Quando il «Selvaggio West» giunse a Firenze/1

Quando il «Selvaggio West» giunse a Firenze

di William Urban 
Questo resoconto si basa su articoli di quotidiani italiani ritrovati alla Biblioteca Nazionale di Firenze, dove l'autore rivestì la carica di direttore del programma per le Arti di Firenze dell'Associated Colleges del Midwest nel 1974-75.
 



 

Il «WILD WEST di Buffalo Bill» fece tre tournée in Europa. La prima (1887) fu quella che riscosse il maggior successo e fu limitata alla Gran Bretagna. La Regina e milioni di sudditi britannici si emozionarono e restarono affascinati da William Cody (Buffalo Bill) e la sua compagnia di attori. Lo spettacolo era insolito in quanto tutti gli attori interpretavano se stessi -- solo autentici cowboys, indiani, cavalli selvaggi e bisonti apparivano in scena -- e tutti gli episodi recitati si erano svolti esattamente come erano stati ricostruiti per il pubblico. Incoraggiato dall'accoglienza ricevuta in Inghilterra, IL WILD WEST trascorse il biennio 1889-1890 sul continente, e alcune parti dello spettacolo vi rimasero ininterrottamente fino alla tournée finale del 1893.
Per molti europei questo fu il primo incontro con le storie della frontiera americana. Tedeschi ed inglesi conoscevano il West attraverso romanzi economici e insegnanti, ma, per quanto possa sembrare incredibile, molti altri abitanti del vecchio continente non avevano mai sentito parlare di cowboys e indiani -- e tanti di quelli che ne erano a conoscenza, non ci credevano. Ma impararono a crederci quando Buffalo Bill portò le storie del West direttamente nelle loro città, complete di rudi cowboys, cavalli bradi e indiani che spesso arrivavano difilato dalle prigioni governative dove si trovavano confinati per aver fatto la guerra all'esercito americano.
 
La reazione dei popoli europei al selvaggio West così come veniva mostrato da Buffalo Bill dipendeva dal paese che stavano visitando, ma la risposta fu sempre entusiastica e lasciò un'impressione duratura. Questo fu importante perché dopo di allora la storia del West fu sempre interpretata sulla base della rappresentazione che ne aveva data Buffalo Bill. Anche Hollywood adattò la sua visione del West su quella del WILD WEST in modo tale che la sua influenza rafforzò in seguito quell'interpretazione che era divenuta la norma tra gli europei. Lo Spaghetti Western nacque durante la tournée continentale del 1890, quando il WILD WEST arrivò in Italia.
Malgrado Firenze fosse nel 1890 una città relativamente piccola, era uno dei centri culturali d'Europa. Ricca d'arte ed architettura, si crogiolava nella consapevolezza che lì erano nati il teatro e l'opera, che Dante e Petrarca vi avevano creato la lingua italiana, che Leonardo Da Vinci vi aveva visto i suoi natali e che Galileo avesse insegnato nella sua università, che Michelangelo e Brunelleschi avevano decorato la loro città natale con insuperate opere di scultura e architettura, che abili artigiani e musicisti ancora vi abbondavano e che la cucina e i vini locali erano meritatamente famosi nel mondo. A livello di cultura generale solo Parigi (e forse Vienna, Berlino e Roma) potevano reggere il confronto. Probabilmente nessun altro luogo era in maggior contrasto con la civilizzazione del West americano.
Firenze era una città sofisticata, una città specializzata in esibizioni straordinarie. Era una città che aveva ospitato corse di carri nelle piazze cittadine e costruito vulcani per spettacoli pirotecnici. Decine di migliaia di persone l'affollavano nei giorni di festa, e c'erano sempre turisti a visitare i templi dell'arte e dell'architettura. E proprio perché Firenze era una città sofisticata, e una città che viveva per divertire gli altri, era una città molto difficile per coloro che vi giungevano per portarvi divertimento.
Non sorprende quindi che pochi si mostrarono eccitati quando Buffalo Bill annunciò il suo arrivo a Firenze per l'11 Marzo 1890. Il successo degli spettacoli a Napoli e Roma non aveva raggiunto il pubblico più settentrionale, e i cartelloni pubblicitari provocarono più ilarità che interesse. I suoi annunci, «Sto venendo» generarono con tutta probabilità solo battute del famigerato spirito fiorentino. I giornali erano pieni di notizie sulla politica, sulle attività della famiglia reale, sulla crisi in Africa dove l'Italia stava cercando di stabilire un impero coloniale, e sull'epidemia influenzale. In confronto con la visita della Compagnia d'Opera della Scala di Milano, cos'era un circo viaggiante di americani?

 

Fortunatamente se ne interessò un giornalista chiamato Sigabettaex allievo di Paolo Mantegazza, il famoso patologo, studioso e politico, fondatore del Museo di Storia Naturale di Firenze, fu spinto dal desiderio di vedere gli indiani. Lungo il cammino che lo portava dal suo ufficio a «La Nazione» nel centro cittadino per Il Corso (la lunga strada diritta che una volta serviva alle corse dei cavalli) a Piazza Beccaria (dove erano i resti di una torre delle antiche mura della città demolite negli anni '60 di quel secolo), e svoltando infine a sinistra di un palazzo allo scalo merci ferroviario (trasferito ormai da molto tempo), iniziò a prendere appunti per l'articolo che apparve sull'edizione della sera:
"Questa mattina alle 8:30 giunse da Roma il treno speciale della Buffalo Bill Company. Il lungo convoglio era composto da decine di vagoni per le attrezzature e gli animali e diverse carrozze di prima e seconda classe. In un vagone coperto, vidi la famosa diligenza di Deadwood che così tante volte fu attaccata dai Pellerossa. Un vero oggetto storico.  La vernice screpolata e lo schiacciamento della vettura sui fianchi mostravano le tante avventure che le erano occorse. Ci fu un tempo in cui viaggiare in diligenza da un luogo ad un altro poteva con facilità condurre alla morte. La grande diligenza di cui oggi resta solo una carcassa era trainata da sei cavalli. Fu il primo veicolo utilizzato per le comunicazioni nel West prima della ferrovia.
Il Colonnello Cody (Buffalo Bill) fu tra i più valorosi nella lotta con i Pellerossa e nel dare la caccia ai banditi. In uno dei luoghi attraversati dalla diligenza Buffalo Bill uccise il capo indiano Mano Gialla in un combattimento corpo a corpo. Un nipote di quel capo si trovava alla stazione di Porta alla Croce. Il suo volto recava lo stesso colore che suo zio aveva solo nella mano.
Su un altro vagone, si poteva vedere la casa in legno, con le ruote smontate e senza ciminiera (così da poter passare sotto i tunnel) che serviva da cucina ai selvaggi indiani.
Non v'era nessuno nella stazione quando il treno speciale arrivò ad eccezione di alcuni agenti della compagnia che fungevano da interpreti per i lavoranti. Ma più tardi della gente si raccolse intorno alla banchina di scarico della stazione.
Molti uomini e donne scesero dalla carrozza di prima classe, e tra loro vi era la famosa tiratrice, Annie Oakley.
Poi scesero i messicani, alcuni nei loro costumi, e quindi tutti gli indiani nelle loro pittoresche fogge, avvolti in vivaci coperte (tappeti), con i volti quasi coperti. Essi provenivano da ogni genere di razza -- Sioux, Arapahoe, Piedi Neri, e Ogallala. Poco a poco essi dischiusero le loro coperture e si poté vedere il colore dei loro volti -- rame, dorato, cioccolata. Qualcuno era color d'arancio, altri rossastri, ma per il colore delle guance, abbiamo proprio qui alcune persone civilizzate che potrebbero competere con i più selvaggi.
Uno dei capi indiani mi si rivolse mentre attendeva che venissero aperti i vagoni con i cavalli ed i bisonti: «Per favore, signore, del fumo.» E io quasi capitolai -- gli diedi due sigarette. Vi sono circa un centinaio di indiani.

Il capo dei Pellerossa mi disse che erano molto felici. Hanno solo due donne con loro -- forse questo spiega il perché. «Abbiamo altre donne,» disse, «ma sono tornate a casa.» E a me sembrò che volesse aggiungere «fortunatamente.»
Molti degli Americani che fanno parte della compagnia presero alloggio in vari alberghi. I selvaggi e gli altri si accamparono sui prati della Zecca (N.d.T. Dove oggi si trova la caserma della Baldissera). Per dormire accanto ai loro cavalli.
Si dovrebbe vedere come furono rapidi a far scendere dai vagoni i cavalli, i bisonti, e i muli del Texas -- che sono una meraviglia, grandi due volte i nostri muli. Non necessitarono di alcun aiuto; fecero tutto da soli.
I cavalli vennero fatti scendere con un sistema molto semplice. Quattro cowboys reggevano una piccola piattaforma di ferro tra il vagone e la banchina e i cavalli la discesero di corsa. Quindi ciascun indiano prese con sé uno, due o tre cavalli. Questi sono di statura piccola, giovani e non ferrati.

L'operazione di scarico fu completata in mezz'ora dall'arrivo. Cavalli, bisonti e muli furono liberati dai vagoni e condotti a mano alla rinfusa sulla banchina di scarico della stazione dagli indiani.
La mattinata era limpida e mite. Sotto il sole gli indiani lasciarono in parte cadere le coperte in cui si avvolgevano. Sotto indossavano vesti multicolori, con collane di strana fattura. Alla prima essi sembravano tutti donne. E nel loro aspetto, capirete, donne molto brutte. Capelli lunghi, nerissimi, divisi al centro così da lasciar sgombra la fronte e sciolti sulle spalle. Alcuni acconciati in lunghe tracce, come le portano le nostre donne, legate con nastri colorati, e infine specchietti.
Chiunque si fosse levato presto (se di presto si poteva parlare) e si fosse trovato a passare per Viale Eugenio (oggi Viale Gramsci) o Piazza Beccaria un po' dopo le nove avrebbe goduto di un raro e pittoresco spettacolo.

Terminata l'operazione di scarico, gli indiani saltarono sui propri cavalli, seguiti dai messicani, con i loro calzoni di pelle di bisonte e i loro larghi cappelli, e da qualche cowboy, e questa processione in insoliti costumi, ogni cavaliere oltre alla sua cavalcatura conducendo per le briglie altre due, tre o quattro, si diresse dalla stazione di Porta dalla Croce fino ai prati della Zecca. Tra i cavalli, circa duecento di numero, per metà montati, vi erano i bisonti. Gruppi di cowboys a piedi correvano urlando parole in slang americano. La vasta strada era quasi deserta.
Vi assicuro che, in quella bella mattinata serena, era questo uno spettacolo degno d'esser ammirato da un attore.
In parte perché era un grande uomo di spettacolo, e in parte perché era continuamente a corto di denaro, Cody era un esperto nell'ottenere pubblicità gratuita. Senza alcun dubbio egli fu uno dei più grandi agenti pubblicitari di tutti i tempi. Anche se pochi europei leggevano i giornali, la stampa era comunque il mezzo migliore per raggiungere il pubblico. Per questo motivo, Cody si coltivava i giornalisti, istruendoli e intrattenendoli con storie sul selvaggio West. Dopo un'intervista con Buffalo Bill, un giornalista di solito si precipitava a scrivere un suggestivo articolo sulla celebrità americana che era arrivata in città. Questo articolo apparso nel giorno dello spettacolo inaugurale avrebbe supportato la campagna pubblicitaria che iniziava con manifesti vivaci e si concludeva con una parata per le strade del centro. Come ulteriore incentivo per il giornalista, egli pagava per un annuncio con la promessa di pubblicarne altri (senza dire però che ogni volta sarebbero stati più piccoli finché all'ultimo giorno, ci sarebbe voluta la lente d'ingrandimento per trovarlo).

Chiunque abbia mai provato a «coltivarsi» un giornalista sa che può essere un compito difficile. Come ci riusciva Cody? Be', torniamo a leggere quello che scriveva il giornalista fiorentino de «La Nazione», che pubblicò questa rimarchevole storia sul suo numero del 13 Marzo:
A mezzogiorno una delegazione composta da due indiani, tra i quali c'era il famoso Orso delle Montagne Rocciose, «Rocky», due cowboys e un «trap man» (cacciatore di pellicce) vennero ad annunciare che il colonnello mi avrebbe ricevuto al «campo» nella sua tenda, o nel suo salotto in hotel. Io preferii incontrarlo nel suo salotto in hotel. Lo trovai lì con il suo miglior amico, Crawford, un giornalista americano, ben noto in Inghilterra e in Francia per il suo libro, «La vita degli inglesi giudicata da un americano». Il colonnello William Cody è un uomo molto amabile, dai modi semplici, che veste normalmente ad eccezione del suo grande cappello verde ripiegato alla maniera dei cowboys del Texas. Buffalo Bill rassomigliava nei tratti principali del suo volto, nel suo sguardo, nella lunga capigliatura e perfino nella sua statura, ad un uomo famoso, amato in tutta Italia, il Professor Paolo Mantegazza. Egli possiede la sua stessa vivace espressione temperata dalla dolcezza, e quasi lo stesso tono di voce. L'onorevole Mantegazza mi onorò di un'amicizia al di là dei miei meriti e quindi lo ricordo con profonda venerazione. E oggi, avendo parlato con Buffalo Bill, ebbi l'impressione di parlare con qualcuno che già conoscevo. La somiglianza, lo ripeto, è impressionante, eccetto che Buffalo Bill è molto più alto.
La vita del Colonnello William Cody... E qui mi fermo. Il Colonnello è un Generale ed un Generale di Brigata dell'Esercito dei Volontari. E come tutti gli uomini famosi degli Stati Uniti, ha esercitato le più varie professioni. «Capite,» mi disse questa mattina, «che il Presidente Garfield fu carrettiere, marinaio, insegnante universitario, soldato; io fui mandriano, guidatore di diligenze, corriere del Pony Express quando non vi era ferrovia all'Ovest. Andai da Red Bluff a Trucky, una distanza di 73 miglia (122 chilometri) un tragitto lungo, pericoloso e solitario, e dovetti guadare il North Platte River che era largo 730 iarde (800 metri) e, nonostante non fosse profondo, toccava in certi punti i tre metri. Facevo 15 miglia (24 chilometri) all'ora a cavallo, compresi i cambi di monta e il tempo per rinfrescarmi. Una volta, arrivando a Trucky, seppi che il corriere che doveva percorrere la seconda tappa, che era di 83 miglia (138 chilometri), era stato ucciso la notte prima. Mi chiesero se ero disposto a fare il suo tragitto. Accettai, e raggiunsi Rocky Ridge nel tempo previsto. Feci 318 miglia (531 chilometri) senza fermarmi se non per mangiare e cambiare cavalli. E quella fu la più straordinaria cavalcata mai effettuata dal Pony Express.»

Buffalo Bill non rassomiglia affatto ai grandi manifesti di lui che vediamo intorno. In quelle immagini, egli ha l'aspetto di un feroce cavadenti, mentre, lo ripeto, il suo portamento, la sua sembianza sono di assoluta semplicità e gentilezza. Egli non parla o comprende altra lingua che l'inglese, ma l'articola con grande correttezza, persino con lentezza. Forse un atto di cortesia verso il suo ascoltatore.

Gli domandai della sua giovinezza.
«Ah,» mi rispose, «mi ero interrotto. Avevo cominciato a discorrere della mia vita, e subito ero passato a raccontare delle mie cavalcate, di cui si fa un gran parlare in America. Guardate.» Mi mostrò una copia di «Storia della Prateria» di Buell, alla pagina che parlava della cavalcata fatta da Cody nella sua giovinezza. Richiuse il libro con una certa mestizia e disse, «Sono nato a Scott, nello stato di Iowa (non disse quando, ma il colonnello appare essere oltre la metà del numero di anni trascorsi del nostro secolo). Mio padre, Isaac Cody, emigrò alla frontiera del Kansas. Restò ucciso nelle guerre di frontiera quando ero un ragazzo. Inutile parlare di quella guerra -- tutti conoscono la storia. I bianchi si uccidevano l'un l'altro nella disputa del territorio. I Pellerossa volevano massacrare i bianchi che cercavano di occupare le loro terre, per portarvi la civilizzazione. Io crebbi durante quelle guerre. Fin dalla giovinezza fui abituato a cavalcare e all'uso delle armi da fuoco. Accompagnai il Generale Albert Sydney Johnstone nella sua spedizione in Utah; fui la guida di un gruppo di emigranti; cacciavo per vivere, e mi misurai con alcuni professionisti, tra cui vi fu Comstock, nella caccia al bufalo. In una gara uccisi 69 bufali. Comstock ne uccise solo 46. Feci lo scout per il 5° Reggimento di Cavalleria, allora comandato dal Generale A. Carr. E potrei mostrarvi in qualche libro il mio nome nella storia delle imprese militari di quel reggimento. Ma voi avete fretta... Vi dirò che fui capo scout, con l'ordine di proteggere la costruzione della Union Pacific. Quando fui incaricato di fornire carne agli operai che erano occupati alla realizzazione della Kansas Pacific, uccisi 4862 bufali in una stagione. Il soprannome di Buffalo Bill mi viene da quello. Bill è il diminutivo di William.»

A questo punto, all'apparenza Cody ha già ipnotizzato ben bene il suo ascoltatore. C'è stato un momento o due quando quasi se lo è perso, come si può capire leggendo il testo in italiano che qui è tradotto, come quando iniziò a sorvolare sulla sanguinosa guerra del Kansas o quando fu tentato di soffermarsi sul 5° reggimento. Ma Cody sorvegliava il suo intervistatore e gli raccontava il tipo di storie che lui chiaramente era desideroso di ascoltare. Inoltre, egli o Crawford verificarono che tutti i nomi fossero scritti correttamente, e laddove la lingua italiana mancava di un termine, esso veniva generalmente lasciato in inglese, nell'aspettativa che il genere di lettore de «La Nazione» lo avrebbe presumibilmente compreso. E questo era probabilmente giusto -- solo una minoranza ben istruita avrebbe mai comprato un giornale. Ma quel genere di persona acquistava anche i posti più dispendiosi. L'intervista continuò:
Qui Buffalo Bill mi diede una copia del New York Herald, su cui vi era un lungo articolo in sua lode del famoso generale che aveva a lungo combattuto contro i Pellerossa, A. Carr. Me ne tradusse un passaggio. Questo era quanto diceva di Buffalo Bill:
«Ha dimostrato di essere modesto e senza pretese. E' un gentiluomo per azioni e per carattere. Non ha niente del tipico uomo di frontiera. Sa come mantenersi dignitoso quando necessario, e non si è mai sentito che abbia usato il suo coltello o il suo revolver, o si sia mai immischiato in una rissa se poteva evitarlo. La sua abilità nel seguire le tracce dei Pellerossa, o nella caccia, o nel rintracciare animali smarriti è straordinaria. Nell'estate del 1876 Cody mi accompagnò sulle Black Hills dove egli uccise Mano Gialla.»
Chiesi al Colonnello (dovrei dire Generale Cody ma mi attengo al suo abituale titolo) di parlarmi della sua lotta col capo in testa dei selvaggi, con Mano Gialla. Un capo chiamato mano -- afferrate l'arguzia?
Il Colonnello mi rispose molto semplicemente. «I Generali Merritt e Carr, di cui io ero lo scout, avevano compiuto prodigi di valore contro le tribù ostili. Improvvisamente giunse la notizia della distruzione della colonna comandata dal valoroso comandante, Custer. Gli indiani ne vennero a conoscenza, e dopo una tale audace azione non si poterono più trattenere; non usarono più cautele. Pensarono di poter compiere qualunque impresa. Il Generale Merritt seppe che un centinaio di guerrieri Cheyenne erano a Red Cloud, pronti ad unirsi al Capo Toro Seduto a Big Horn. Il Generale Merritt, seguendo il mio consiglio, decise di attaccare i selvaggi e sconfiggerli prima che potessero unirsi agli altri. Il 17 Giugno 1876, fui mandato in avanscoperta per vedere se i selvaggi avessero già guadato il fiume. Non trovando alcuna traccia, proseguii la ricerca. E salendo su una collina, scorsi alcuni indiani che avanzavano verso il nostro accampamento, separandosi dagli altri. Proposi un'imboscata al Generale. Gli indiani arrivavano al galoppo. Io mi tenevo pronto con 15 uomini e aprii il fuoco. Tre caddero morti. Gli altri tornarono al galoppo alle loro file.
In seguito un corpo d'armata fu inviato incontro agli indiani. Li trovammo nelle vicinanze, e gli indiani ci superavano di gran lunga di numero. D'un tratto li vedemmo separarsi, e un indiano coperto di ricchi ornamenti, avanzò per diverse iarde. Era a cavallo e armato di un fucile Winchester. «Io ti conosco,» mi disse. «Pa-he-has-ka» (la parola indiana per lunghi capelli). «Tu sei un grande capo. Hai ucciso molti indiani. Io sono un grande capo. Ho ucciso molti bianchi. Vieni a combattermi.» «'Sono pronto, urlai.»
E qui Buffalo Bill fu totalmente calmo e solenne, la matita con cui stavo prendendo nota si era consumata ed egli senza distrarsi infilò una mano in tasca e me ne tese una senza interrompersi.
«Io mi batterò con te,» dissi, «se gli indiani e i bianchi rimarranno a distanza ad osservare il capo Pellerossa e me batterci coi fucili.» Le nostre truppe e gli indiani avanzarono fino a controllare la posizione e restarono immobili. Io avanzai di una cinquantina di metri verso il mio avversario, ed entrambi caricammo alla massima velocità. Aprimmo il fuoco. Il cavallo dell'indiano cadde ferito, e il mio mise la zampa in una buca ed affondò. Mi rimisi in piedi a venti passi dal mio avversario. Riaprimmo il fuoco quasi nello stesso momento. Ma l'indiano mi manco, mentre io lo colsi al petto. Quando fu a terra, estrassi un coltello e gli tagliai dallo scalpo il piccolo ornamento di piume che portava. Fu il peggior insulto che potessi fare a quel selvaggio, il più grande segno di vittoria. Tutti i selvaggi si mossero allora per farmi lo stesso trattamento, ma il Generale Merritt aveva già dato ordine alla cavalleria di coprirmi.»
Gli indiani sono quasi tutti cattolici. Buffalo Bill mi disse «I loro sacerdoti gli hanno parlato del Papa, e della magnificenza del Vaticano. Il Papa li ha ricevuti, ed essi ne furono entusiasti.»
«E voi siete cattolico?» chiesi.
«Io non seguo nessuna particolare religione. Credo in Dio.» «Gli indiani che sono con me,» aggiunse, «sono tutti prigionieri del governo degli Stati Uniti, e a me affidati, sotto la mia vigilanza.»

A questo punto l'intervistatore smise apparentemente di prendere nota. Cody continuò a parlare della sua vita, e di come fosse divenuto attore -- per la necessità di guadagnarsi da vivere. Il giornalista italiano concluse la sua descrizione di Cody, commentando che se Cody poteva da politico diventare attore, probabilmente molti altri politici potevano fare lo stesso. E vi è più di un accenno nel modo in cui lo scrisse, che indica che lui sarebbe stato lieto se qualche uomo politico avesse cambiato professione.
Più tardi in quel giorno il giornalista si recò sui Lungarni, passata la Basilica di Santa Croce, fino ai prati dove era stato eretto l'accampamento appena sotto il quartiere fieristico di Porta alla Croce (ora un sobborgo sul lato ovest di Piazza Beccaria). Scrisse: 
Circa alle tre, mi recai in visita ai Prati della Zecca. Entrai nell'accampamento e chiesi di Buffalo Bill. Egli passeggiava preoccupato nella sua tenda. M'invitò ad entrare. Vi erano appese fotografie in gran quantità, cioè, appese alle pareti. Ne vidi una fra di esse di Rosa Bonheur con una dedica al Colonnello. Ella aveva fatto uno studio sul suo cavallo bianco che voleva dipingere perché lo considerava un meraviglioso modello d'equino. Il Colonnello Cody mi mostrò i suoi diplomi - la sua nomina a Generale di Brigata, la sua qualifica di membro della Massoneria. Egli è anche un Cavaliere Templare dei Cavalieri della Legion d'Onore.
In un'altra tenda v'era il tesoriere della compagnia -- Mr. Jules Keen. Il forziere si trovava al centro della tenda, con uno scrittoio dietro di esso. Il tesoriere, un grasso, giovane americano dell'ovest, aprì la cassaforte. Non conteneva che sigarette.
Entrai nelle tende dei cowboys. Lungo i lati di ciascuna tenda vi erano due o tre lettini di ferro e un tavolo al centro. E immagini di ogni sorta -- il Papa, Mazzini, Re Umberto, il Principe di Napoli, Garibaldi, e il Sacro Cuore.
In una tenda separata dalle altre, venivano preparate le pallottole e le cartucce per le sparatorie. La cabina che serve da cucina è in un vagone. Entrai in due tendoni che fungevano da sale da pranzo, una per i cowboys, messicani ed americani, e l'altra per gli indiani. Gli indiani mangiano carne e pane come noi, solo tre volte tanto. Un uomo si preparava la bistecca di manzo per la sera. Altri due stavano cucinando così tanto montone da far pensare che avrebbe potuto sfamare mezza città. Ieri tra indiani ed americani si sono mangiati una mucca intera. Essi consumano manzo, montone e latte tre volte al giorno.
I cavalli sono tenuti sotto grandi tende, sessanta per ciascuna, e sono ben curati. Oggi lavarono 200 cavalli uno ad uno. I bufali si trovano in un recinto all'aria aperta.
Gli indiani selvaggi stanno in cinque o sei per tenda, come sulle montagne o nelle praterie del loro paese. Le tende dei loro capi sono dipinte con disegni di cavalli ed uomini -- come quelli fatti dai bambini -- e appeso sull'ingresso v'è un cappello a guisa di coda formata da tante penne d'uccello colorate e pelli di altri animali. Il cappello viene indossato ogni volta che si lascia la tenda. Essi dormono all'interno della tenda su una specie di divano. In ogni tenda, si trova un focolare di carboni ardenti, e vi fa più caldo che nelle nostre case, anche di quelle ben riscaldate.
Una delle tende è della celebre Miss Oakley. Essa proviene dall'Ohio. E' molto educata. Ed è una delle più grandi tiratrici mai conosciute -- un prodigio. Ella dice che uno dei suoi trucchi è questo: lanciare due palle con una mano e colpirle con tutti i proiettili del fucile che può sparare con l'altra.

 

Quando il «Selvaggio West» giunse a Firenze, Parte seconda


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