Il Presepe nell'arte

Il Presepe nell'arte
Il Natale torna ogni anno!
 

Non è forse il Natale, quel buon vecchione che ci figurava la nostra fantasia di fanciulli, curvo sotto il peso dei suoi secoli, con una gran barba bianca sul petto: quel vecchione che ogni anno veniva a noi di lontano, recando nei suoi capelli canuti la neve e nelle sue mani scarne l'albero dei giocattoli attesi? Ed aveva tanto camminato, quel povero vecchio per giungere; ed a mezzanotte, finalmente, entrava nelle nostre case e si rincantucciava, invisibile, presso il nostro focolare, a sgranchirsi e stirizzirsi le membra rotte dal viaggio e rattrappite dal gelo.
Ma non occorre far appello alla fantasia dei fanciulli per trovare, nella tradizionale festa natalizia e nella sacra leggenda della Natività del Signore, gli elementi d'un vero e proprio turismo. La leggenda s'apre appunto, con un viaggio. Si era al tempo di Cesare Augusto il quale aveva ordinato il censimento generale per le terre del suo impero, cominciando dalla Giudea. Giuseppe e Maria partono, all'alba, dal loro paesello, e, dopo aver fatte molte miglia di strada, giungono verso sera nella città di Beetlem. Il buon falegname si mette subito in cerca d'un albergo (notate che si parla perfino d'alberghi); ma son tutti pieni zeppi, ed egli, allora, si rifugia con la «benedetta fra le donne», nel presepe, ove Maria partorisce su la paglia il Redentore del mondo. Subito la stella appare su la capanna ed al fulgido annunzio quanta gente si mette in moto!
I pastori discendono dalle alture, i Re Magi convengono dai loro regni lontani, ed anche gli angioli abbandonano gli stalli celesti per discendere, con un bel volo piane, su la stalla terrena. E il presepe, la ingenua figurazione della nascita di Gesù, che ancora oggi si costruisce nelle famiglie e nelle chiese coi fantocci di creta o di legno e con gli alberelli di carta, non è, forse, una scena di turismo primitivo? Dalle montagne fabbricate col cartone, per le viuzze impastate di terra e spruzzate di farina, che vorrebbe essere neve, sui ponticelli costruiti pazientemente con pezzetti di legno a ridosso di piccoli fiumi di vetro è tutto un andare e venire, è tutta una esposizione di antichi mezzi di trasporto, è tutto un quadro di movimento. I pecorai — podisti adusati alle periodiche migrazioni — traggono lentamente dietro il lor gregge lanoso verso l'umile greppia; i contadini vi si recano su gli asini e su le mule; i Magi su i cammelli, che, in lunga carovana, rappresentano al vivo il più caratteristico mezzo di locomozione dei paesi d'Oriente.
Le prime fonti della leggenda cristiana sono gli evangeli di S. Marco e di S. Luca e al contenuto di essi fu di certo, ispirata l'arte del medioevo, per rappresentare la natività di Gesù.
E poi chè siamo usciti dal campo del turismo ed entrati in quello dell'arte, facciamoci una rapida incursione per vedere — senza però alcuna pretesa nè estetica nè storica — in quale modo gli artisti abbiano intesa e rappresentata nella loro opera, la Natività del Signore.
Risalendo ai tempi più antichi, molti monumenti orientali rappresentano il viaggio a Beetlem; ma infinitamente maggiore è il numero dei monumenti delle nostre catacombe.
Nell'arte primitiva cristiana, la natività si raffigura più spesso in scultura; di pittura esiste solo un affresco (del V secolo) nelle catacombe di S. Sebastiano, sulla via Appia, raffigurante il Bambino su una panca e presso di lui il bue e l'asino. Perchè nell'arte la rappresentazione di questi due animali fa parte della « Natività »?
 

L'Adorazione dei pastori di Correggio, databile al 1525-1530 circa e conservato nella Gemäldegalerie di Dresda.

 

La Natività nelle Catacombe di San Sebastiano

I cristiani volevan significare coll'asino il pagano, imbestiato nelle sue profane credenze, e col bue il Giudeo; però questo motivo ornamentale delle due bestie divenne una parte necessaria della rappresentazione, anche perchè pittori e scultori sin dall'alto medioevo s'ispirarono agli evangeli già notati, dove, probabilmente la notizia della presenza delle bestie ha una significazione allegorica, non meno di quella più generica e comprensiva della natività di Gesù in una grotta. E' certo, però, che nei primi tempi la religione cristiana si servì di simboli, come quella pagana morente trasformò spesso i simboli di questa e se ne appropriò.

Consideriamo, infatti, le prime rozze sculture, rappresentanti la Nascita: ecco dei pastori, come nel culto pagano, ma non truci e satireschi, bensì dallo sguardo buono e ridente. E alla Madonna i primi artisti non danno un petto ed un portamento giunonico?  A Mantova, nella cattedrale, in un sarcofago del IV - V secolo, Gesù è in letticciolo; vicini gli sono gli animali; a sinistra siede Maria che sembra una matrona romana per l'ampiezza del petto; a destra è un pastore con tunica esónide — cioè che lascia libera la spalla destra — e con in mano un pedum o bastone ricurvo. — In alto, sul letto, c'è la stella.
 

Rilievo della Natività nel Duomo di Mantova


E' leggendario che Gesù avesse il primo omaggio dai pastori svegliati dall'Angelo, cioè dagli abitatori verginali della terra, nel senso concreto — e pagano — di questa, dai primi abitatori, dai simboli viventi del consorzio umano, ma non civile. La stella dovrà condurre i despoti alla misera grotta, un po' dopo; così, nella scultura di Mantova c'è l'anticipazione nel dichiaramento leggendario. Prima la vergine era seduta in trono: posizione incomoda per una puerpera: d'ora in poi si troverà stesa su un giaciglio; e questo giova a dimostrare l'evoluzione dello scernimento naturale negli artisti.

Ma del gruppo viene a far parte una donna: una vecchia e saggia israelita, di nome Salomè, che Giuseppe, secondo la leggenda, trovò presso la grotta, meravigliata di scorgere tanto fulgore in essa; e possiamo vedere per la prima volta la figura della vecchia in un codice del VII secolo, nella Biblioteca degli Armani, a S. Lazzaro, presso Venezia — ed anche in una delle tavolette eburnee, che ornano la cattedra di Massimiano, del Duomo di Ravenna. Col tempo a Salomè si sostituiscono molte donne. Ma il motivo dei pastori? E' ripreso da Giotto, in uno dei suoi mirabili affreschi di Padova: ev'è molto gregge attorno alla capanna — perchè Giotto dipinse una capanna invece di una grotta — e gli angeli volano sul tetto, festosamente.
 

Ornamento della cattedra di Massimiano nel Duomo di Ravenna

Dopo Giotto, l'arte di rappresentare la natività raggiunge un buon grado di perfezione nell'opera dell'Orcagna, che dà alla scena una intonazione calda di serenità famigliare, collocando Giuseppe e Maria ai due lati del letto dove riposa il Bambino, come per una guardia affettuosa. Giuseppe dorme in gran pace: in alto veglia un angelo. L'arte del trecento attenua le linee e mostra semplici le cose: semplici e dolci come una ballata del Cavalcanti. Si consideri, infatti, quanta poesia e quanto affetto nelle scene dei «fatti di Gesù» e nell'Adorazione del Beato Angelico! Nei quadretti molto dorati e finementi pinti è qualcosa di più che una pura narrazione: è la glorificazione fatta a Cristo da un apostolo suo pittore. Ma il quattrocento sostituisce nell'arte il concetto dello studio della vita qual'è a quello di un allontanamento, di un distacco mistico dalla umana comune esistenza.

Il Ghiberti dà movimento alle sue figure in uno dei bassorilievi bronzei della porta nord del battistero fiorentino: rappresenta la natività all'aperto tra le rocce ben risaltanti sul bronzo liscio del fondo: Maria giace addormentata: anche Giuseppe dorme in un angolo; presso la Madonna il Bambino e, a terra, il bue e l'asino.
Ma il movimento è in alto, dove i pastori si alzano sbalorditi al richiamo degli angeli: e uno di essi ha coperto il volto con un bel gesto deciso, per riparare gli occhi assonnati dallo splendore che viene su dal fondo delle rocce.
 

Formella della Porta Nord del Battistero di San Giovanni a Firenze

Col progredire del 400, la rappresentazione si fa più complessa, e cresce il numero degli angeli e dei pastori, che non sono più lontani, ma assistono allo svolgimento della scena principale: e assai spesso per il generalizzarsi dello studio dell'antichità classica, il figlio di Dio non viene alla luce più in una capanna, ma sotto archi trionfali.
 

La Natività del Ghirlandaio nella Chiesa di Santa Trinita

Domenico Ghirlandajo nel suo quadro alla Chiesa di Santa Trinita di Firenze, ci ha dato una rappresentazione molto complessa. A destra, sotto il tetto, che posa su pilastri scanalati, è un bel sarcofago antico, che fa da mangiatoia per il bue e l'asino. Il Bambino è in terra sul fieno, adorato dalla madre in contemplazione e in preghiera: Giuseppe guarda lo splendore dell'angelo che ridesta i pastori. Sul fondo, tra una luce chiara e fresca, a sinistra, sale un'ampia strada sotto archi trionfali, per la quale si avanzano, correndo, popolani, abitatori di ville, a mirare iì prodigio e cavalcano i Re Magi. I pastori, che sul davanti del quadro adorano il Bambino sono ispirati dai contadini del Van der Goes, pittore fiammingo, il quale per commissione di un Portinari dipinse una « Natività » che oggi si può ammirare nella Galleria degli Uffizi. Le figure sono pallide e tenui: non del pallore dell'Angelico e del Lippi, che direi trasumanato, ma d'un colore giallo e bianco opaco: i volti sono lunghi troppo e troppo sottili; le figure cadenti a rifascio. Ora, i volti dei pastori del Ghirlandajo, hanno la stessa espressione di stanchezza, di precoce vecchiezza nelle rughe spesse e nella fissità del gesto e dello sguardo, mentre intorno v'è tutto un fremito di vita.
 

Il Trittico Portinari è un dipinto olio su tavola di Hugo van der Goes, databile al 1477-1478,

Galleria degli Uffizi.


Nel cinquecento la scena si fa semplice, come una volta, ma prevale l'umano sul divino, nella rappresentazione. E ciò si può ammirare nella famosa Santa Notte del Correggio. Una madre tiene in grembo un bambino, che irraggia intorno a sè una luce portentosa. E nel quadro di Antonio Van Dyck, un'altra madre buona solleva il drappo per guardare il figliolo, ch'ella regge sul seno... Però l'intimità psicologica è accentuata nell'arte e esprime un senso più naturale e meno caduco: l'amore della Madonna è un amore di madre, innanzi tutto, dichiarato con la maggiore soavità che questo sentimento comporta e non messo in contrasto doloroso con quel senso di arcano terrore che nella religione pagana prende la madre di un Dio, se di stirpe mortale. Nessun terrore nelle rappresentazioni cristiane: il Natale è giorno di pace e non conviene precorrere i tempi.

Perciò la Madonna della Natività è ridente e serena, ben diversa dall'Addolorata.

Quanta grazia hanno dato i nostri pittori a quelle Marie umane, a quelle terrene madri, che sono l'ente primo delle Sacre Famiglie!
Tutta la significazione del quadro è concentrata in loro e spesso i visi dei pastori e degli angeli non portano su loro che riflesso e pallido quel sentimento di cura gioiosa, che rifulge nello sguardo fisso di una Madonna!

Alcuni pittori sanno dare un fascino speciale alle creature femminili, nei quadri della Natività: per esempio, il Lippi e il Botticelli; ma accrescono l'effetto colla suggestione degli sfondi e dell'ora. Il Lippi colloca in fondo un motivo di decorazione formato da snelli cipressi e da piccoli angeli dalle ali incrociate sotto il capo, al posto del collo e delle spalle che mancano con tutto il resto del corpo; e il Ghirlandajo sa dare effetti di lontananze infinite ai quadri.
Insomma ogni pittore segue il suo stile; e evidenti sono gli anacronismi, specialmente nelle foggie di vestire, anacronismi, che però piacciono, perchè ad esprimere la leggenda nuda sarebbero state sufficienti le rozze sculture del secolo terzo, mentre che dovendosi rinnovare a leggenda nell'animo dei cristiani ogni anno, non è male che avesse ogni anno rappresentazioni diverse.

Però, secondo i gusti delle epoche, ora è dipinti una grotta, ora una capanna, ora una stalla: talvolta, come nel Perugino, un bel tetto che posa su quattro colonne di base quadrata; spesso la capanna si vede in lontananza o manca del tutto; e allora la Madonna e gli angeli adorano la divinità nata nel silenzio dell'aria e delle cose su uno sfondo luminoso — come nel quadro di Lorenzo di Credi. Talvolta tutto è cupo intorno al neonato e i volti degli oranti hanno risalto dalla luce intensa che emana dal piccolo bambino steso sullo strame, come nel Presepe di Gherardo delle Notti.
 

Gherardo delle Notti

 Galleria degli Uffizi


Ma i Re Magi? Vedemmo come in alcune sculture ed in alcuni quadri fossero rappresentati i pastori, in altri i Magi soltanto: in pochi finalmente, e re e pastori, accomunati dalla entità dell'ufficio. Certo, l'adorazione dei Re segue immediatamente alla Natività, nello svolgersi della leggenda: ma non avviene nello stesso tempo, perchè biso gna dar tempo ai Re di giungere, guidati dalla stella. Le prime rappresentazioni dei Magi adoranti si possono trovare nella catacombe di Domitilla (III secolo) e in quelle di San Pietro e Marcellino. Maria in tutte siede in cattedra col figlio in braccio e stende la destra verso i Re. Nelle catacombe di Domitilla i Magi sono quattro, due per lato alla Madonna, per simmetria. Questi i primi affreschi rappresentanti la donazione e l'omaggio regale; ma la figura di Giuseppe non si mostra in essi, ma bensì per la prima volta in un sarcofago ritrovato tra le fondamenta vecchie di S. Pietro.

I Re Magi nelle catacombe di Domitilla a Roma

In un lavoro d'avorio del secolo XIII la Madonna è stesa sul letto, soltanto per eccezione. Infatti, è logico che, avvenendo la visita dei Re qualche tempo dopo il parto, Ella abbia modo di sollevarsi e di prepararsi a ricevere con qualche dignità i signori della terra; perchè mai in Giuseppe ed in Maria fa difetto quell'umiltà sincera, che deve dare un maggior risalto alla grandezza del Figlio divino. Questa scena della visita è meno raccolta e meno commovente dell'altra della natività; ma forse è più solenne, perchè dichiara e rappresenta i primi onori tributati dai potenti al Re del Cielo.
Nel tabernacolo dell'Orcagna, Gesù è di una infantilità leggiadra, perchè accarezza con la manina il capo calvo del Re più vecchio, mentre gli altri due parlano in disparte, ammirati dell'atto, e Maria, seduta, protende il piccino con l'affabilità di una buona madre che goda della festa fatta al figliolo. Non vi sono angeli e manca Giuseppe, che — dobbiamo convenirne— è una figura piuttosto secondaria in queste rappresentazioni, non avendo un significato speciale e spiccato, poiché la leggenda gli ha tolto anche il diritto di paternità.
Figura essenziale è Gesù, che acquista importanza anche dal compito sociale di accettare il dono e la signoria dalle mani dei Re terreni, mentre nei quadri e nelle sculture della natività ha importanza puramente trascendentale e la manifesta coll'irraggiar luce dal biondo capo.
Il Bambino nella natività è incosciente; ma nell'adorazione dei Magi agita per sua volontà le manine verso il vecchio Re e muove le labbra a un sorriso di compiacenza umana.
La scena si popola nel 400 e se il tributo ne acquista solennità, si attenua quel senso festoso che è dato cogliere dalle rappresentazioni anteriori.

Nel mirabile quadro di Gentile da Fabriano è gran movimento di popolo, di cavalcature, di schiavi neri, che reggono queste: il tutto riccamente ornato d'oro in rilievo, specialmente nelle bardature dei cavalli e delle vesti dei Re. E gran movimento è nei quadri del Lippi, del Botticelli, del Luini e di Leonardo: in quello di quest'ultimo la scena è seria e grave, quasi drammatica per solennità.

Gentile da Fabriano

Galleria degli Uffizi


Il Correggio ci darà un esempio di massimo concorso popolare nel quadro che si conserva nella Pinacoteca di Brera; egli stesso, che ci ha rappresentato nella Natività la calma soave e silenziosa degli affetti materni, collocando ne silenzio della notte una madre in contemplazione della sua creatura.

Abbiamo tracciato a grandi linee la storia del Presepe nell'arte. Certo e pittori e scultori non si arrestarono a rappresentare la Natività o l'Adorazione, ma fecero quadri e sculture per le altre fasi della leggenda, come la fuga in Egitto e l'Epifania. Ma particolarmente interessante è la storia artistica del Natale, perchè le rappresentazioni hanno tutte qualcosa d'ingenuo, di verginale, di fresco. Il Natale ha esercitato un grande fascino sulle menti e sugli animi, non solo durante il Medioevo, ma anche nel Rinascimento, per la festività di questo primo momento del mito cristiano.
Un bambino, una madre, degli angeli, dei pastori: sono elementi prediletti delle scuole dei secoli XIV, XV, XVI le quali sanno dare alle carni un colorito speciale, nè troppo pallido, nè troppo roseo, agli occhi una fissità d'incanto, alle forme degli angeli una sveltezza diafana, che supera le leggi scheletriche e che pur non offende.
Gli artisti del Rinascimento, neo-platonici tutti, sentivano la bellezza della leggenda in una mistica guisa occidentale, non dimentica dei fulgori del paganesimo e nel profumo sottile dei pini e dei cipressi.

Ma ben altra arte ha creato la leggenda del Natale. Si dice che la vecchia basilica di S. Maria in Trastevere sia stata fondata dai cristiani in un luogo dove prima sorgeva una taverna meritoria, perchè una vecchia leggenda avrebbe voluto che da quel luogo dovesse sgorgare una fonte di olio — per gli antichi emblema di forza e di dolcezza — quando nascesse il Redentore. La Chiesa d'Ara Coeli, presso il Campidoglio fu eretta perchè in quel luogo la Sibilla Tiburtina mostrò a Cesare Augusto la figura di Gesù nel sole, profetizzando che quel fanciullo diverrebbe presto il Signore del Mondo.

Queste sono certo leggende cristiane posteriori, che pure hanno portato all'edificazione di due chiese; mentre la primitiva e vera leggenda della Natività porta all'annuale costruzione... s' indovini un po' di che cosa? Del Presepe!  Era il 24 dicembre 1223 — scrive un anonimo francescano — e trovandosi il Santo Patriarca di Assisi nella valle di Rieti, ebbro di gioia per l'imminente solennità, scelse una grotta in un bosco, nella valle di Grecio, e vi fece trasportare una mangiatoja..., ecc., ecc., costruì insomma un Presepe, per dare spettacolo ai frati ed ai popolani adunati e questo è importantissimo, perché tale inizio ebbero le sacre rappresentazioni. Da quell'anno è invalso l'uso di edificare un Presepe, presso ogni famiglia, specialmente tra i popoli nordici. E queste costruzioni in istucco sono spesso piccoli capilavori, per la disposizione e per la finitezza delle figure, maestrevolmente colorate: capilavori anonimi, s'intende, ma fatti con amore. Attorno al Presepe si adunano tutti i popoli delle cristianità cattoliche, accomunati dal santo dovere di rivivere, dopo duemila anni, il giorno della Natività.

Questo giorno è di gran festa per i norvegesi. Tutti sono invitati al desco famigliare: gli animali sono risparmiati dalle fatiche quotidiane... soltanto il gatto, il povero gatto! è cacciato di casa, perchè se ne teme lo spirito felino... Il più vecchio, il nonno, fa segni di croce sulle porte e sugli strumenti da lavoro, per impedire alla Asgaardsreien (la cavalcata infernale) di sradicar quelle e di portar via questi; e fa cuocer la pappa e misura la birra per gli spiriti e i folletti: e fa parte a questi con grande religiosità, dopo aver detto preci in coro. In Inghilterra il Natale giunge come festa civile oltreché religiosa; però è consacrata da caratteristiche rappresentazioni teatrali che son dette: Christman pantomines.

Ed anche in Francia, ma specialmente in Provenza, si fanno rappresentazioni sacre in tutta la vastità del significato. I germani, come i popoli scandinavi, hanno grand'uso l'albero di Natale. Chi non si commuove scorgendo il ramo di faggi carico di dolci e di frutti? Chi non ripensa alla fanciullezza lontana, alla buona mamma? L'origine dell'albero è comunemente attribuita al protestantesimo, ma per grave errore; perchè Lutero in una lettera aveva già narrato al figlio le impressioni avute nella fanciullezza, mirando l'albero di Natale.
Si è scritto che quest'albero è il simbolo di quello del Paradiso, riconquistato dalla venuta di Cristo: i suoi frutti non sono più doni di morte, come al tempo di Adamo ed Eva; ed esso conserva eterno il suo verde. Però i bambini si accostano fiduciosi ai piccoli rami carichi, forse Cristo stesso l'ha portato.

Abbiamo cominciato a parlare del turismo... natalizio, non considerando di esso che l'aspetto mitico ed antico, quale ci appare dalla leggenda e dal Presepe, che, nella sua popolare figurazione, a rievoca e la rappresenta. Ma l'aspetto moderno, a quello ch'è anzi di tutti i tempi, non avete posto mente o lettori? Non v'è, di certo, festa che promuova il movimento, che persuada ai viaggi, quanto quella del Natale. Al ricorrere dei giorni natalizi le stazioni si popolano, i treni riboccano di gente che il rito di pace e d'amore richiama alle case paterne, così armoniose di lontani gentili ricordi della fanciullezza lieta e spensierata; ai domestici focolari che videro, attraverso le generazioni, le calde vampate del grande ceppo, intorno al quale passavano — come in vivace teoria fantastica —, i personaggi solenni delle vecchie fiabe narrate dalla nonna tra una carezza ed il desiderato dono di un dolce e d'un giocattolo! L'appressarsi del Natale, mette in moto perfino le anguille, perfino i panettoni, tutte le buone cose mangerecce, che, spedite in pacchi postali, viaggiano il mondo per lungo e per largo, e, mettono alla disperazione gl'impiegati delle poste cristiane. E (vedete come è vero che il turismo è inseparabile dal Natale) anche i sentimenti — eterni vagabondi dell'anima — anche gli affetti viaggiano, sotto forma di cartoline, di lettere, di telegrammi recando i voti e gli auguri di ognuno al suo prossimo, che la evangelica festa, richiamandolo al precetto evangelico, gli fa amare una volta tanto come sè stesso. E di questo turismo affettuoso la nostra Rivista ha buon diritto di servirsi per mandare ai suoi associati l'augurio sinceramente cordiale.
Nella festa di Natale sia in tutte le case, nelle vostre case, o lettori, la pace serena che ì pittori del quattrocento fissavano sui volti delle loro madonne in contemplazione; e la mistica ingenua pace dei pastori, che scendono dagli Abruzzi alle città scettiche e corrotte come per un dovere sacro di sanità: per risuonare con la zampogna la vecchia monodia, che i nonni e i padri ascoltarono devotamente.

GIUSEPPE IMBASTARO.

Tratto dalla Rivista mensile del touring club ciclistico italiano, Milano, Touring club italiano, 1895

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