I fiorentini di una volta

Gli antichi fiorentini e il viaggio
(Un racconto esagerato)

Il fìorentino di una volta era affezionato alla sua Firenze come un'ostrica al suo guscio. «Per toglierlo da Firenze e portarlo un chilometro più in là, bisognava svellerlo dalle radici; sbarbarlo addirittura. Tutto il suo mondo finiva alle mura cittadine. Fuori delle mura quattro passi, cominciava per lui l'ignoto, il maraviglioso, il paese della favola e della leggenda».
E perciò quasi mai si avventurava ad un viaggio, non dico fuori d'Italia, che sarebbe stato un oltrepassare le colonne d'Ercole, ma nemmeno fuori della Toscana.
«I viaggiatori più audaci di cui possa vantarsi Firenze sono quei primi argonauti che tentarono risalire il fiume Arno fino alle falde ciclopiche e inospitali dell'ultima Compiobbi, e quei pochi avventurieri di terraferma che, nella seconda metà del secolo scorso, per una folle ambizione di scoprire nuovi continenti e nuovi arcipelaghi, non esitarono a spingersi arditamente fino all'estremo lembo di quelle regioni iperboree chiamate dai geografi le Cascine».
Comunemente il viaggio più lungo e più pericoloso di un fiorentino dei bei tempi granducali era quello da Firenze a Livorno. «Tre ragioni potentissime, imperiose, irresistibili lo spingevano a questo passo — vedere il mare — fare degli studi comparativi fra il pane dell'istruzione e i maccheroni dei Cavalleggeri, e contemplare da vicino la nave ammiraglia Il Giglio, nave formidabile, che sotto le mentite apparenze di una scatola di pasta sfoglia dorata, rappresentava da sé sola tutta la marina militare etrusca; preistorica nave, sulla quale i nostri archeologi avevano rintracciato alcune penne benissimo conservate, cadute probabilmente alla colomba del diluvio, quando tornò colla ciocca d'ulivo nel becco, per far capire a Noè che oramai era spiovuto e che lui poteva chiudere l'ombrello e scendere a terra». E prima di andare a Livorno, prima, cioè, di «aver tanta forza d'animo da dire addio con ciglio asciutto alla patria diletta, al dolce tetto natio e alla cara e tenera famigliola», il buon fiorentino faceva testamento come colui che amava premunirsi contro ogni eventualità e far le cose in regola. Tutto questo, del resto, non ci faccia una gran meraviglia, pensando che, nei tempi di cui discorro, le strade ferrate non c'erano ancora e quelle non ferrate erano scomode e difficili assai, oltre che un po' pericolose.

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