La Cantoria di Donatello

La Cantoria di Donatello

situata nella navata di sinistra nella Chiesa di San Lorenzo.

Brogi, Carlo (1850-1925) - Ambone in bronzo

Donatello


Tratto da Matteo Marangoni, La basilica di S. Lorenzo in Firenze, La Nuova Italia, 1922
"Questo lavoro è un altro miracolo di grazia contenuta nella misura e nel ritmo. Le mensole specialmente, decorate colla piiì squisita eleganza, ma nello stesso tempo solide e robuste, sono di una novità assoluta e ci danno un'altra prova del raro senso decorativo di Donatello, che tuttavia quasi in lui ci sorprende, abituati al carattere maschio e disadorno delle sue figure e delle sue scene drammatiche.
Proprio in faccia a questa Cantoria sorge il primo dei due Pulpiti a cui Donatello mise mano nel 1461 per ordinazione di Cosimo il Vecchio, alla tarda età di settantaquattro anni. Sono queste le ultime opere del grande scultore e anche quelle dove più sinceraramente dà fuori tutta la sua forza drammatica, e, per certi aspetti, la sua più completa virtù plastica. Si tratta di due pulpiti, di forma assai inusitata e disadatta, che consistono in due urne bronzee rettangolari poggiate su quattro colonne di breccia, con bassorilievi sulle quattro pareti che rappresentano i fatti della vita e della Passione di Cristo e il Martirio di S. Lorenzo; urne coronate da un fregio figurato e da una cimasa ornamentale.
Si sa però che Donatello non finì l'opera, che si fece aiutare dai suoi due scolari Bertoldo e Sellano e che i pulpiti furono messi a posto solo tra il 1558 e il '65, sostituendovi le parti mancanti con rilievi in legno tinti a bronzo, che si cercò allora di foggiare, e sciaguratamente, sullo stile quattrocentesco.
Secondo il Reymond il pulpito di sinistra, in faccia alla Cantoria, sarebbe il primo eseguito. Nel lato che guarda la grande navata sono rappresentate in due grandi pannelli la Crocifissione e la Deposizione dalla Croce, nelle laterali Cristo davanti a Caifa e a Pilato e la Deposizione nel Sepolcro; nella faccia posteriore che guarda la navata di sinistra Cristo nell'Orto, l'Evangelista Giovanni e la Flagellazione. Queste due ultime storie sono appunto in legno scolpito e dipinto a bronzo, lavori del secolo XVI.
Notiamo subito che il rilievo della Deposizione, non solo è di gran lunga il più eccellente degli altri e forse il più bel bassorilievo del maestro, ma che è l'unico che si possa veramente giurare tutto di sua mano. A parte la commovente forza drammatica di certe parti, che chiunque può valutare da sé, l'opera ha tanti e tali pregi plastici che non finirei mai di enumerarli. Cominciamo a dire della composizione così chiara benché così affollata e tumultuosa, dove i numerosi piani sono ottenuti d'incanto nonostante l'assoluta assenza di risorse prospettiche propriamente
dette e di accessori — come terreno, alberi — sostituiti da un semplice fondo ideale su cui vaniscono in distanza dei cavalieri appena segnati con una sensibilità del rilievo ammirevole anche come novità.
L'unica risorsa che Donatello impiega per darci il senso della profondità sono le tre croci che digradano appena in aggetto e prospetticamente, e sopratutto la grande scala che taglia arditamente la scena di tralice; idea ingegnosissima, anche se artisticamente non del tutto realizzata né opportuna. Si noti anche come Donatello — per la prima volta nella figurazione del Dramma Sacro — osi disporre la linea delle tre croci, non solo su di un piano inclinato al piano dell'azione, ottenendo così in maniera onesta e naturale la profondità, ma tagliando le tre croci al disotto del braccio trasverso, anziché mostrarle — come si era sempre fatto sino al suo tempo — intere; non peritandosi di far mozzare dalla linea della cornice le figure dei due ladroni. E così per riempire i due angoli inferiori del quadro Donatello vi incastra quelle figure sdraiate e sedute, che li convertono in due triangoli, non più vuoti e oziosi, ma vitali e animati, quasi quinte in primissimo piano che introducono verso la prima azione.
Ed ecco che l'occhio avanzando incontra per primo da sinistra il gruppo delle tre figure in piedi, composto di due soldati e di una delle donne che si strappa i capelli, a cui corrispondono dalla parte opposta due altre donne agitate dalla stessa disperazione, ma assai meno convincenti di questa figura. La quale è atteggiata in un gesto disperato ma composto nella posa fieramente eretta e irrigidita dal dolore e dalla grandiosità dell'atto tragico, con quel braccio alzato che tutta la fa fremere, raccordandola nello stesso tempo alle altre figure in un sol gruppo di serrata costruzione. Da notare una volta ancora la stupefacente vìrtù dell'artista nel far rivivere con pochi tocchi di stecca una figura, come quella del soldataccio dalla faccia serrata nell'elmo, fredda e crudele, che par persino un ritratto.
Ma è nel gruppo centrale dove si vede Cristo morto sulle ginocchia della Madre e la composta adorazione dei fedeli, che Donatello crea la più bella scena che mai forse sia stata rappresentata su questo soggetto.
Tutto questo gruppo, dove la massa inerte del corpo di Cristo e l'accasciamento della Madre sono resi colla più grande verità ma in tratti essenziali e nobilissimi, è anche un miracolo di senso compositivo.
Tutto il gruppo, serrato e compatto, si snoda per linee vitali che fluiscono parallelamente le une alle altre. Si noti come nella parte inferiore del gruppo tutte le gambe e il braccio di Cristo hanno la stessa direzione obliqua e parallela; e come al disopra della solenne orizzontale del corpo di Gesù le braccia e le schiene e le teste si corrispondano ritmicamente; e sopratutto si noti la bella linea a "S" che partendo dalla testa
della Vergine attraverso il suo braccio e l'altro penzolante di Cristo serra queste due figure in un nodo indissolubile.
Se da questo capolavoro assoluto si volga l'occhio al rilievo accanto dove è raffigurata la Crocifissione, anche i meno iniziati, credo si accorgeranno della enorme distanza che separa queste due opere. Qui, non solo io non ci vedo più l'esecuzione di Donatello stesso, ma neppure la derivazione da un suo abbozzo o disegno, tanto la scena è affollata a caso senza alcun nesso compositivo, le forme sproporzionate e il rilievo crudo, privo di ogni senso del digradare dei piani. Bisognerà dunque vedere in questo rilievo la mano di uno degli scolari di Donatello, probabilmente del Bellano.
Neppure nel vicino rilievo che occupa il lato stretto del pulpito — dove sono rappresentate nello stesso quadro le due scene di Cristo dinanzi a Caifa e dinanzi a Pilato, immaginate sotto un edificio a doppia volta di reminiscenza romana, come la colonna tra le due arcate decorata a spira che ricorda la Colonna Traiana — neppur qui si ritrova più la chiara, ritmica virtù compositiva e plastica donatellesca, e per ritrovarla, benché non in egual grado, bisogna guardare il rilievo opposto a questo dove è figurato Cristo deposto nel Sepolcro, che più degli altri si avvicina all'eccellenza della Deposizione.
Finalmente nel lato che guarda la navata di sinistra abbiamo il rilievo che rappresenta Cristo nell'Orto che ricorda le forme del Bellano, e i due goffi rilievi in legno del secolo XVI — uno dei quali, il S. Giovanni, è tolto pari pari dalla prima porta del Ghiberti — che ci offrono la prova di come nel passato facesse difetto il senso critico del distinguere e capire l'arte dei secoli anteriori : riconosciamoci almeno questo merito del tutto proprio del nostro tempo, a tendenze piuttosto critiche che creative.
Nell'altro pulpito in faccia, nel lato che guarda la navata maggiore, si vedono tre rilievi che rappresentano la Discesa di Cristo al Limbo, la Resurrezione e l'Ascensione; nelle due faccie minori le Marie al Sepolcro e la Discesa dello Spirito Santo; e nell'ultima faccia che guarda la navata di destra il Martirio di S. Lorenzo, la Flagellazione di Cristo e l'Evangelista Luca; questi due ultimi, come ho detto, in legno scolpito, lavoracci del secolo XVI. Anche in questi cinque nuovi rilievi siamo ben lontani dall'eccellenza della Deposizione già vista.
Nella Discesa al Limbo si notano particolari eccellenti, come le donne sul davanti che sembrano mancare rovesciandosi in fuori, con una drammaticità esasperata che ricorda Giovanni Pisano, ma la composizione è affollata, poco chiara, senza linea; nella Resurrezione si nota lo stesso "difetto compositivo — oltre l'infelice figura del Risorto che è di una banalità spiacevole — benché vi si vedano anche delle discrete figure di soldati addormentati; nell'Ascensione il dramma è mancato, sia nell'estasi degli Apostoli, sia nel Cristo che non riesce a staccarsi dal suolo.
Nelle Marie al Sepolcro, sulla faccia stretta accanto, si notano ottimi particolari nelle figure, ma la scena è guastata dall'eccessiva invadenza delle architetture. La Discesa dello Spirito Santo poi nella faccia opposta e il Martirio di S. Lorenzo nell'altro lato sono, per la loro mediocrità, certamente opera di scolari, probabilmente del Bellano la prima e di Bertoldo la seconda.
Tutti i rilievi di questo secondo pulpito, anziché essere separati tra di loro, come nell'altro, per mezzo di pilastretti, sono divisi da edifici in iscorcio di cattivo gusto ed effetto ; idea che non mi riesce di attribuire a Donatello. Eppure é su questo pulpito, anziché sull'altro tanto superiore, che in un clipeo del fregio retto da due centauri, nella faccia anteriore, si legge: "Opus Donatelli Fio" (rentini). Questo stesso fregio
e l'altro del primo pulpito rappresentano delle scene di Amorini che giocano e scherzano, modellate con uno spirito, una grazia e una freschezza che contrastano col temperamento drammatico dell'artista e con gli altri soggetti di questi due pulpiti. Le gaie scene fanciullesche sono interrotte da gruppi di figure virili in atto di trattenere un cavallo — evidentemente ricordo dei Dioscuri del Quirinale — e da centauri accoppiati che reggono uno scudo; figure dove il senso dello scorcio e dell'altorilievo è già perfetto e fissato per gli artisti che verranno."

Tratto da Matteo Marangoni, La basilica di S. Lorenzo in Firenze, La Nuova Italia, 1922
Matteo Marangoni (Firenze, 12 luglio 1876 – Pisa, 1º giugno 1958) è stato un critico d'arte, storico dell'arte e compositore italiano. Enciclopedia Treccani
 

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