Artemisia Gentileschi

Artemisia Gentileschi: Un'artista Rivoluzionaria
Artemisia Lomi Gentileschi, nata a Roma l'8 luglio 1593, spirò a Napoli tra il 1652 e il 1656. Ella fu la viva incarnazione dell'anima ribelle tra le pieghe dell'arte caravaggesca.

Artemisia Gentileschi Autoritratto come martire (circa 1615) collezione privata, New York

Il patriarca Orazio Gentileschi, originario di Pisa, dapprima dipingeva con una modesta pratica a fresco. Solo quando giunse a Roma la sua arte si elevò al massimo splendore, abbracciando con ardore le innovazioni del contemporaneo Caravaggio. Il maestro Caravaggio, con la sua impronta di realismo senza veli, plasmò Artemisia, traghettandola verso una drammaticità potente e veritiera.
Roma, all'epoca, pulsava come un grande cuore artistico. La Riforma Cattolica, con la sua spinta propulsiva, fece rifiorire chiese e strade, imponendo un nuovo volto all'antica città medievale. Artemisia, in questo fervore sociale, si stagliava, una pittrice in un mondo di mendicanti, prostitute e pellegrini, ma con un destino che si dipanava in modi imprevedibili.

Orazio gentileschi il padre di Artemisia

Nel 1608-1609, Artemisia passò dal ruolo di discepola a complice attiva di suo padre Orazio. Il capolavoro "Susanna e i vecchioni" del 1610 suggellò il suo ingresso nel mondo dell'arte. Ma la sua formazione, sebbene avvolta in un manto di mistero documentario, si presume iniziata nel 1605 o nel 1606 e conclusa nel 1609.
La sua maturità artistica, lodata dal padre in una lettera alla granduchessa di Toscana, la portò a essere una pittrice di valore già nel 1609. Artemisia, abbracciando il realismo caravaggesco e influenzata dalla scuola bolognese, divenne una delle protagoniste dell'effervescente scena artistica romana.
Nel 1611, il destino di Artemisia prese una svolta tragica. Orazio, in un atto discutibile di fiducia, la affidò alle lezioni prospettiche di Agostino Tassi, pittore e avventuriero dalle ombre misteriose. Ma la storia che si dipanò fu ben lontana dalle speranze di crescita artistica.
Tassi, con la sua maschera di virtuosismo, violò Artemisia nel 1611, gettando la pittrice in un abisso di dolore e ingiustizia. La violenza sessuale, perpetrata con la complicità di altri, segnò in modo indelebile la vita e l'arte di Artemisia.
Il processo che seguì, carico di ingiustizie e falsi testimoni, fu un calvario. Artemisia, con coraggio e determinazione, affrontò torture fisiche e umiliazioni ginecologiche per far prevalere la verità. Il suo grido di dolore, espresso in parole agghiaccianti durante la tortura, risuonò come una maledizione nei confronti del suo aguzzino Tassi.
Nonostante la condanna inflitta a Tassi nel novembre 1612, il prezzo pagato da Artemisia fu alto. La sua reputazione fu macchiata, la sua onorabilità a Roma minata dalle voci calunniose. La pittrice, in ogni suo pennellata, lottò per ritrovare dignità e riscattare il proprio nome.

Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita Oloferne, 1612-1613, Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli

La storia di Artemisia Lomi Gentileschi è un'epopea di forza femminile, di tragedia e di arte irrefrenabile, scritta con pennellate caravaggesche su una tela di dolore e speranza. 
Il 29 novembre 1612, appena un giorno dopo l'amara conclusione del processo, Artemisia Gentileschi pronunciò i voti matrimoniali con Pierantonio Stiattesi, un pittore di modesta fama, noto più per i suoi espedienti che per il suo talento artistico. Le nozze, celebrate nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, furono interamente organizzate da Orazio, il patriarca desideroso di orchestrare un matrimonio riparatore. Questo atto, in conformità con la morale dell'epoca, mirava a restituire ad Artemisia, oltraggiata, ingannata e degradata da Tassi, una sorta di onorabilità. Firmando una procura il 10 dicembre dello stesso anno, affidando la gestione dei suoi affari economici al fratello notaio Giambattista, Artemisia seguì lo sposo a Firenze, abbandonando definitivamente un padre oppressivo e un passato doloroso. Lasciare Roma fu una decisione inizialmente angosciante ma liberatoria per la Gentileschi, che a Firenze ebbe un notevole successo.

Ritratto del granduca Cosimo II de' Medici di Justus Sustermans, 1625, Kunsthistorisches Museum

In quel periodo, Firenze era immersa in un fervore artistico, grazie anche all'illuminata politica di Cosimo II, appassionato di musica, poesia, scienza e pittura. Artemisia, introdotta nella corte di Cosimo II dallo zio Aurelio Lomi, si immerse in questo ambiente ricco di intelligenze vivide. La pittrice, con grande maestria, tessé una rete di relazioni e scambi culturali, stringendo amicizia con eminenti personalità dell'epoca, tra cui Galileo Galilei e Michelangelo Buonarroti il giovane, nipote del celebre artista.
 Michelangelo Buonarroti fu una figura chiave nella carriera di Artemisia. Gentiluomo di corte coinvolto nelle vicende artistiche del suo tempo, il Buonarroti le procurò numerose commissioni e la presentò a una vasta cerchia di potenziali clienti. 

 

Allegoria dell'Inclinazione

Il loro sodalizio culminò nell'Allegoria dell'Inclinazione, situato nella Casa di Michelangelo in via Ghibellina a Firenze, un capolavoro commissionato dal Buonarroti che riconobbe il talento della pittrice con un compenso di trentaquattro fiorini.
Il trionfo di Artemisia raggiunse l'apice il 19 luglio 1616 quando venne ammessa alla prestigiosa Accademia delle arti del disegno di Firenze, diventando la prima donna a godere di tale privilegio.
Iscritta come "Gentileschi Artemisia, donna di Pierantonio Stiattesi e figliola d'Orazio Lomi," Artemisia divenne un faro di ispirazione per le aspiranti artiste.
Il soggiorno toscano fu un periodo di grande crescita artistica per Artemisia, che riuscì finalmente a far emergere la sua personalità pittorica. Durante quegli anni, adottò il cognome "Lomi," evidenziando il suo desiderio di emanciparsi dalla figura del padre-padrone. Tuttavia, la sua vita privata non fu altrettanto soddisfacente. Il matrimonio con Stiattesi si rivelò più un'unione di convenienza che d'amore, e le difficoltà finanziarie del marito costrinsero Artemisia a chiedere il sostegno di Cosimo II de' Medici per risolvere i debiti accumulati.



Nonostante le sfide personali, Artemisia continuò a dipingere e a contribuire in modo significativo al panorama artistico fiorentino. Il suo impegno e la sua forza d'animo rimangono un esempio di resilienza e determinazione nel mondo dell'arte.

Giuditta che decapita Oloferne alla Galleria degli Uffizi a Firenze

Il dipinto Capolavoro di Artemisia Gentileschi, intitolato spesso "Giuditta che decapita Oloferne" o simili, rappresenta uno dei momenti più intensi e cruenti della storia biblica di Giuditta. La scelta di Artemisia di focalizzarsi sull'aspetto drammatico e violento dell'episodio testimonia la sua abilità nel trasmettere forti emozioni attraverso la pittura.

Nel dipinto, Artemisia rappresenta Giuditta come una figura determinata e vigorosa, mentre Oloferne, corpulento e ubriaco, giace inerme sul letto. La resa naturalistica della scena, con il dettaglio cruento del sangue che schizza e macchia il petto di Giuditta, contribuisce a rendere l'immagine potente e spaventosa. È interessante notare che il dipinto suscitò reazioni forti e contrastanti quando fu inviato a Firenze. La rappresentazione realistica e "virile" della scena, in stile caravaggista, non era conforme agli standard estetici dell'epoca e generò polemiche. Tuttavia, il dipinto testimonia la determinazione di Artemisia nel ritrarre storie bibliche in modo audace e provocatorio. Inoltre, il dipinto diventa un simbolo dell'avventura umana e professionale di Artemisia Gentileschi, una donna che ha scelto di farsi strada come artista in un'epoca dominata dagli uomini. Il suo successo, il suo lavoro per le corti italiane e la sua inclusione nell'Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze testimoniano la sua straordinaria carriera e il suo impatto duraturo sulla storia dell'arte.

I critici del Novecento hanno svolto un ruolo fondamentale nella rivalutazione dell'opera di Artemisia Gentileschi, abbandonando l'approccio anacronistico e retorico del femminismo e concentrandosi invece sui suoi veri meriti professionali e pittorici. La revisione critica è stata avviata da studi come quello di Roberto Longhi ma è stata consolidata attraverso le ricerche di studiosi come Richard Ward Bissell, Riccardo Lattuada e Gianni Papi. Questi studiosi hanno smesso di ridurre la figura della pittrice all'evento traumatico del suo stupro, riconoscendole invece il pieno merito delle sue capacità artistiche.
Un contributo significativo è stato offerto da Mary D. Garrard, autrice del saggio "Artemisia Gentileschi: The Image of the Female Hero in Italian Baroque Art", che bilancia accuratamente le vicende biografiche della Gentileschi con un'analisi attenta della sua produzione artistica. Judith Walker Mann, un'altra studiosa, ha spostato l'attenzione dall'esperienza biografica della Gentileschi alla sua arte, affermando che menzionare il nome di Artemisia Gentileschi oggi evoca un tipo di pittura drammatica caratterizzata da figure femminili forti e dirette, integrate con gli eventi della vita dell'artista.
Le mostre dedicate a Artemisia Gentileschi, come quelle a Firenze negli anni '70 e '90, quella al County Museum di Los Angeles nel 1976 (Women Artists 1550-1950) e più recentemente "Artemisia Gentileschi e il suo tempo" a Palazzo Braschi nel 2017 a Roma, hanno contribuito a evidenziare la sua importanza artistica. Queste esposizioni hanno contribuito a presentare Artemisia come un'artista completa, andando oltre l'etichetta di "pittrice della guerra tra i sessi" spesso applicata in modo riduttivo.
La critica più recente, basandosi sulla ricostruzione completa del catalogo delle opere di Artemisia Gentileschi, concorda nel considerare che il suo vissuto esistenziale è importante per una comprensione corretta delle sue opere, ma al contempo avverte che non può essere utilizzato in modo esaustivo. Questa nuova critica propone una lettura più ampia della carriera di Artemisia, collocandola all'interno di vari ambienti artistici e riconoscendola come un'artista che ha lottato con determinazione, utilizzando le sue qualità artistiche per superare i pregiudizi contro le donne pittrici e affermarsi tra i pittori più reputati del suo tempo.

 

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