Le lavandaie fiorentine

Bagno a Ripoli: Terra di "Curandai" e Lavandaie  

 

Tra i molteplici mestieri che le donne hanno umilmente svolto attraverso i secoli, uno dei più rilevanti è stato il lavaggio dei panni sporchi, sia dei membri della famiglia che, talvolta, dei signori. Documenti contrattuali risalenti alla seconda metà dell'Ottocento testimoniano che nelle comunità rurali, insieme ai doni tradizionali come prodotti agricoli e pollame, i proprietari terrieri occasionalmente imponevano il dovere di lavare e restituire i panni della residenza fiorentina in un ciclo di turni.

Questa pratica non si limitava alle campagne, ma era altrettanto diffusa in città, dove il lavaggio dei panni e della biancheria sporca era da sempre considerato un compito femminile.

L'arte della cura dei tessuti e del lavaggio dei panni è documentata fin dai primi anni del Quattrocento a Bagno a Ripoli, specialmente nella zona di Rimaggio attraversata dal fiume omonimo. Una villa nella zona era popolarmente nota come la "Villa delle Cure", poiché in un edificio annesso continuava fino al secolo scorso l'antica pratica del "curandaio". Questo lavoro consisteva nel rendere i tessuti meno ruvidi e giallognoli, specialmente per quanto riguarda il lino grezzo, attraverso il processo di sbiancamento e ammorbidimento, che includeva anche la sterilizzazione dei panni mediante l'uso di acqua bollente e ranno.
Nelle campagne circostanti, non solo si occupavano di tessuti, ma ci si dedicava anche al lavaggio della biancheria. Dopo l'epidemia del 1630, fu addirittura proibito "mandare i panni a imbiancarsi in campagna senza una specifica autorizzazione del Magistrato" per evitare il rischio che panni infetti potessero diffondere nuove malattie.

Un resoconto industriale del 1768, basato su documenti dei deputati della Lega di Bagno a Ripoli, rivela che questa regione, rispetto ad altre, era fortemente impegnata in questa attività. Qui si lavoravano tele di varia qualità per i commercianti fiorentini, con una media annuale di 280 tele, ciascuna di diverse lunghezze comprese tra sessanta e oltre cento braccia, per un totale di oltre ventimila metri lineari.

Nel 1781, si contavano quindici "curandai" concentrati nell'area del triangolo tra Quarto, Candeli e Vicchio di Rimaggio. Nel corso degli anni, tuttavia, questa attività ha subito un notevole cambiamento. Verso la metà dell'Ottocento, si abbandonò la cura dei tessuti per concentrarsi maggiormente sul lavaggio della biancheria sporca e degli indumenti appartenenti alla borghesia fiorentina. Durante il periodo in cui Firenze divenne la Capitale, questo fenomeno si amplificò ulteriormente. Questa pratica divenne particolarmente evidente lungo il corso dell'Ema, nella zona di Grassina, tanto che nel censimento del 1871 a Bagno a Ripoli venivano contati ben 404 lavoratori (163 uomini e 241 donne). Di questi, 161 svolgevano l'attività in proprio e 243 lavoravano per conto terzi, rispetto ai 339 contati dieci anni prima (112 uomini e 227 donne).
Sia che si trattasse di panni personali o di altri, il ranno, ottenuto attraverso l'ebollizione dell'acqua con la cenere domestica, era ampiamente utilizzato. Questa soluzione veniva versata in una conca di terracotta, con un foro sul fondo noto come "conca da bucato". Il ranno veniva scaldato sempre di più sul fuoco e quindi riversato nella conca, in cui erano stati disposti i panni da lavare. Questo ciclo di riempimento e svuotamento richiedeva un'intera mattinata di lavoro.

Una volta ammorbiditi, i panni venivano estratti dalla conca e riposti in cesti fatti di canne o ramoscelli d'olivo, talvolta anche in un semplice lenzuolo usato come contenitore per il trasporto. Successivamente, si procedeva a lavare i panni nei corsi d'acqua, "sventolando" i lenzuoli e sbattendoli ripetutamente nell'acqua, oltre a sciacquare il resto della biancheria. Questa operazione veniva principalmente effettuata lungo le rive dei fiumi, poiché le aree di lavaggio non erano diffuse in campagna, tranne che in zone in cui il lavaggio dei panni era una vera e propria attività organizzativa.

Sia presso i punti di lavaggio lungo i fiumi che nei viai, i panni venivano strofinati con sapone, principalmente prodotto in casa con grassi animali, pezzi di sugna e soprattutto morchie, a cui veniva aggiunta soda caustica e pece greca. Questa miscela veniva bollita in una caldaia e poi fatta raffreddare in un contenitore basso.

 

Bibliografia:

 "L'Arno in Pian di Ripoli" a cura di Silvano Guerrini 1990, Bagno a Ripoli - Centro Studi sulla Cultura Contadina


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