Avvolto in un'aura di mistero, si manifesta come un serpente che, con sinistra eleganza, morde la propria coda. È il simbolo cifrato dell'eternità, un richiamo silenzioso alla perpetuità della vita e alla vastità dell'universo.
 

Fig. 1

Il Re serpente, un emblema ancestrale della creazione primordiale, dipinge la scena del ritorno eterno e della continua rinascita. Come guardiano dell'eterno ciclo temporale, l'Uroburo, o Serpente Re, danza nell'immaginario come l'incarnazione stessa del "Grande anno" degli antichi. Secondo l'antica saggezza, il tempo cosmico si compie quando gli astri, fedeli al loro destino, rientrano al punto d'origine. Ogni 15.000 anni, secondo il calcolo medievale, il tempo intraprende un enigmatico inverso cammino.

(Fig. 1) Illustrazione del serpente ouroboros nell’opera Donum dei dell’alchimista Abraham Eleazar, pubblicata a Erfurt nel 1735.


Con l'arrivo del cristianesimo, questa visione ciclica cede il passo alla rigida linearità temporale, con un inizio nella creazione del mondo e una conclusione nell'Apocalisse. Ma il Re serpente mantiene la sua presenza incantata, tessendo significati nell'alchimia ermetica, raffigurando il raffinamento inesorabile delle sostanze. 
Il serpente che si morde la coda, icona senza tempo, si erge come simbolo dell'eternità, intrecciato con le divinità e gli emblemi che personificano il flusso incessante del tempo.

Nel Rinascimento italiano, questo enigma simbolico conquista terreno grazie alla rinascita del paganesimo, sponsorizzata dalle menti illuminate di Pico della Mirandola e Marsilio Ficino. Principi e signori, come custodi di segreti profondi, incastonano questo emblema nel retro delle loro medaglie, un condensato visivo delle loro virtù intellettuali, politiche o morali. Una rappresentazione enigmatica che trascende il tempo, sfida il lineare fluire degli eventi e avvolge l'osservatore in un abbraccio eterno di mistero.

(Fig.2) Sotto lo sguardo ineffabile di divinità antiche, si svela il dramma della nascita umana, un rituale cosmico raffigurato dal neonato tenuto nelle mani bifronti del dio Giano, custode dei varchi temporali. Un'atmosfera di mistero avvolge l'intero concilio divino, cinto da un uroboro sinuoso, simbolo eterno che abbraccia la scena della creazione.
Nel cuore dell'immortalità, una caverna racchiude il Tempo, personificato in un anziano alato, reggitore di una clessidra che sgocciola gocce di eternità. Di fronte a questo enigmatico assemblaggio, una dea velata, forse la Necessità stessa, offre una verga alla bendata Fortuna e una sfera dorata alla Natura, fonte di vita rappresentata dal latte che scorre dal suo seno.
Accanto al dio Giano, le tre Parche intrecciano il filo della vita umana, tessendo il destino con destrezza divina. Un coro di putti, alcuni alati e altri terreni, danza intorno a questa visione, sottolineando la sacralità dell'evento cosmogonico. In questa tavolozza mitica, la creazione si dipana tra simbolismi intricati, mentre il fluire del tempo e la tessitura del destino si intrecciano in un balletto senza fine.

Fig. 2 Particolare del soffitto della Sala degli Specchi a Palazzo Medici Riccardi di Luca Giordano
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