L'arte di falsificare l'arte è molto antica.
Spesso si paga più la menzogna dell'errore, un pittore onesto che dipinge come sente, dura fatica a vendere il suo quadro, mentre quello che imita e copia bene l'antico fa buoni affari. Nel Rinascimento i casi di falsificazione furono frequenti.
Persino di Michelangiolo si narra che, avendo scolpito il Cupido dormente, lo tenne sotto terra per venderlo di più quando avesse preso il colore dell'antico. Uno scultore sostenne che quella scultura ha dei segni fatti col l'evidente intenzione di simulare un restauro; segni, aggiunse, così bene eseguiti, che non possono essere se non di Michelangiolo.
Giulio Romano, Giove (dettaglio con amorino forse ispirato al Cupido di Michelangelo)
E' uso dei falsificatori fare i segni del restauro per isviare il giudizio; così una placchetta del Moderno, rappresentante una Crocifissione, fu alterata e se ne fece un ratto delle Sabine, e per dargli maggiore autenticità, vi si aggiunsero le parole RAPT (us) SAB (inarum); lo stesso si fece con un bronzo posseduto dal Louvre e rappresentante originariamente l'incarcerazione dì San Pietro: si tolsero le ali agli angeli, e passò per opera pagana. Qualche cosa di simile sarebbe anche venduto al San Pietro della Basilica Vaticana, il quale sarebbe una statua romana trasformata o fusa col metallo di un Giove.
Il giudizio degli autori, intorno all'autenticità delle opere d'arte, è molto vario. La Tazza Farnese del Museo di Napoli è antica per alcuni; per altri sarebbe una contraffazione moderna. Anni fa il Berenson giurò che il famoso Sposalizio del Perugino, da Raffaello parafrasato nel suo Sposalizio di Brera, e dal Museo di Caen posseduto e tenuto come un Perugino indiscutibile e inestimabile, fu dipinto dallo Spagna, non già dal maestro del Sanzio.
Perugino, Lo sposalizio della Vergine databile al 1501-1504
conservato nel Musée des Beaux-Arts di Caen, in Francia.
Il Museo Poldi-Pezzoli di Milano possiede una cassetta intagliata da Giovanni Dupré scultore senese morto venti anni or sono; ma acquistata dalla marchesa Poldi come lavoro antico, anzi come intaglio di uno dei Del Tasso, famiglia di celebri intagliatori fiorentini (XV-XVI sec.) su disegno del Cellini! La marchesa, trovandosi un giorno a Firenze, capitò nello studio del Dupré. e parlandogli della cassetta che possedeva a Milano, glie la descrisse e vantò come opera d'uno dei famosi Del Tasso; il Dupré nicchiò, pare, un poco; ma poi confessò che quel lavoro era suo. La nobil donna rispose: "Non importa anzi ci ho gusto".
Altrimenti si comportò il conte di Niewerkerke. preposto alle Belle Arti sotto Napoleone III, quando. all'Hotel Druot celebre casa di vendita, comprò un busto bellissimo, rappresentante — gli dissero — il poeta cinquecentista Gerolamo Benivieni.
Era, viceversa, la testa di un sigaraio fiorentino. Giuseppe Bonaiuti. detto il Priore, modellata da G. B. Bastianini di San Domenico, presso Fiesole. La scultura fu pagata 13.600 lire: ma il povero autore ne intascò soltanto 350. Il Niewerkerke, fatto l'acquisto, fece battere la gran cassa sui giornali; e quando si presentò il Bastianini questi ebbe un bell'addurre prove e testimonianze per rivendicare l'opera sua: il conte non volle credergli, per poco non gli diede del pazzo, e mori a Lucca, nel 1892. impenitente.
Busto del poeta Girolamo Benivieni per Giovanni Bastianini (1830 - 1868)
Lo stesso Bastianini. valente imitatore della scuola fiorentina che ebbe fra gli altri maestri il celebre Desiderio da Settignano. modellò un altro busto, quello di Girolamo Savonarola, che fu creduto opera del XV secolo e fu pagato 10.000 lire -- ma non all'autore, il quale ne ebbe sole 500. — Un altro suo busto, rappresentante Lucrezia Donati, tu attribuito a Mino da Fiesole. Nel 1865 all'Esposizione d'arte antica, una cantastorie dello stesso Bastianini fu spacciata, nonostante le proteste dell'autore, come squisita scultura del secolo XV: ed anche oggi molti Musei, sotto nomi reboanti, offrono al pubblico delle opere dello scultore toscano.
Busto di Lucrezia Donati
Anche il Louvre sarebbe ingannato con la famosa Vergine delle Rocce di Leonardo, se è autentica quella della Galleria nazionale di Londra; e l'inganno sarebbe di quest'ultima, se la vera Vergine leonardesca è quella di Allori, presso Milano, messa in evidenza dal Sant'Ambrogio.
La prima versione della Vergine delle Rocce di Leonardo da Vinci, databile al 1483-1486
conservato nel Musée du Louvre di Parigi,
La seconda versione della Vergine delle Rocce di Leonardo da Vinci,
databile al 1494-1508 conservato nella National Gallery di Londra
Londra, se non può andar superba di possedere l'autentico Leonardo, può vantarsi di alcuni bei Botticelli; ma tra questi ve ne uno falso. l'Assunzione della Vergine, che sarebbe non del Botticelli, ma del Botticini.
II dar giudizio sopra le cose d'arte antica è difficilissimo, e disgraziatamente oggi la critica è coltivata da eruditi, letterati, avvocati ed archivisti che non posseggono la tecnica: difetto grave, che può produrre per conseguenza, come è accaduto nella Galleria Nazionale di Roma, di far attribuire al Giorgione un quadro meno che dozzinale.
Il pittore Gaetano Bianchi (Fonte Treccani) ha fatto arrossire di rabbia e di vergogna una falange di pomposi giudicatori. Egli dipinse in una sala del Bargello, a Firenze, una bella Vergine, senza firmarla e col proposito di beffarsi della superbia umana: nel quale riuscì ottimamente, perchè egli potè assistere all'affannarsi della critica autorevole intenta a dare un autore al suo dipinto! famose furono anche le sue contraffazioni di Gentile da Fabriano, che eseguiva su tavole un poco tarlate, acchiappando merli destra e a manca. Ma il Bianchi era un galantuomo, e scherzava sulle proprie falsificazioni; una volta, avendo contraffatto un Pesellino, che era posseduto dal Tossanelli, impedì che passasse a ornare una Galleria italiana, dicendo al direttore, il quale stava per comprarlo: "Bada, se lo prendi ti bruci le dita !...".
Tratto da La Lettura, rivista mensile del Corriere della Sera, Milano, 1902