Una passeggiata nel passato

Tratto da

Giuseppe Conti, storia-cronaca aneddotica-costumi, R. Bemporad & figlio cessionari della libreria editrice Felice Paggi 7 - Via del Proconsolo - 7, 1899, Firenze

"La vita dei vecchi fiorentini era semplice, quasi patriarcale, ed è rimasta tale fino alla prima metà del XIX secolo. Se queste brave persone potessero tornare oggi, noterebbero molti cambiamenti nelle usanze e nelle abitudini, con l'abbandono delle antiche tradizioni secolari a favore di nuove pratiche comuni a molti altri luoghi. Firenze, come molte altre città, ha perso la sua identità e somiglia sempre meno a sé stessa.
I vecchi, se potessero tornare, potrebbero lamentarsi di ciò, ma poiché questo è impossibile, non ha senso rimpiangere ciò che è ormai passato. Tuttavia, è importante preservare la memoria di quei tempi e mantenerla viva per scopi storici e culturali.
Nelle famiglie fiorentine di quei tempi, la parsimonia, la regola e l'economia erano osservate con grande attenzione. Questo comportamento era spesso etichettato come avarizia, ma in realtà rifletteva un amore per l'ordine e un desiderio di evitare di spendere più del necessario. Era più importante apparire bene quando si usciva in pubblico che concedersi un pasto abbondante, poiché ciascuno desiderava sembrare più di ciò che realmente era. Nelle passeggiate e negli incontri pubblici, non si vedeva la folla miserabile di altre città; tutti si vestivano in modo pulito, molti in modo discreto, alcuni addirittura elegantemente. Questo dimostrava l'ambizione di sembrare civilizzati ed educati, poiché l'attenzione al proprio abbigliamento in pubblico era considerata un segno di civiltà ed educazione.
La differenza tra ricchi e poveri era meno evidente che altrove, il che faceva di Firenze un modello da seguire.
A Firenze, gli operai e le persone più umili frequentavano gli stessi locali dei signori e del ceto medio. Tuttavia, lo facevano con orgoglio ed eguaglianza, cercando di vestirsi nel miglior modo possibile per non evidenziare la distanza sociale, perché i fiorentini avevano sempre rifiutato di adottare un abbigliamento che sottolineasse la miseria, in contrasto con ciò che si osservava in altre città.
Questa caratteristica poteva far sembrare i fiorentini avari e stretti di mano agli occhi degli altri italiani, ma in realtà rifletteva un desiderio di dignità, orgoglio e amore proprio nel non sprecare il proprio guadagno in bevute nei locali notturni. Preferivano investire i loro soldi per vestirsi bene e supportare le loro famiglie.
Questo non li rendeva santi o modelli di virtù, ma la popolazione in generale era considerata moderata e civile.

In quelle famiglie, sia povere che benestanti, era comune cuocere il pane in casa. Spesso si vedevano i garzoni dei panifici uscire dalle case con i pani, portandoli al forno del panettiere. Le nonne usavano gli avanzi di pasta per fare il "chiocciolino", che era un dolce molto amato dai bambini.
C'è un aneddoto riguardante il pane fatto in casa, che coinvolge il poeta Giambattista Niccolini (1). Sembra che si fosse innamorato della cameriera di sua madre e avrebbe persino voluto sposarla. Tuttavia, un giorno, alzandosi presto al mattino, la sorprese con un garzone del fornaio che portava farina per il pane. Questo causò la fine della loro relazione.
Nelle case fiorentine, la colazione del mattino prevedeva spesso una pappa fatta nel pentolino, solitamente affumicato, poiché il fuoco veniva acceso utilizzando trucioli di legno. I bambini portavano la loro merenda a scuola, che consisteva in una fetta di pane con burro, un fico secco, una mela, qualche baccello, un mazzetto di ciliege o una fetta di pattona, a seconda della stagione. Tornavano a casa per il pasto principale, che spesso consisteva in minestra e lesso. Durante le feste, il piatto preferito era la coratella nel tegame, il fegato con le uova, il pollo nella bastardella o l'agnello. Durante il Carnevale, l'arrosto di lombo di maiale era molto popolare, e i bambini gareggiavano per girare la spiede, spesso ricevendo questo compito come un premio. La cena si svolgeva verso le 8, sia in estate che in inverno, aspettando il ritorno del capofamiglia dal lavoro. Solitamente, il pasto serale consisteva in affettati come salame, prosciutto o più comunemente mortadella.
Il vino costava pochissimo, tra quattro e cinque crazie al fiasco, e se era vecchio, sette crazie. In anni di buona annata, il vino era praticamente gratuito. Spesso, le persone andavano ai conventi delle monache con fiaschi che sembravano piccoli barili e li riempivano per una crazia, e molte volte le suore regalavano una mela ai bambini o ragazzi che venivano a prendere il vino.
Anche se possono sembrare dettagli apparentemente insignificanti, queste informazioni contribuiscono a delineare la storia dei costumi e delle abitudini di quei tempi.
La religione era un elemento importante nella vita quotidiana delle famiglie fiorentine. Si recitava l'Angelus Domini a mezzogiorno, il Credo per gli agonizzanti la sera e il Deprofundis all'una. I soldati uscivano per la preghiera e salutavano con un rullo di tamburi, e la sera c'erano le preghiere per gli agonizzanti.
Nelle strade, c'erano venditori ambulanti di vario genere, come ortolani, fruttaioli, cenciaioli, e molti altri, ognuno con i propri clienti fissi. C'erano anche ciechi che suonavano strumenti e raccontavano storie. La generosità era comune, e le donne gettavano loro un quattrino da finestre o balconi. Durante l'ottavario dei morti (2), i ciechi si posizionavano per strada e cantavano preci per le anime del Purgatorio, ricevendo donazioni in fogli accesi per la loro buona azione.
Le famiglie fiorentine erano unite da un forte senso di comunità e amicizia tra i mestieranti, che spesso si scambiavano notizie e barzellette. Questo rendeva le strade un luogo di socializzazione e di allegria, con risate e buon umore. Ogni sabato sera, il capofamiglia pagava il salario ai lavoratori e la bottega restava chiusa fino al lunedì.
In estate, le persone facevano merende all'aperto e chiudevano le botteghe verso le otto, mentre in inverno si prolungava l'apertura fino alle tre del pomeriggio.
Questa usanza era particolarmente comune tra calzolai, sarti, legnaioli, marmisti, tappezzieri e altri mestieranti simili. Tuttavia, i negozi di lusso rimanevano aperti fino a sera, ma i proprietari condividevano spesso notizie e chiacchiere con i vicini quando il lavoro era meno intenso.
Le botteghe erano un luogo di grande amicizia e armonia tra i mestieranti, e spesso sembravano una grande famiglia. La conversazione mattutina era una pratica comune, con tutti che condividevano storie, novità e barzellette. Gli operai avevano un orario di lavoro diverso: nelle giornate invernali vegliavano fino alle otto e, durante l'estate, facevano merenda alle sei e chiudevano alle venti, l'equivalente delle ventiquattro dell'orario attuale. Questa usanza era particolarmente comune tra i calzolai, i sarti, i legnaioli, i marmisti e i tappezzieri. Le botteghe di fondaco, merceria e setaioli rimanevano aperte fino a sera, ma i proprietari chiacchieravano con i vicini quando c'era meno lavoro, per rimanere informati sulle ultime novità. Il sabato sera, il capofamiglia distribuiva il salario ai lavoratori, e la bottega rimaneva chiusa fino al lunedì. Chiunque osasse aprire la bottega in un giorno di festa per svolgere qualsiasi attività doveva pagare una multa e poteva finire in carcere se recidiva".

Questi erano solo alcuni degli aspetti della vita quotidiana a Firenze durante quel periodo. La città era caratterizzata da una forte coesione sociale e da tradizioni radicate, che hanno lasciato un'impronta duratura nella cultura e nella storia fiorentina.

(1) Giambattista Niccolini (San Giuliano Terme, 29 ottobre 1782 – Firenze, 20 settembre 1861) è stato un drammaturgo italiano. Ha vissuto a Firenze, Lucca e Prato, ed è stato socio dell’Accademia della Crusca1. Ha composto diverse tragedie di soggetto storico-patriottico, che hanno come tema il riscatto nazionale e la libertà del popolo. In politica, Niccolini era liberale, repubblicano, anticlericale e si opponeva all’ideologia neoguelfa. Era noto come un sostenitore dell’unità e dell’indipendenza d’Italia. Era amico di Ugo Foscolo, che gli dedicò le celebri Poesie del 1803 e la traduzione della Chioma di Berenice dello stesso anno.

Nelle sue opere, Niccolini seguiva gli schemi neoclassici, ma con contenuti decisamente romantici. A Firenze, la statua della Libertà della Poesia di Pio Fedi è dedicata a lui.
(2) L’Ottavario dei Morti è una consuetudine antica che consiste nel fare preghiere in suffragio per le anime del Purgatorio, per otto giorni consecutivi, con la confessione, la comunione e le opere di carità. Questa pratica inizia il 2 novembre, giorno della Commemorazione dei Defunti, e culmina l’ottavo giorno, il 9 novembre.

Nelle case fiorentine, la colazione del mattino prevedeva spesso una pappa fatta nel pentolino, solitamente affumicato, poiché il fuoco veniva acceso utilizzando trucioli di legno.
 Tornavano a casa per il pasto principale, che spesso consisteva in minestra e lesso. 

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