
non ponde, ma guaisce come un cane.

Quanto sia l’orifizio delicato
dica lei, Presidente, per piacere;
mi racconti quel fatto disgraziato
allorquando nel mettersi assedere,
inciampò, Dio ci guardi, in quel fuscello,
e dica un po’ che spasimo fu quello!

Quest’è la prova dell’accusa;
questi del supposto reato i documenti.
A voi pertanto, Magistrati onesti,
spetta di giudicar se sufficienti.
Ma prima di risolver l’argomento,
d’ascoltarmi, vi prego anco un momento.

Sia per effetto di gravitazione,
sia per certa libidine impudica,
sta di fatto che l’uomo ha inclinazione
a mettere il suo cazzo nella fica;
divertimento il quale, a dir fra noi,
costa un fottìo dal matrimonio in poi.

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