Gli affreschi di Pietro da Cortona

Gli affreschi nel Palazzo Pitti

Pietro da Cortona nato come Pietro Berrettini (Cortona, 1º novembre 1596 – Roma, 16 maggio 1669)
 

Hans Geisenheimer, Pietro da Cortona e gli affreschi nel Palazzo Pitti, Firenze, Editrice L.S. Olschki, 1909


Quando, nel 1637, il cardinale Giulio Sacchetti partì da Roma per Bologna, ove doveva passare il suo triennio di Legato papale, condusse seco Pietro Berrettini, suo protetto, perchè questi approfittando di tale occasione acquistasse la conoscenza dell’arte bolognese e veneziana. Ma appena arrivato a Firenze, il pittore, che godeva già una certa fama specialmente per la grande opera commessagli dai Barberini - egli era allora occupato a dipingere tutto il soffitto del loro vasto Salone - fu richiesto dal giovane Granduca Ferdinando II di dargli nel Palazzo Pitti un saggio della sua arte di freschista. Così Pietro si mise subito all’ opera e, da Luglio a Ottobre del suddetto anno, eseguì i primi due degli affreschi che adornano le pareti della Camera della Stufa (V. Doc. A). Quindi fece il suo giro per l’Alta Italia e ritornò a Roma per terminare le pitture del Salone Barberini, a cui diede l’ultima mano verso la fine del 1639.
Nella primavera seguente voleva riprendere gl’interrotti lavori nella Camera della Stufa (V Doc. B), e infatti deve aver finiti i restanti due affreschi (l’Età di Bronzo e l’Età di Ferro) entro l’anno 1640, secondo un documento ritrovato per fortuna dal Dott. Posse (1). Il Granduca però gli commise subito un compito assai più vasto e importante: di adornare i soffitti dei futuri suoi appartamenti, posti tutti in fila al primo piano del Palazzo Pitti. Secondo il Passeri (2), oltre alla Camera della Stufa, si trattava di sette stanze, mentre poi ne furono dipinte sole cinque; tale indicazione del Passeri si spiega tuttavia in un modo molto semplice quando si pensa che il Granduca sperava di veder adornate da Pietro tutte le stanze cominciando dalla sala centrale, detta delle Nicchie (3), fino a quella oggi intitolata dell’Iliade (già dei Novissimi).
 

Sala delle Nicchie
Sala delle Nicchie


L'ispiratore poetico si identificava in Francesco Rondinelli (Doc. IV), colui a cui doveva attribuirsi anche il piano per gli affreschi allegorici realizzati da Giov. Manozzi nella sala dell'Argenteria. Per gli appartamenti Granducali si propose di rappresentare, sotto le immagini dei pianeti, le principali virtù che avrebbero dovuto accompagnare un principe per l'intera sua esistenza, guidandolo così verso gloria e immortalità.
L'inizio dei lavori in queste stanze avvenne con il supporto di tre stuccatori appositamente chiamati da Roma, nell'anno 1641 (Doc. I). La prima stanza citata nei documenti doveva essere quella di Venere, poiché secondo il Passeri: "La Sala è la maggiore e fu la seconda ad esser dipinta perchè già aveva incominciata la stufa", e proseguiva affermando: "Finita la stanza della Dea Venere...".
Basandoci su questo affidabile resoconto di un contemporaneo dell'artista, possiamo meglio interpretare le scarse informazioni rimaste riguardo allo svolgimento dei lavori nelle prime tre stanze. Il completamento dei dipinti nella prima stanza fu portato a termine da Berrettini verso la fine del 1642 (4)(Reg. 27 e 28). Gli stuccatori, invece, continuarono a lavorare ancora nei mesi seguenti (Doc. Ib). Se l'artista, dopo una breve visita a Roma (Reg. 29), intendeva proseguire indipendentemente dal loro ritardo, non gli rimaneva altra scelta se non iniziare un soffitto la cui volta fosse completamente affrescata, lasciando spazio a stucchi più modesti solo nella parte sottostante l'affresco. Tale è la volta della Stanza di Marte, che supponiamo quindi essere stata realizzata nel 1643, in un periodo in cui era in corso la guerra contro i Barberini.
I documenti, piuttosto scarsi, menzionano notevoli spese effettuate tra dicembre '43 e aprile '44 per dorare una seconda stanza, ma è difficile credere che ciò si riferisse agli stucchi relativamente modesti della Stanza di Marte. Al contrario, riteniamo che tali spese debbano essere collegate agli stucchi più ricchi della Stanza di Apollo o di Giove. I numerosi affreschi dell'ultima stanza menzionata furono probabilmente ultimati da Berrettini nel corso del 1645 (Reg. 41), poiché il nome di questa stanza, utilizzata spesso per importanti ricevimenti, compare per la prima volta nel Diario di Corte il 1° maggio 1646 (Doc. III). Tuttavia, l'artista, il cui zelo per gli affreschi affidatigli sembrava inizialmente costante e instancabile, sembrò perdere interesse l'anno successivo.
Nella sua lettera datata dicembre 1645, egli dichiarava che non sarebbe più stato coinvolto in compiti architettonici, ma pochi mesi dopo si dedicava attivamente all'espansione e al miglioramento dello Spedale di S. M. Nuova (Reg. 45). Fino all'autunno del 1647, i progressi nei suddetti affreschi rimasero modesti. Negli anni '46 e '47 sembrò iniziare solo una quarta stanza (5). Nel 1647, quando partì da Firenze, forse con l'intenzione di non tornare mai più, lasciò incompiuta la Stanza di Apollo. Questa stanza fu poi completata (tra il 1659 e il 1660) dal suo allievo Ciro Ferri, seguendo le direttive del maestro attraverso cartoni realizzati a Roma (Doc. IV, V). Le pitture della quinta stanza, nota come Stanza di Saturno, furono realizzate dallo stesso Ferri tra il 1663 e il 1665, e stavolta anche i cartoni furono disegnati a Firenze (Doc. VI, VII).

 

Sala Apollo
Sala Apollo

 

Dal punto di vista stilistico, i primi quattro soffitti delle Stanze dei Pianeti rappresentano la prosecuzione naturale del principio enunciato da Cortona nell'affrescare il soffitto del Salone Barberini. Tale principio consiste nell'introduzione, anche in tali spazi, dell'arte pittorica illusoria che, fino a quel momento, era riservata in gran parte alle visioni celesti che abbelliscono le cupole. La tecnica del "sotto in su", utilizzata con meno decisione nella Sala Barberini e solo in misura limitata in quella di Venere, si afferma con sempre maggiore trionfo raggiungendo il culmine nelle composizioni centrali degli affreschi delle Stanze di Giove e di Apollo.
Inoltre, l'accostamento sapiente dei dipinti murali con i sontuosi stucchi, splendidamente dorati, ha avuto un notevole impatto sul gusto estetico della corte borbonica, come evidente nelle diverse sale del Louvre e di Versailles. L'opera di Pietro da Cortona ha contribuito significativamente a delineare un'epoca nuova nell'ambito della pittura decorativa, e il suo erede più illustre e geniale fu il Tiepolo. Tra gli affreschisti, ad eccezione proprio del Tiepolo, nessuno può rivaleggiare con lui per quanto riguarda la bellezza cromatica, che, a tratti – ricordiamo l'esempio del "Quos Ego" nella Galleria del Palazzo Pamphilj – evoca certe opere decorative di Pietro Paolo Rubens.
Un ulteriore pregio di Cortona risiede nella sua innata capacità artistica, che gli ha permesso di adattarsi con una quasi infallibile sensibilità alle diverse peculiarità degli ambienti destinati a brillare sotto l'incanto delle sue pennellate.


Hans Geisenheimer, Pietro da Cortona e gli affreschi nel Palazzo Pitti, Firenze, Editrice L.S. Olschki, 1909

 

(1) Bibl. Vat., Cod. Barb. Lat. 8043.
Lettera di Msgr. Giulio Mazzarini al Card. Antonio Barberini, scritta da Parigi nel 1641:« Il Sig. Pietro da Cortona diede intentione a Monsieur di Chantelù ultimamente di voler far un viaggio a questa corte subito cbe si fosse sbrigato da un’opera che era impegnato con il Granduca di finire a Firenze, ma desiderando il Card. Duca mio Signore con estrema passione [?] di vederlo quanto prima e sperando di poter ricever questa sodisfatione col mezzo di V. E., non solamente m’ha commandato di supplicare vivamente V. E. per sua parte m’ha ingiunto scrivergliene la aggiunta lettera Il medesimo Sig. di Chantelù ha riferito che il Sig. Pietro havrebbe sodisfatto all’ impegno, in che era con il Granduca, nell’ estate già passata. . . . » Ringrazio cordialmente il mio Collega di avermi permesso la riproduzione di questo documento prima che sia pubblicato il suo proprio studio.
(2) Le Vite di Artisti, p. 413 e seg.
(3) Giov. Cinelli nei suoi appunti per una Descrizione di Firenze (Bibl. Naz., Mscr. Magliab. Cl. XIII, n. 34) annota: « Doveva anche questa sala [delle Nicchie] messer da Pietro da Cortona dipinta, e così fu il pensiero, ma le vicende del tempo.... fecero sì che restò in asso l’esecuzione.» Siccome le Bellezze di Firenze si ristamparono nel 1677, quegli appunti saranno stati scritti intorno al 1675.
(4) Dai nostri documenti risulta che la lettera pubblicata dal Bottari nel voi. I, p. 3 - 4  scritta nel Dicembre 1641, non « 44 ».
(5) Chi preferisce datare le pitture della Stanza di Giove negli anni dal 1643 al '45, dovrà mettere la Stanza di Marte nel 1646 e i principi della quarta nel 1647. Gli atti della Depositeria non ci permettono nessuna conclusione stringente. Vi troviamo annotati soli due pagamenti al pittore (Doc. II), l’ultimo dei quali nel Gennaio 1645. Però è certo che l’artista fu ricompensato nel modo più largo e che, per conseguenza, le rispettive somme considerevoli dovevano togliersi da altri fondi, forse privati. Per ora riteniamo più verosimile l’ordine cronologico su esposto, dubitando che il Berrettini potesse nel medesimo tempo eseguire un vasto affresco e sorvegliare coscienziosamente la costruzione dello Spedale.


 


Sala Giove

Sala Marte
Sala Marte

Sala venere
Sala Venere

Sala della Stufa
Sala della Stufa
 

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