Come siasi introdotto e diffuso in Firenze il traffico delle schiave orientali.
Parte seconda
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Alla scoperta degli antichi luoghi del proibito

I
Il Bongi (1) nel suo studio sulle schiave orientali in Italia fa risalire al 1350 la comparsa in Toscana di queste sventurate fanciulle, e la giudica una delle molte conseguenze della peste del 1348. «Per il gran vuoto, egli scrive, fatto dalla mortalità nelle plebi cittadine, nei campagnuoli, a trovare chi lavorasse la terra occorse far nuovi patti e più larghi ai lavoratori, ai fìttuali ed ai livellari. Così non bastando la lusinga del poco salario per cavare dalle stesse classi del popolo anche i domestici e le fantesche, fu duopo cercare nel commercio esterno la maniera di supplire alla loro rarità. Fu allora che i navigatori dovettero trovare il lor conto nel moltiplicare le tratte dalle regioni orientali. E forse fu in parte questa necessità che non fe' misurare ai padri nostri la bruttezza ed i danni di aprire le loro case a questi ospiti tanto diversi, nè sentire quanto male si convenisse a loro, cosi inclinati a libertà, il farsi custodi di schiavi!» Le ragioni ed i fatti addotti dall'erudito toscano hanno senza dubbio molto valore, ma pare a noi che non ci spieghino a sufficienza il fenomeno che intendiamo studiare. Il vuoto lasciato in Firenze dalla peste del 1348, il rilassamento dei costumi e quindi la difficoltà di trovar nel ceto della plebe cittadina i domestici, le mutazioni stesse provocate dalla morìa nel sistema di vita dei cittadini dovettero certo essere un forte eccitamento a praticare su larga scala il traffico delle schiave; ma, per quanto i documenti da noi consultati non ci abbiano additato l'esistenza di questo nuovo commercio prima del 1350, noi crediamo, che, per renderci piena ragione del fatto stesso, debbasi risalire colle ricerche a' tempi un po' anteriori, e si debbano esaminare alcuni fatti, i quali ci spiegheranno non solo l'origine, ma anche l'incremento e la diffusione del traffico medesimo. E questi fatti, ai quali intendiamo rivolgere tosto la nostra attenzione, sono specialmente i seguenti :
1.° le relazioni commerciali di Firenze col Levante;
2.° la continuazione, sempre viva, negli animi di certi pregiudizi civili e religiosi;
3.° il profondo mutamento che appunto nei secoli XIV e XV si veniva operando in seno a tutta la società, e purtroppo e più fortemente anche nella famiglia.

II
Se la storia politica interna di Firenze si presenta allo studioso con sempre nuovi e più importanti caratteri, non meno certo interessante è la storia delle relazioni commerciali, che Firenze ebbe nel M. E. Coll'occidente e coll'oriente (2). Quel popolo infatti che nei suoi ordinamenti politici seppe pur riuscire ad imprimere una forma di così ampia e di duratura democrazia, e che nel culto delle lettere e delle arti s'elevò a così splendida e somma potenza, da cingersi di gloria immortale, quel popolo stesso nella vita quotidiana dimostrò di possedere
un senso pratico acutissimo e fu pure il più attivo ed il più astuto mercatante del medio-evo.
Portato al commercio dalla natura stessa del suolo da lui abitato, egli capì, con una di quelle intuizioni, che decidono spesso dell'avvenire di un popolo, come appunto nell'incremento e nella diffusione dei prodotti delle sue industrie dovesse e potesse trovare la sua forza e la sua ricchezza; e al conseguimento di questo scopo coordinò e spesso subordinò tutta la sua politica
interna ed esterna, per modo che la storia del commercio di Firenze puossi ben dire anche la storia stessa del sorgere, del crescere, del declinare della potenza civile e politica della repubblica fiorentina, e l'una riesce il complemento necessario dell'altra. E così, mentre in Firenze le varie arti si venivano costituendo ed organizzando in potenti associazioni, ed un po' alla volta raccoglievano in se la somma direzione della cosa pubblica; mentre con rara costanza ed energia si mirava e si riusciva a superare tutti gli ostacoli, che la vicinanza di emule città e la mancanza di un proprio naviglio e di un proprio porto di mare opponevano all'esportazione dei prodotti delle arti medesime, questi prodotti si diffondevamo e stabilivano
la loro supremazia in tutte le piazze principali mercantili dell'Occidente; quindi un'agiatezza ognora crescente in Firenze, la quale giustificava pienamente le parole di Bonifacio VIII a Carlo di Valois; quindi ancora quell'amore alla ricchezza, che fece scrivere al Perrens (3) che «devenir et rester riche c'etait chez les Florentins l'alfa et l'omèga de la sagesse comme de la science sociale.»
Ma tuttavia l'emporio principale del commercio di quei tempi era sempre l'Oriente, e per l'Italia specialmente, per la quale fu sempre la sorgente più importante di ricchezze; esso difatti alimentò la fortuna dei Veneti, come prima assai avea arricchito Amalfitani e Genovesi e Pisani; esso pure aprì alla grande attività ed alla ricchezza dei fiorentini un nuovo sfogo. Il centro di questo commercio era alla Tana (4) e a Gaffa (5). Posta all'imboccatura del Tanais e dell'odierno Azow, in vicinanza, e quasi circondata dalla Russia, dall'Armenia, dalla Persia e dall'Arabia, la Tana era il naturale luogo di convegno dei mercatanti di quelle regioni, i quali vi recavano, i prodotti delle loro terre ed offrivano ai colonisti italiani, che quivi pure numerosi si raccoglievano, una mèsse copiosa di merci da esportare. Si comprende quindi facilmente quanto attivo dovesse essere colà il commercio; si capisce qual fonte inesausta di lucro vi dovessero trovare i colonisti italiani. Conscii appunto dell'importanza della piazza vi aveano da lungo tempo stabilito colonie importanti, guardate da considerevoli flotte, i Genovesi, i Pisani ed i Veneziani; e guidati dallo stesso scopo e, aggiungiamo pure, dal pericolo che loro minacciava la sorgente concorrenza delle produzioni dei Fiamminghi e degli Inglesi, vi giungevano pure per ultimi i Fiorentini, portativi su navi delle emuli città connazionali, e vi trovavano fiorente non solo il commercio dei prodotti naturali del suolo e delle industrie, ma anche quelli degli schiavi. Gaffa e la Tana difatti erano pur troppo anche il centro più vivo di questo funesto ed ignominioso traffico di carne umana.

«Nei dintorni della città di Gaffa e della Tana, scrive Heyd, abitavano i Tartari, i quali, per quanto anch'essi barbaramente calpestassero la coltura cristiana quando fecero la loro grande spedizione di conquista, pure non solo non erano inaccessibili alla coltura del viver civile, ma furono eziandio considerati come alleati dei cristiani contro la potenza mussulmana». Solgat era la loro capitale, e continue ed importantissime erano le relazioni di questa, e quindi dei Tartari, con Cafia occupata in grandissima parte dai Genovesi. Malgrado ciò, malgrado la difesa loro accordata dal Vescòvo di Gaffa, essi prestarono al traffico degli schiavi il massimo contingente. Appositi inviati del Soldano di Egitto si recavano colà per fare ricatto di questi sciagurati, i quali, se maschi, erano destinati a rafforzare l'esercito, e se femmine, ad arricchire gli harem del Soldano stesso. Nè la cosa si limitava qui; ma gli stessi mercanti di Gaffa cooperavano a diffondere il traffico, strappando essi stessi dal loro nido i tartari e recandoli al Soldano; chè anzi per appagare le voglie di costui, ottennero da Michele Paleologo il libero passaggio del Bosforo pei loro agenti, che si recavano in quei paesi e ne tornavano cogli schiavi comperati, che venivano poi naturalmente rivenduti a Gaffa. E qui ancora venivano portati gli schiavi, insieme alle altre merci, dai paesi nordici e dalle regioni circonvicine, cioè dalla Circassia, dalla Georgia, dall'Armenia, dall'Arabia, dalla Turchia e dalla Russia. Le conseguenze di questo attivissimo traffico si capiscono facilmente. I Genovesi, che da principio per prudenza mercantile lo tollerarono, concedendo l'esporto di schiavi di religione maomettana da Gaffa con un'imposta che dovea essere pagata al Console (il quale avea però il diritto di riscattare lo schiavo, qualora questo si volesse convertire al Gristianesimo), finirono per farsi essi stessi trafficanti di questi infelici, nè si limitarono al commercio nel Levante, ma spedirono e portarono schiavi in Genova, dove i legislatori si mostrarono tutt'altro che avversi a riceverli e a sanzionarne col loro voto il traffico. Dei Veneziani non parliamo. Fino dal secolo VIII (6) essi ne aveano impreso il traffico, e, malgrado l'opposizione incontrata in parecchi pontefici, lo continuarono sempre; ora poi che i tempi parevano volgere così propizi a simile ramo d'industria, era ben naturale che vi dessero il massimo contributo, sicché furono appunto i Veneziani quelli che somministrarono alle città italiane, compresa Firenze, il massimo numero di schiavi.
In simili condizioni di cose che doveano fare i Fiorentini? Mercanti attivi ed astuti, facili quindi a far tacere la coscienza laddove si trattasse dell'interesse, spettatori quotidiani di un commercio, praticato con tanta larghezza dalle emule città connazionali, come avrebbero resistito alla tentazione così seducente ? D'altra parte, altre ragioni più forti doveano dissipare
dalla loro coscienza qualunque più leggiera nube di rimorso e vincere ogni riluttanza; essi potevano essere certi che, come a Genova, a Venezia, a Lucca e a Pisa, le schiave mandate a Firenze avrebbero avuto dai cittadini un'accoglienza felicissima e ben presto l'uso di esse sarebbe entrato nelle abitudini della città e di tutta la società fiorentina. Il terreno era già infatti ben preparato: a ciò aveano contribuito, e vi contribuivano costantemente, i pregiudizi civili e religiosi, le condizioni stesse della famiglia e della società.
Tratto da Agostino Zanelli, Le schiave orientali a Firenze nei secoli XIV e XV, Firenze, E. Loeschner, 1885.
(1) Salvatore Bongi (Lucca, 15 gennaio 1825 – Lucca, 30 dicembre 1899) è stato uno storico, bibliografo e archivista italiano.
(2) Sulle relazioni commerciali dei fiorentini col Levante vedi specialmente le seguenti opere: Heyd, Le colonie commerciali degli Italiani nel M. E. (Traduz. del Miiller, Venezia-Torino, 1866). — Pagnini, Della decima della moneta e della mercatura dei Fiorentini fino al secolo XVI (Lisbona e Lucca, 1765). — Peruzzi, Storia del commercio e dei banchieri di Firenze (Firenze, 1868). — Villari, Il commercio e la politica delle arti maggiori in Firenze. Politecnico giugno e luglio 1867. — Perens Histoire de Florence (Paris, 1877, Tom. III).
(3) Il Perrens [Op. cìL, Tom. III, pag. 220) si fonda sulla testimonianza del Boccaccio (Decamerone, Giorn. II, nov. 9 e Giorn. VITI nov. 10 f° 195 2°» delle Cento Novelle.
(4) Tana è un'antica città situata alla foce del fiume Don nel mar d'Azov. Le vestigia di Tana si trovano a 30 chilometri dall'odierna Rostov sul Don, in Russia.
(5)
(6) Ce lo conferma Anastasio Bibliotecario nella vita di S. Zaccaria, pontefice (De vitis Romanorum Pontiflcum-apud. Muratori R. I. S.,Tom, III, P. I, pag. 164). Ecco le sue parole : « Porro eodem tempore contigit pluries Veneticorum hanc Romanam advenisse in urbem negociatores et marcirannii nundinas propagantes multitudine mancipiorum scilicet et foeminini generis emere visi sunt quos et in Africam ad paganam gentem nitebantur deducere».