Pape Satan, e la cabala dantesca

Pape Satàn, pape Satàn aleppe

I

William Blake, Satana, il Peccato e la Morte

Tra le bizzarre novelle pubblicate recentemente da A. van Gennep sotto il titolo: Les Demi Savants (1), ce n'è una, La Langue N. 22, in cui l'autore fìnge che la polizia parigina abbia arrestato un personaggio misterioso, il quale parla un linguaggio che nessuno comprende.
Dopo vari tentativi: «fate venire l'interprete di czeco!» ordina il commissario. — «Lo capite?» chiede all'interprete, dopo che questi è stato a sentire il vagabondo.
— No, signor commissario.
— Chiamatemi l'interprete dell'ungherese.
Ma anche questo non ne sa cavar nulla. E sfilano gli interpreti d'abissino, d'algonchino, di cambogiano, di lappone e di altri linguaggi straordinari, sempre con lo stesso risultato.
Qualcosa di simile è avvenuto per il verso celeberrimo che Dante fa pronunciare a Plutone con la voce chioccia. Se non proprio all'algonchino e al lappone, si ricorse e si ricorre via via alle lingue più disparate, antiche e moderne, per decifrarlo.
Senonchè, la storiella sopra ricordata è, come si dice, a lieto fine: dopo molte discussioni e indagini e congetture da parte di dotti e attraverso più peripezie, si trova per caso che il vagabondo parla il gergo usato dai galeotti olandesi alla Guiana. Nel caso nostro, invece, perdura il mistero.
Quel verso forma, come disse il Blanc, la vera croce dei commentatori; tanto che quasi si è tentati di rivolgere a Dante medesimo il rimprovero ch'egli muove a Pisa: Non dovei tu i figliuoi porre a tal croce (2).

E nota l'interpretazione scherzosa che ne diede il Porta nella sua traduzione, o parodia, del canto VII dell' Inferno: Ara bell'ara discesa Cornara, che è il primo verso d'una cantilena popolare milanese, ancora in uso tra i ragazzi quando fanno certi giuochi; e quell'altra, proposta pure per burla, secondo la quale si mise il verso in relazione colla formula: Ale, ale, indovina quel ch'egli è, adoperata quando si mette avanti qualche cosa oscura e difficile a indovinarsi. «Chi sa che qualcuno, pigliando materia da tante contraddizioni, e fermandosi in quell'aleppe, lo abbia accorciato in alè, proponendo giusto d'indovinarne il significato, e facendo giusto quella domanda alè, la quale poi passasse in proverbio? (3).
Meno nota è la spiegazione scherzosa riferita da Agostino Palesa, uno studioso padovano del secolo scorso, in una delle sue postille al Poema (4): « Leggevo questo verso e i vari commenti ad esso, mentre era presente mia moglie, la quale interrompendo quella noia, diceva: Ma son pure balzani cervelli questi uomini che perdono il tempo loro su questo verso! Neppure uno ci tira vicino! Che vanno a cercare nella lingua dell'altro mondo? Caro mio, la lezione è errata e noi vedono, la spiegazione è piana e non la sentono. Questo verso si deve leggere:
Pape 'l Satan, pape 'l Satan a leppe, ed è tolto, meno il nome, dal dialetto nostro guasto dei fanciulli, o meglio dalla lingua de' bimbi. Senti: Pape 'l è il ciapelo — piglialo — 'a leppe è il volgare a sleppe, a schiaffi. Ecco il tuo verso: Prendilo, Satan, prendilo, Satan, a schiaffi.
Vedi che consolazione per il povero Dante! e infatti egli ha paura di quelle manacce, e il dottore gli dice, a confortarlo, non farti paura; sebbene è forte, pure la vinceremo e andremo avanti».

Pare invece che facesse sul serio Benvenuto Cellini, quando narrava come, trovandosi un giorno al tribunale di Parigi, il giudice, infastidito dallo strepito della folla che vi si accalcava, gridò: Paix, paix,
Salan! paix, paix, Salan! allez paix. La quale sortita, egli dice, gli fece balenare alla mente il vero significato del grido di Plutone.
Certo è che la trovata del bizzarro artista fece fortuna. Parecchi dantisti vi si aggrapparono come ad una tavola di salvezza e la fecero propria, o almeno la misero a base delle loro interpretazioni, quali sono le seguenti:
Paix, paix Satan! paix, paix Satan ! à l'épé.
Pas paix, Satan! pas paix, Satan! à l'épe.
Pas paix, Satan! pas paix. Salati! à l'épais;
(il quale ultimo à lépais dovrebbe voler dire: «diamo addosso al denso !», cioè al Poeta, che è col suo corpo fra le ombre) (5).
Pas paix, Satan, pas paix, Satan: allez, pas paix (da allez, pas paix, nota il proponente,  per via di sincope, o meglio di metaplasmo, si giunge ad aleppe» (6) Altri, pure attenendosi alla lingua francese, escogitò un Paye ca tant, paye ca tatt: allez paix!
«pagate questo tanto, pagate questo tanto, e andatevene in pace! », osservando che in alcuni manoscritti il secondo P di pape è «evidentemente» un Y, e che «Pluto è il dio delle ricchezze, e quindi esigeva dai viaggiatori un pagamento» (7).
Altri ancora mettono in campo altre lingue moderne. Secondo A. Valgimigli, aleppe è nient'altro che help(e) (inglese per aiuta), e il verso viene a dire: «Padre Satana, padre Satana, aiuta! »(8).
G. B. Carli ricorre al provenzale, e legge e traduce: alle pe, «allez en paix», formula con cui il primo presidente licenzia il parlamento in Provenza, dopo aver detto : fa temps, cioè Sa Ta (Satan), che significa pertanto: « è oramai tempo». Ad ognuno poi è noto — prosegue — che tanto dagli uscieri, quanto nell'uso comune, allorché si vuole imporre silenzio, si dice:
paix paix (pe, pe). Pape e Satan sono storpiature degli amanuensi (9).
A una licenza poetica da parte di Dante pensa invece G. B. Colosio(10). Il poeta scrisse Aleppe in luogo di alleppa, per rimare col seppe del terzo verso. Quanto a Pape, è Papa, o Papà; e il tutto significa:
«Padre Satana, padre Satana, alleppa » (cioè affrettati; è sottinteso: a rapire Dante e Virgilio). Il medesimo significato di «affrettare, correre, volare» ha tuttora questo verbo, osserva un altro interprete, sulla bocca del contado orvietese (11). E a forme vernacole ricorrono Michele Amari, che ricostruisce il verso così, in una sua lettera a L. Vigo: « Satanasso, alippate, alippate, andatevene ài diavolo» (12), e più recentemente E. Ravazzini (13), per il quale aleppe «è precisamente e finitamente quell'ale' dell'ordinario intercalare modenese»; tanto è vero che, «sopprimendo in aleppe i due p di mezzo, ne resta chiara e tonda l'ale' o alee' apostrofato per indicare appunto che si sono omesse le due p». Ma aleppe consta di due parole: ale e pie o pe' (troncamento di piede) vien dunque a significare: ale ai piedi, su via, presto.
Altri ravvisò in aleppe un imperativo greco (ungiti), e tradusse: «Su, o Satana, su, o Satana, ungiti per la lotta, apparecchiati alla lotta» (14). Poteva addirittura notare il riscontro con l'espressiva apostrofe meneghina: va a vonget! Né mancò chi scorgesse nel verso un anagramma cabalistico. Il Picei lo trascrive e interpreta a questo modo:
PApe saTAN, PApe saTAn Aleppe: «pesa, pesa tanta pena pel Papa»; mentre c'è chi preferisce la versione: « Del papa l'avversario, del papa l'avversario fugga via di qui »(15): e già vedemmo come lo intendessero, riferendolo similmente al Papa, Garibaldi e il Rossetti (p. 137) e, basandosi sull'arabo, il P. Gabriele d'Aleppo, il P. Bottagisio, A. Scarafoni e P. Lucchetti (p. 87), il quale ne aveva già data quest'altra interpretazione ch'egli chiama «scientifica»:
«Fuoco di Satana, fuoco di Satana, lanciati su costoro, e colle tue infocate lingue li dardeggia » (16).
Scientifica o no, è certo molto lunga, e fa pensare che Dante abbia scritto il verso con lettere mozze.
Che noteranno molto in parvo loco.
{Par. XIX, 134)
E lunghetta è pure quella già proposta dall'abate Lanci: «Ti mostra Satanasso, ti mostra nella maestà de' tuoi splendori, Principe Satanasso»; e questa, più recente: «Poffardio Satana! Poffardio Satana, dei vagabondi che s'inoltrano a questa volta!» (17) le quali arieggiano, almeno nella prima parte, queste altre: «Capperi Satanasso, capperi gran Satanasso!... così poco sei tu rispettato !» (18).
«Ah! Satana, ah! Satana; un gran disordine è avvenuto» (19) E ci par che basti per mostrare che «un gran disordine» c'è anche tra gli interpreti del celebre verso. E a chi ne vuol sapere la ragione, la diremo con la sentenza d'un critico, la quale è davvero quello che i giornalisti chiamano un «per finire»:  « Il valore della parola Satana non è noto ai cristiani posteriori al terzo secolo: ecco perchè il famoso Pape Satan aleppe non è stato capito!» (20).

Pluto immaginato da Gustave Doré

II
Ma la cabala, che abbiam visto or ora far capolino nell'esegesi del tanto travagliato verso, nonché nelle questioni del Veltro e all'arco sesto per opera del Rossetti e d'altri (p. 53 segg.), ha un posto ben più importante ancora nell'opera dantesca, secondo alcuni studiosi di essa. A proposito appunto dell'arco sesto si vide come, a giudizio di P. Petrocchi, Dante raffiguri nel numero 6 il concetto di «giustizia». Ma una tale figurazione simbolica non è un privilegio di questo solo numero; ognuno ha la propria e ben distinta:
L'uno rappresenta l'unità del mondo, l'unità della fede, dell'impero, della volontà, ecc.
Il due rappresenta la linea, la scienza, il ragionamento discorsivo, la distinzione, il contrasto. Il quattro rappresenta la sensazione, la cognizione, il tetragono, le cause generatrici delle cose, la giustizia, il principio della natura eterna.
Il quattro è adoperato nelle due cantiche 10 + 17 volte; e in tutto il poema 28 (4 X 7). 
Il cinque rappresenta i corpi naturali e fisici, la qualità, il colore, e alle volte anche la giustizia, il matrimonio e la luce.
L'otto non è che il raddoppiamento del quattro. Finalmente il numero cento è rammentato 17 volte (10 + 7) (21).
Inutile parlare dei numeri 3, 7, 9, io, perchè il 7 e il 10 furon considerati come numeri simbolici fin dall'antichità; si sa poi che «il tre e il nove regolano tutta la visione e la poesia della Commedia » (22).
Del resto, nota ancora il Petrocchi (p. 27), nel Poema la parola tre ricorre 78 volte, cioè a dire 26 volte 3. Il suo multiplo, cioè «il numero nove è la stessa cosa che Beatrice » (23).
Un altro che studiò i numeri nel divino Poema (24), a dimostrare che Dante «aveva in mente quel fattore primo 61 », osserva: Il proemio della Commedia finisce col verso 62: «Dinanzi agli occhi mi si fu offerto»; consta dunque di 61 versi. Il numero dei versi del Paradiso è uguale a 4758, il quale, ridotto ai suoi fattori primi, ci somministra l'equazione 4758 = 2 X 3 X 13 X 61.
I 9 primi canti del Paradiso formano il racconto di tutto il viaggio ai tre pianeti inferiori. Il numero dei versi di questi canti è 1281 = 3 X 7 X 61.
Il viaggio ai quattro pianeti superiori incomincia col e. X e finisce al verso 99 del e. XXII (Poi come turbo, ecc.).
I versi dei canti X - XXII, coi 99 del XXII sono 1830 = 2 X 3 X 5 X 61.
Nel Purgatorio i 7 primi canti ci somministrano il quadro esatto di tutto il primo giorno di viaggio. I versi ammontano a 976 = 2X2X2X2X61.
E conchiude :
«Delle proprietà allegoriche del 61 è facile rendersi ragione, osservando che quel numero è in certo modo analogo del 9. Difatti il 9 è uguale alla differenza fra 25 e 16, che sono i quadrati del 4 e del 5, e il 61 è uguale alla differenza fra 125 e 64, che sono i cubi del 4 e del 5 ».
Ma c'è di meglio: il Paradiso ha 4758 versi; il Purgatorio 4755. E ragionevole credere che Dante volesse dare lo stesso numero di versi ai due poemi; ma non che volesse lasciare questa differenza di una sola terzina. Inoltre 4755 è uguale a 3 X 5 X 31 7 e questo fattore primo 317 «è numero che non risponde a niente».
Pertanto «non v'è dubbio» che in tutti i codici è stata omessa una terzina del Purgatorio.
L'autore suggella la sua indagine con questa dichiarazione finale: «scrivo per quelli che sono amici del progresso». Gli amici del progresso hanno risposto all'appello; e siccome il progresso non conosce delimitazioni né di confini né di lingua, il primo a rispondere fu appunto uno straniero, il quale, discorrendo nell'anno seguente della Vita Nuova, tra l'altro dimostrò che il verso «Guardami ben; ben son, ben son Beatrice» è come segnale e faro a mezzo il c. XXX del Purgatorio, di cui è il 73° — ogni cifra del qual numero è di valore sacro, e la loro somma forma il numero perfetto 10 — mentre il canto è di versi 145: dunque, 72 prima e 72 dopo: ora 7 + 2 è uguale a 9, altro numero sacro.
Anche la somma delle sue cifre: 3 + 0, dà 3; esso canto è il 64° del Poema: cioè 6 + 10, pure numero sacro; e dietro a se ha canti 63 (6 + 3 = 9) e innanzi canti 36 (3 + 6 = 9) (25).
Quattro anni or sono E. Comello, in un opuscolo dedicato Agli studiosi della « Divina Commedia » (28), annunciò loro che «il crittogramma dantesco del cinquecento dieci e cinque è finalmente spiegato».
Infatti se lo chiamiamo Enricus septivius Lucenburgi imperator romanus, e diamo alle singole lettere il valore numerico risultante dalla loro posizione nell'alfabeto di 24 lettere (a=1; b = 2; c = 3, ecc.), ne risulta che il suesposto titolo consta di 4 E = 20; 2 N = 26; 5 R = 85, ecc., che sommate danno 515. Fatta cosi la spiegazione, essa, conchiude modestamente l'autore, «sembra l'uovo di Colombo».
Si vedano ancora rispettivamente gli opuscoli di M. A. Rossotti e A. S. Pavanello: I numeri e le forme geometriche in Dante (27) e: Come Dante chiama Virgilio, ecc. (29) (in questo, tra l'altro, si dice «non casuale» il numero delle volte che Virgilio è indicato «col suo​ vero nome», numero che l'A. calcola nella modesta cifra di 33) — e si conchiuderà che la cabala promette di prendere, in un tempo non lontano, una parte cospicua nel campo della critica dantesca.

(1) Paris 1911
(2) Cfr. il bell'articolo di E. Galli, Le peripezie d'un verso dantesco (in Riv. d'Italia, 1908, p. 617).
(3) Ferrazzi, V, 75.
(4) Sono pubblicate nel Giorn. Dani. 1895-96, p. 443-44.
(5) Cfr. Galli, 1. cit.
(6) C. Vigliecca, Satana e l'invettiva di Pluto, ecc. Oneglia 1899.
(7) Galli, 1, cit.
(8) Di una nuova interpretazio7ie del verso: Pape Satan, ecc. (in Fanf. della Dom. 1892, n. 45).
(9) Indole del teatro tragico.
(10) Pape Salan, ecc. Milano 1896.
(11) G. Torguati, Collegamento al primo verso del c. VII dell'Inferno, ecc. Roma 1893.
(12) Cfr. N. Vaccalluzzo, Appunti Danteschi (in La Fiamma, Roma II, 1. 1900 (V. il 11° appunto).
(13) Vocaboli della Div. Commedia spiccali col volgare modenese, Sassuolo 1889.
(14) R. Benini Pape Satan, ecc. Pavia 1905.
(15) Cfr. Galli, 1. cit.
(16) Pape Satan, ecc. Saggio d'interpretazione scentifica della Commedia, ecc. Milano 1894.
(17) D. Walter, San Pier d'Arena 1899.
(18) G. DI Cesare, Note a Dante, a cur di R. Castagna, Città di Castello 1894, p. 67,
(19) M. A. Garrone, in giorn. Dante 1908, p. 229.
(20) G. Kremmerz, il libro degli arcani maggiori (in Luce e Ombra, marzo-aprile 1909, p. 142).
(21) Del numero nel poema dantesco Roma 1901.
(22) Carducci, 1. cit.
(23) D.r Peompt, in Giorn. Dant. 1894-95, pp. 63 segg.
(24) Così s' intitola uno degli Studi sulla Vita Nuova di Dante di G. G. Curcio (in l'Alighieri, 1892, p. 287).
(26) J. Earle, Dante's «Vita Nuova» (in Quart. Rev. luglio 1896, pp. 24 segg.).
(27) Casale 1908, pp. 3.
(28) Pisa 1900, pp. 30.
(29) Mantova 1905, pp. 20. Qualche saggio di simili calcoli, ma con più discrezione, già aveva dato F. Mariotti (Dante e la statistica delle lingne). Si veda per es. a pag. 25, dove rileva che Dante esprime con 21 parole né più ne meno la natura dell'animo invidioso {Piirg. XIV, 82-84).

Tratto da Paolo Bellezza [Treccani], Curiosità Dantesche, Milano, Hoepli, 1913
 

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